Il Presagio, di Julianus

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Io, Julianus, bibliotecario dell’imperatore Tiberio, fui centurione della Legio VI Ferrata. Quando venni congedato dall’esercito, non desiderai terre ed onori, desideroso, com’ero, di vivere gli ultimi miei giorni immerso nelle letture dei filosofi antichi, per studiare e comprendere la reale natura degli dei e degli uomini. In una notte illune, mentre meditavo sull’immortalità dell’anima, caddi in un profondo sonno ed una spaventevole visione si affacciò ai miei occhi, lasciandomi, al mio risveglio, madido di sudore e di sgomento.

Arconti di fango, seguaci di un Dio iniquo partorito da sabbie incandescenti, banchettano con brandelli di carni umane sulle macerie di templi abbattuti e deflorati come vergini inermi… Ma ecco comparire, nel sole abbacinante d’Oriente, un’aquila che scandisce la marcia della legione degli eroi, con i suoi furenti garriti d’acciaio. E vedo il Padre tempestoso dall’elmo di brace incidere dardi fiammeggianti nell’aria ruvida, come magici glifi capaci di evocare spaventevoli enti primordiali. «Triumpe, Triumpe, Triumpe!», egli urla e la sua voce squarcia l’azzurro con il fragore di un uragano. «Jupiter, Mars Pater, Bellona iuvate», replica l’esercito di Luce, pronto per il cimento fatale, all’unisono, mentre Ekatlo il prode già divora le carni dei barbari con il suo aratro di bronzo.

La battaglia infuria selvaggia ed acre…le insegne legionarie già grondano di sangue e di morte. «Triumpe, Triumpe, Triumpe!». Le ossa dei barbari crepitano, fino a spezzarsi, sotto i colpi tremendi del Nume e le di lui schiere calpestano i bruni stendardi del terrore ed i cadaveri riversi.

Trombe dai riflessi d’orifiamma incitano alla pugna crudele; le daghe sfavillanti riducono in frantumi le scimitarre degli Arconti. La sabbia arrossa ed i frammenti delle spade del tetro esercito dipingono un mare argenteo nell’arido deserto. «Triumpe, Triumpe, Triumpe!». Un arciere trafigge l’ultima preghiera ad un Dio assassino nella gola del Principe oscuro; l’aquilifero annunzia la vittoria dell’Impero sulla masnada macabra di assassini e impostori. «Victoria!».

Un ruggito di gloria scava nell’aria paludosa e putrida, fino a straripare nelle distese sconfinate degli Elisi. E vedo il Nume riporre nelle mani dei Dioscuri l’elmo d’oro e la spada ancor fremente per la lotta. Brucia l’incenso nel tempio rinnovato e carmi di trionfo volano con il fumo odoroso verso i cieli limpidi. Si acclamano i valorosi, si piangono i caduti e per costoro il candido sorriso di Giano scolora di mestizia. Si inchinano i Lari al Dio Bellatore che, ebbro di sangue, guadagna l’Eternità sul carro di Luce, salutando la legione con la destra rivolta all’ aurora. «Triumpe, Triumpe, Triumpe!».

                         Julianus Fraternitatis Mavortis Ultoris