L’EQUINOZIO DI MITHRA – MIKAEL ED IL MERCURIO, DI MARZIANO CAPELLA – LUCA VALENTINI

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valentini equinozio 1a“Beato chi scende sotterra

Dopo veduti i Misteri 

il fin della vita ei conosce

conosce il principio sancito dai Numi” (1)

L’Equinozio d’Autunno ricopre un’importanza capitale nell’ambito dello sviluppo ciclico del cosmo, segnando il momento critico in cui la luce manifesta viene progressivamente limitata e ridotta rispetto all’avanzare dell’oscurità, così, come, in maniera speculare, il corrispondente periodo primaverile sancisce il rinnovato primato del chiarore aurorale rispetto al crepuscolo. Se dovessimo instaurare un’analogia tra l’anno ed il giorno, potremmo evidenziare come la primavera è correlata con l’alba, quanto l’autunno al tramonto. Tale corrispondenza è, però, valida nell’ambito naturale e di una ritmicità connessa con ciò che è manifesto. Quale il rapporto del microcosmo, specificatamente umano, rispetto a tali riferimenti macrocosmici? Come ci insegna Alfredo Cattabiani, l’equinozio d’autunno in realtà costituisce una fase di equilibrio tra la dimensione solare e quella ctonia, non casualmente sotto la tutela astrologica della Libra, della Bilancia, in cui il rapporto tra luce ed ombra, anagogicamente e spiritualmente, trova la propria autentica profondità nell’inversione del simbolismo naturale:

 

“Il segno si addice al periodo in cui cade l’equinozio d’autunno, quando la durata del dì e della notte si equivalgono, a simboleggiare psicologicamente la condizione nella quale il crepuscolo di un autunno fisico, esteriore, è bilanciato da una primavera spirituale” (2).

Nell’ambito della dottrina sapienziale dell’Opus Magicum è la capacità di interiorizzare il fuoco, nel connubio alchimico di luce e calore, al di là della propria manifestazione fisica, è, pertanto, la facoltà di ridestare una potestà ignea interiore, nell’ambito di una discesa del mondo ctonio, quasi a voler ricercare un antico tesoro occultato nelle profondità della terra o nella notte che ci condurrà alla grande tenebra del solstizio invernale. Tale palingenesi animica, infatti, era sovraintesa nella misteriosofia arcaica dal dio indo-iranico, poi romanizzato, Mithra, quale demiurgo e kosmokràtor, cioè ordinatore dell’universo (3), entità delle mediazioni, come negli equinozi, e degli apici, come nei solstizi. Una delle fonti primarie, come spesso ricordato in studi similari nostri e di autori magistrali come Stefano Arcella (4) e Giuseppe Barbera (5), è sicuramente il neoplatonico Porfirio ed il suo celebre L’Antro delle Ninfe, in cui astrologicamente la correlazione degli equinozi, quali punti di mediazione non solo astrale ma anche esoterica ed iniziatica, con Mithra è chiaramente determinata. Non ripeteremo ciò che abbiamo già evidenziato altrove sull’iniziazione mithriaca (6), ma porremo in evidenza come il simbolo dell’antro, quindi della terra occultata ove la luce d’autunno si rifugia, non è solo la raffigurazione archetipica dei mitrei o di similari localizzazioni misteriche quali rimanifestazioni del cosmo generato, ma è, come specifica appunto Porfirio, soprattutto, manifestazione della caverna interiore, dimora di forze e di Numi, occultati alla vista profana:

“…l’oscurità degli antri li indusse a vedervi il simbolo anche di tutte le potenze invisibili, la cui essenza appunto non è percepibile allo sguardo. Così valentini equinozio 3Crono si prepara un antro nell’Oceano e lì nasconde i suoi figli; anche Demetra alleva Kore in un altro tra le Ninfe e passando in rassegna le opere dei teologi si troverebbero senz’altro molti altri esempi analoghi” (7).

La dimora terrigena – nel mondo greco-romana palesatasi non solo nei misteri eleusini e nel culto relativo a Demetra, ma anche alla romana Cerere – si configura essere come un vero e proprio utero materno che occulta, alleva e alimenta un latente potere igneo, apparentemente e primariamente ctonio, come quello alimentato da Vulcano, ma, se sapientemente conosciuto, disvelato e purificato, con lo schietto calore del Sole, al quale spesso Mithra in qualità di Invictus è stato associato. Come l’equinozio si pone come punto astrologico di equilibrio, come stasi della dualità temporale e della coppia giorno – notte o luce – tenebra, similmente il rapporto microcosmico invertito pone l’esistenza di una dimensione terza, primordiale, quasi radicale rispetto allo svolgimento cosmico. Si esplicita la funzione iniziatica del cosiddetto Arcangelo Solare, cioè di quel mediatore che ricuce lo iato del fenomenico, per ricondurre l’anima cosciente alla propria non – dualità originaria. Miticamente, Mithra rappresenta il vettore di trasmutazione solare che conduce a Zervan Akarana, il “Tempo Infinito”, quale principio aprioristico dell’antica religione zoroastriana (8), ma anche dell’intera ecumene greco – romana, come il celebre Inno a Zeus di Cleante testimonia (9). In tale ottica, la dimensione del combattimento, del travaglio assumono connotati radicalmente opposti rispetto alle comune accezioni, infatti, ciò che comunemente è inteso essere strumento di divisione, di distruzione, in ambito iniziatico diviene il catalizzatore di ciò che macera la maschera profana dell’umana, la sua fallace multiformità, affinchè si possa giungere a “conquistare” la vera sfera dell’unità e della pace, cioè la potestà del Nume autocosciente ridestato dal sonno profondo della coscienza ordinaria. Tale è la potestà che è insita in Mithra, tale è il senso dell’interiorizzazione autunnale, tale è il senso della conoscenza del dio babilonese Shamash, giudice e combattente:

“Una corrente di metallo fuso, di fuoco rosso scintillante, percorrerà tutto il mondo e gli uomini dovranno attraversarla” (10).

In ambito cristiano tale potestà, per sovrapposizione più che per identità, è stata ripresa dalla figura di San Michele Arcangelo, la cui festività ricorre il 29 Settembre, non molto lontano dall’equinozio d’autunno e che presenta un noto luogo di culto, quello sito a Monte Sant’Angelo sul Gargano, con caratteristiche non molto dissimili ai mitrei ed agli antri porfiriani. Ma Michele o meglio Mikael, al di là dei connotati religiosi di ambito cristiano ma anche ebraico, assume una specifica valenza magico-cabalistica, che rafforza ancor di più il valore del suo nome urlato in battaglia “in difesa dei diritti dell’Eterno” (11). La Forza dell’Arcangelo è complementare nella sua evocazione, quale formidabile protezione esorcistica, ma anche come risveglio della latenza arcana del Mago o del Sapiente. Ritorna anche in un mirabile testo di magia rinascimentale di Giovanni Pico della Mirandola, l’idea di un intelletto ridestato dalla tenebre e che nelle tenebre è situato, quale occultamente della luce angelica e divina:

“Lo Spirito di Dio, il suo Spirito in quanto amore, era dunque nell’abisso, ossia sull’intelletto angelico (l’amore infatti viene dopo l’intelligenza), e la mente dell’Angelo spinta e sollecitata da questo amore, si volge a Dio. Dio disse: <<La luce sia>> e nell’Angelo si fece luce, la luce delle forme intelligibili, e un unico giorno scaturì dal mattino alla sera…” (12).

valentini equinozio 5Se dalla misteriosofia arcaica e dalla sfera magico – cabalistica rinascimentale, la nostra analisi giunge alla Magia come intesa dalle grandi personalità esoteriche del ‘900, il fondamento ontologico della tematizzazione non muta, anzi si rafforza. In merito, infatti, l’evocazione solare dell’Arcangelo assume tratti di quasi scientificità rituale nell’ambito del potenziamento e dell’illuminazione magica. Si tratta di non perdersi nella lacerazione tipica delle religioni e del misticismo, ma di assumere a pieno la dimensione ctonio e lunare – quella dell’antro e del crepuscolo equinoziale indicata – per sperimentarla, integrarla ed attuarne la conversione di polaritù ovvera la sua trasmutazione teurgica. E’ l’assunzione dell’equilibrio della Libra astrologica nelle facoltà iniziatiche della potenza, dell’essenza e della vita; la realizzazione attiva che si ridesta nell’utero oscuro della Natura e dell’animo umano. Tali furono le indicazioni non solo speculative di un grande pitagorico come Giulio Parise (Luce) nell’ambito dell’operatività magica del Gruppo di Ur:

“Poniti nel cerchio, rivolto a levante, brucia altro profumo, concentrati nello spirito e dì a voce chiara l’invocazione all’Arcangelo solare, che troverai negli <<Elementi Magici>> di Pietro d’Abano” (13).

L’idea del Mediatore, di una potestà che fungesse da collegamento tra uomini e Dei, tra Terra e Cielo, non poteva, inoltre, non essere ricollegabile al Nume di Hermes – Mercurio, che in questa occasione vogliamo inquadrare secondo l’insegnamento misterico di un importante autore tardo antico, Marziano Capella, su cui qualche giorno fa ci ha resi edotti, sempre su Ereticamente, un ottimo Diego Fusaro. Come sottolinea Ilaria Ramelli, la curatrice italiana nella sua introduzione all’opera di Marziano Capella (14), Hermes – Mercurio è la rappresentazione numenica dell’Intelletto, così come esposto nell’ambito misterico, ma anche degli insegnamenti del neoplatonismo, del neopitagorismo e dello stoicismo, quale prefigurazione di “Hermes Logios”, ovvero il simbolo della divina eloquenza, che generalmente teneva un braccio alzato in un gesto che accentuava l’enfasi dell’orazione. Oltre al ricollegamento con l’etrusco Turms, veniva invocato in tutta la sua pienezza come nei Fasti di Ovidio o nell’Eneide virgiliana e spesso era denominato Dux manium, la cui funzione si ricollegava appunto alla funzione di Psicopompo, quale origine e prima risoluzione dell’Arte, che è congiunzione e trasmutazione “al bianco” della Diade Cosmica (15), di conduttore di anime, riprendendo, alcune funzioni dell’Osiride o del Thot egizi, afferenti non solo al mondo dell’oltretomba, ma primariamente alla maestria iniziatica:

“egli è colui di cui mi fido, la mia parola e mia benevolenza, vero genio e fidato messagero, e interprete delle mie intenzioni, sacro onore; soltanto egli è ingrado di calcolare degli dèi il numero, di conoscere gli astri che rifulgono, quale sia del cielo la misura, quanto si estenda la profondità, quale sia mai il numero dei sorsi del mare, e quanto siano lunghi i confini che esso batte a riva; quali elementi dissonanti un nesso colleghi: e per mezzo di costui sancisco i vincoli io stesso, il padre” (16).

Per Capella, pertanto, Mercurio è l’espressione diretta e più genuina del Logos Paterno, di Giove, la capacità ermetica di superare la diade, la dimensione del molteplice, di “vedere magicamente” l’unione degli elementi che risultano frammentari ai devoti, alle religioni, alla coscienza di veglia. Nell’autore, Mercurio è la divinità che consente di coniugare espressioni sacrali solo apparentemente differenziate, come saggiamente sottolinea la Ramelli sempre nella sua introduzione, con le varie divinità del pantheon italico, etrusco, greco-romano ed egizio-caldaico:

“venivano appresso al servizio del Cillenio, Libero e il Delio, fratelli fedeli e affezionatissimi, e anche Ercole, entrambi i Castori e il Gradivo, e qualsiasi degli dèi che sia stato generato da Giove” (17).Hermes manifesta tutta la propria valenza trasmutatoria quando nei miti libera con il suo intervento l’eroe dai legami che lo vincolano e gli impediscono di slanciarsi verso il Cielo, verso la piena realizzazione spirituale: si manifesta la duplice essenza del Mercurio, sull’astro o sull’elemento che su di esso agisce, astrologicamente e mistericamente connesso a Espero, stella della sera, e ad Cautopetes, che regolano la sua funzione, dimensione nella quale realmente si avverte il travaglio del corpo lunare, quale instancabile levigazione della Pietra interiore, “magistrale estrazione” della Luce Astrale. Nei collegi ermetici della Tradizione Occidentale Mithra Petrogenito viene posto al centro dell’Antro Magico, rappresentando la Pietra dei Filosofi, che ogni iniziato ricerca dentro di sé, Mercurio, come Mikael, quali rappresentazioni dell’Arcangelo Solare, costituendo l’agente della trasformazione, che nell’utero dell’oscurità autunnale, come al centro della croce degli elementi, ritrova la Monade. Si configura, infine, la visione della luce eterea che Filologia, quale vergine e luna alchimica, intravvede negli arcani che le si presentano prima che, socchiudendo gli occhi, invochi la preghiera al Dio Sole:

“Forza eccelsa o prima discendenza del Padre inconoscibile, 
scaturigine dei sensi, fonte di intelligenza, 
origine della luce, sede regale della natura 
splendore e grazia dell’esistenza degli déi 
e occhio dell’Universo, fulgore dell’Olimpo splendente, 
a te è consentito sacralmente distinguere il Padre al di là dei mondi 
e contemplare il grande dio, a te obbedisce l’orbita 
della regione celeste, tu regoli le spinte del cielo 
smisurato: infatti percorri un itinerario mediano 
dando, tu solo, ai corpi celesti una proporzione propizia, 
spingendo e contenendo i sacri astri degli déi, 
quando aggiungi la tua legge a quella del loro corso; 
da qui deriva che è giusto che tu percorra la quarta 
orbita affinché quel numero si dimostri per te 
di qualità perfetta: non è forse attraverso di ciò 
che dai fondamento al doppio tetracordo?

Il Lazio è solito chiamarti Sole perché tu solo 
dopo il Padre sei l’apice luminoso nell’onore 
e affermano che il tuo capo, consacratola due ordini di sei raggi ciascuno, 
reca aurei luminari, dal momento che fai nascere 
altrettanti mesi e altrettante ore. 
Dicono che tu dirigi con le redini quattro corsieri 
dai piedi alati poiché tu solo governi 
la quadriga elargita dagli elementi: 
infatti respingendo le tenebre riveli 
quel che riflette l’azzurra volta del cielo;
 
da qui ti chiamano Febo, colui che rivela 
i segreti del futuro, oppure, 
poiché annulli le colpe notturne, Lieo, 
il Nilo ti venera come Serapide, Menfi come Osiride, 
misteri diversi come Mithra, Dite, Horus e Tifone; 
e così pure sei il bello Attis, e il benefico giovinetto 
dall’aratro ricurvo, e l’Ammone dell’arida Libia 
e l’Adone di Byblos: 
così con vario nome tutto quanto il mondo ti invoca. 
Salve, vera immagine degli dèi e ritratto del Padre, 
con il numero seicentootto, tre lettere formano armonicamente 
il nome sacro e quello augurale della Mente. 
Concedi, o Padre, di ascendere alle accolte celesti degli dèi superi 
e, in virtù del tuo sacro nome, 
la conoscenza del cielo stellato” (18).

Note:
1 – Pindaro, frammento n. 137;
2 – Alfredo Cattabiani, Planetario (Simboli, miti e misteri di astri, pianeti e costellazioni), Edizioni Mondadori, Milano 1998, p. 174;
3 – Alfredo Cattabiani, Calendario, Edizioni Rusconi, Milano 1994, p. 293;
4 – Stefano Arcella, I Misteri del Sole, Edizioni Controcorrente, Napoli 2002, 7.4 – Mithra e gli Equinozi, p. 149ss;
5 – Commento esoterico a L’Antro delle Ninfe di Porfirio, rivista Pietas, anno VI n. 10, a cura di Giuseppe Barbera e di Elio Ermete;
6 – http://www.ereticamente.net/2013/12/mithra-e-liniziazione-ermetico-solare.html ;
7 – Porfirio, L’antro delle Ninfe, 7 (Edizioni Adelphi, Milano 2006, p. 47);
8 – Raffaele Pettazzoni, La figura mostruosa del tempo nella religione mitriaca, Extrait de L’Antiquité Classique, t. XVIII (1949), fascicolo 2, p. 268ss;
9 – Inno a Zeus dello stoico Cleante del III sec. A c.:
“O più glorioso degli immortali, sotto mille nomi sempre onnipotente, 
Zeus, signore della natura, che con la legge governi ogni cosa, 
Salve; perché sei tu che i mortali han diritto d’invocare.
Da te infatti siam nati, provvisti dell’imitazione che esercita la parola, 
Soli tra tutti gli esseri che vivono e si muovono sulla terra; 
Così io ti celebrerò e senza sosta canterò la tua potenza. 
É a te che tutto il nostro universo, girando attorno alla terra, 
Obbedisce ovunque lo conduci, e volentieri subisce la tua forza; 
Così grande é lo strumento che tieni tra le tue mani invitte, 
Il fulmine a due punte, fiammeggiante, eterno.
Sotto i suoi colpi, tutto si rafferma; 
Per suo mezzo reggi la Ragione universale, che attraverso tutte le cose
Circola, mista al grande astro e ai piccoli; 
Grazie ad esso sei diventato così grande ed eccoti re sovrano attraverso i tempi.
Senza di te, o Dio, non si fa niente sulla terra, 
Né nel divino etere del cielo, né nel mare, 
Tranne che quel che ordiscono i malvagi nella loro follia. 
Ma tu sai riportare gli estremi alla misura, 
Ordinare quel che é senz’ordine, e i tuoi nemici ti divengono amici.
Perché tu hai armonizzato così bene insieme il bene e il male 
Che vi é per ogni cosa una sola Ragione eterna, 
Quella che fuggono e abbandonano i perversi tra i mortali, 
Disgraziati, che desiderano senza sosta il possesso dei (pretesi) beni, 
E non badano alla legge universale di Dio, né l’ascoltano, 
Mentre, se le obbedissero con intelligenza avrebbero una nobile vita; 
Da se stessi si gettano, insensati, da un male all’altro; 
Questi, spinti dall’ambizione, alla passione delle contese; 
Quelli, volti al guadagno, senza alcun principio; 
Altri, sfrenati nella licenza e nei piaceri del corpo, 
(Insaziabili) vanno da un male all’altro
E fan di tutto perché succeda loro proprio il contrario di quel che desiderano.
Ah! Zeus, benefattore universale, dai cupi nembi, signore della folgore, 
Salva gli uomini dalla loro funesta ignoranza; 
Dissipa questa, o padre, lungi dalle loro anime; e concedi loro di scorgere
Il pensiero che ti guida per governare tutto con giustizia, 
Affinché, onorati da te, ti rendiamo anche noi grande onore, 
Cantando continuamente le tue opere, come si conviene
Ad un mortale, poiché né per gli uomini é più grande privilegio 
Né per gli dèi, di cantare per sempre, nella giustizia, la legge universale”

10 – Alexander Von Prònay, Mitra (un antico culto misterico tra religione e astrologia), Convivio – Nardini Editore, Firenze 1991, p. 23;
11 – Alfredo Cattabiani, Calendario, op. cit., 294;
12 – Giovanni Pico della Mirandola, Heptaplus, Edizioni Arktos (traduzione di Eugenio Garin), Carmagnola (To) 1996, p. 64;
13 – Luce (Giulio Parise), Istruzioni di magia cerimoniale, Introduzione alla Magia (del Gruppo di Ur), vol. I, Edizioni Mediterranee, Roma 1987, p. 214;
14 – Marziano Capella, Le Nozze di Filologia e Mercurio, Edizioni Bompiani, Milano 2004, XCIV;
15 – Dom A.G. Pernety, Dizionario Mito-Ermetico, A-K, Phoenix Edizioni, Genova 1983, p.113 :”La materia dell’Arte Ermetica contiene Mercurio e Venere ed essa stessa porta il nome di Mercurio dei Filosofi:molti Adepti le hanno dato il nome di Venere ed effettivamente essa è composta dall’uno e dall’altro “;
16 – Marziano Capella, Le Nozze di Filologia e Mercurio, I, 92;
17 – ibidem, II, 210;
18 – – ibidem, II, 185 – 193.

(Sentiti ringraziamenti a Ereticamente.net per la collaborazione)