«Che il lavoro del vasaio,
che consiste nel secco e nell’umido,
ti faccia vedere» (1)

 

DALLA CHIMICA ALLA SPAGIRIA

Quando, circa quaranta anni fa, decisi di iscrivermi alla Facoltà di Chimica Pura dell’Università, non lo feci per diventare un impiantista industriale o un esperto analista tecnologo, ma perché sentivo in modo imperioso la necessità, che si presentava quasi sotto forma di una “vocazione” ancora molto indistinta ma contemporaneamente imperiosa, di avere un contatto con la Materia. In particolare sentivo un fascino, quasi sacrale, per le trasformazioni intime della Materia, trasformazioni che mi facevano percepire un Moto Interno, vivo e reagente. Mi trovavo sempre più spesso in laboratorio a “perdere tempo”, cioè ad osservare i fenomeni in perfetta comunione con essi. Osservavo per tempi lunghissimi e senza apparente motivazione distillazioni, fusioni, cristallizzazioni, combustioni. Compresi allora che la Chimica, tecnica e meccanica, non riusciva a penetrare questo dinamismo della Materia e mi accostai alla Spagiria. Era per me divenuta necessaria la comprensione di questo profondo dinamismo e la compartecipazione – esultante e sacrale – con le Forze Vive della Natura. Scopersi Elemire Zolla e mi accorsi di vivere profondamente quanto scriveva nelle prime pagine del suo splendido testo Le Meraviglie della Natura (2):

“Come riacquistare la sensibilità e le arti alchemiche? Guardandoci d’attorno con esultanza. Soltanto a questo patto, sollevando una gleba odorosa, spiccando un frutto, contemplando le iridescenze di gioielli o di cascate, lo splendore d’un incarnato umano o d’una liscia pelliccia o d’una folgorante colata di metalli, forse si saprà sentire la presenza animatrice che ha plasmato e va plasmando queste materie, e ora le stringe e indurisce nel pugno, ora le sbriciola o fa scorrere liquidamene tra le dita, ora le accarezza e fa brillare. Il segreto dell’arte alchemica e d’ogni sapienza sta nella capacità di intuire con esaltazione questa mano solerte, invisibile ai distratti e ai tristi“.

 

 

Percepivo, con un senso di gioia e di sacralità e quasi di venerazione, nella Materia che si trasformava sotto le mie mani la presenza delle Forze Vive della Natura. E fu allora che compresi, in modo evidente, la stretta comunione tra l’osservatore ed il fenomeno, quasi uno stato di amore e compenetrazione tra l’osservatore e le Forze Vive che agiscono. Mi identificai con quanto Rudolf Steiner scrisse circa le modalità di lavoro dei Rosacrociani Medioevali (3):

«Il rosicruciano medioevale intraprendeva egli stesso gli esperimenti nel suo laboratorio e si dava alla contemplazione di queste formazioni di sali, di soluzioni e di combustioni; di fronte ad esse egli si abbandonava sempre a sentimenti profondamente religiosi e si sentiva collegato con tutte le forze del macrocosmo. … Allora il rosicruciano medioevale scopriva che, quando produceva una salificazione, salivano in lui pensieri purificatori; di fronte a un processo di soluzione si sentiva stimolato all’amore, si sentiva permeato di amore divino; nel processo di combustione si sentiva acceso verso la celebrazione del sacrificio, si sentiva spinto a sacrificarsi sull’altare del mondo».

Osservando in laboratorio le trasformazioni della materia, che si presentavano molte volte non riproducibili anche per una stessa reazione, giunsi a due certezze:

– l’osservatore diventa partecipe del fenomeno, lo plasma, lo conduce, lo trasforma e di rimando ne viene trasformato, cosa questa che più tardi scopersi essere la base della meccanica quantistica;

– tutto l’ambiente, fisico, psichico, emozionale, intellettivo, cosmico condiziona e plasma il fenomeno, che pertanto è sempre unico e mai perfettamente riproducibile.

 

Tali due presupposti sono paragonabili alla sincronicità, così definita da Jung: «La sincronicità avviene come coincidenza di eventi nello spazio e nel tempo come qualcosa che va ben oltre il puro caso; si tratta di una peculiare interdipendenza di eventi obiettivi tra loro oppure di eventi obiettivi sincronici con lo stato soggettivo dell’osservatore». Nella Spagiria l’operatore diventa una cosa sola con il fenomeno che provoca ed osserva. Si origina un profondo dialogo con la materia che si lavora, con le sue Forze profonde, si vivono assieme ad essa le trasformazioni intime, con dolore ed esultanza.
Ricordiamo, come scrive E. Zolla (4), che

«l’Alchimia scatta allorché il minerale toccato dall’Alchimista comincia a toccarlo di rimando. Gli risponde, dà mostra d’esser vivo. Gli parla. E’ destato. … La disposizione d’animo dell’operatore è un elemento dell’operazione, come l’osservazione fatta dallo sperimentatore è un elemento costitutivo della realtà subatomica. … Questa attenzione simultanea all’interiorità e all’opera esteriore comporta un’idea e un’esperienza dell’universo in cui i sincronismi vengono in primo piano, mentre il rapporto di causa ed effetto recede nello sfondo. Un oggetto è funzione del contemplante, imponderabili nessi si stringono nella sincronicità del loro rapporto; questa mentalità alchemica torna, nella meccanica quantistica, a dominare dopo un plurisecolare esilio».

Con questa “sensibilità” iniziai ad operare nel Laboratorio Spagirico, attuando ritualmente e sacralmente il contatto con la materia. Scrive ancora Elemire Zolla del suo incontro con Giovanni Sermonti (5), nel quale Sermonti stesso così definisce la spagiria e l’alchimia:

«Non è una chimica primitiva: è un atteggiamento generale nei confronti della natura che attiene ad astronomia, fisica, chimica, biologia e arte, cioè ad ogni conoscenza del mondo. Per l’alchimista, sia il fenomeno naturale che la sua ripetizione in laboratorio mettono in gioco valori e significati, e non attraverso l’allegoria: il fenomeno o l’esperimento sono condizionati dal clima metafisico in cui si svolgono e a loro volta producono tensione spirituale e illuminazione. Condurre a termine una purificazione chimica richiede purezza dell’operatore e insieme purifica l’operatore. Assistere ad una fioritura richiede una partecipazione interiore e determina una rigenerazione dell’anima. L’alchimia è conoscenza e prassi, partecipazione al dramma della materia. E’ scienza ed è poesia. Non solo essa può rinascere, ma deve rinascere o la scienza distruggerà il pensiero e la natura».

Scopersi più tardi che il contatto con le Forze Vive della Natura poteva anche effettuarsi in una Via Magica Isiaca attraverso riti tradizionali. Lavorare con la materia in Spagiria è come prendere contatto con le Forze Vive Eoniche o Geniali, nel “Percorso Magico”, attraverso il Rito. La precedente indistinta “vocazione” di lavoro sulla Materia mi si presentò con le caratteristiche simili ad una “Missione”: i “misti” dovevano essere purificati, dovevano essere riportati alla purezza del loro archetipo, della loro funzione. Compresi cosa in Spagiria si intendeva per Zolfo, Mercurio e Sale e divenne sempre più evidente la profonda differenza tra Chimica e Spagiria. Imparai a separare le componenti delle sostanze vegetali, senza cadere nella semplice erboristeria, ma compartecipando con tutto il mio essere alla loro scomposizione ed alla successiva e lunga purificazione delle componenti, giungendo poi a riunire le parti pure.

DALLA SPAGIRIA ALL’ALCHIMIA

Questo lavoro con le Forze Vive della Natura mi fece comprendere in modo sempre più netto che alla base delle Forze stesse esisteva un Dinamismo Unico, definibile come Vita, Moto, Azione, Fuoco, Verbo-azione. Scrive Paolo Lucarelli:

«… tutta l’opera è riassumibile in poche parole: se esiste uno Spirito Universale, base intelligente e fondamento vitale di tutta la manifestazione universale, posto che esso non solo anima tutti i corpi, ma che questi persistono tanto più incorrotti nel loro stato quanto più ne sono colmi, allora, per dirla col Nuysement: ’’un grano di questo spirito d’origine celeste, preso da solo, ha più efficacia di un vaso di medicina.’ La corporificazione di questo Spirito è da sempre lo scopo ultimo delle fatiche alchemiche. Il risultato, convenientemente preparato, ha tradizionalmente il nome di ‘Pietra Filosofale’’; l’insieme delle operazioni necessarie per giungervi, si chiama Grande Opera».

 

Compresi sempre più chiaramente la differenza profonda tra Spagiria ed Alchimia. Studiai Fulcanelli e da Le Dimore Filosofali mi trovai ad approfondire il seguente passo:

«… la verità ci obbliga a dire che quelli che si dedicano alle ricerche spagiriche non usciranno mai dalle vie della chimica ufficiale. … l’antenata della chimica attuale non è la vecchia e semplice Alchimia, ma l’antica Spagiria, arricchita dagli apporti successivi dell’archimia greca, araba e medievale. Se si desidera avere un’idea della scienza segreta, si pensi al lavoro del contadino ed a quello del microbiologo, perché il nostro lavoro è posto sotto la dipendenza d’analoghe condizioni. Ora, come la natura dà al contadino la terra ed il grano, al microbiologo l’agar – agar e la spora, così essa procura all’Alchimista il terreno metallico adatto e lo sperma conveniente. Se sono osservate rigorosamente tutte le circostanze favorevoli al procedere regolare di questa speciale coltura, il raccolto non potrà che essere abbondante… Insomma, la scienza alchimica, d’una estrema semplicità di materiali e di formule, resta però la più ingrata, la più oscura tra tutte, per quel che riguarda la conoscenza esatta delle condizioni necessarie, delle influenze richieste. Sta in questo il suo lato misterioso, ed è verso la soluzione di questo arduo problema che convengono tutti gli sforzi di tutti i figli di Ermes».

Questa semplicità di materiali e questa necessità delle condizioni favorevoli sono necessarie in ogni percorso alchemico, differenziandosi così nettamente la Fase preparatoria – spagirica, ricca di strumenti – riti o elisir – dalla fase propriamente trasmutativa/evolutiva della materia. Ed oltre, sempre in Fulcanelli (6):

«… Ora, ciò che noi chiediamo, insieme con tutti i filosofi, non è l’unione di un corpo con uno spirito metallico, ma, al contrario, la condensazione, l’agglomerazione di questo spirito in un involucro coerente, tenace e refrattario, capace di avvolgerlo, d’impregnarne tutte le parti e di assicurargli così un’efficace protezione. Noi chiamiamo nostra pietra quell’anima, spirito o fuoco condensato, concentrato e coagulato nella più pura, la più resistente e la più perfetta delle materie terrestri. E possiamo assicurare che qualsiasi ricerca che non sia guidata da questo spirito o che non abbia come base questa materia non condurrà mai allo scopo che si è prefisso».

Approfondendo le opere di Schwaller De Lubicz (7) trovai questa ulteriore precisazione, circa il lavoro alchimico:

«Cogliere l’Energia pura – ancora non polarizzata (il che è irrazionale) – e materializzarla per servirsene come FONTE universale di una prima generazione, con la specificità che dipende dalle coincidenze armoniche cosmiche. Questa formulazione pone dunque la generazione spontanea, ma controllata, come punto di partenza per una genesi ordinata».

Riuscii ad intuire le seguenti equazioni : «Assoluto DIO» – Vibrazione perfetta della ultima finalità evolutiva che si ricongiunge alla prima vibrazione – Verbum/Azione – Luce – Sole – Principio Vitale – Seme della perfezione – VERBUM CARO FACTUM EST. Ma, operativamente, dove potevo cogliere questa Energia Vitale indifferenziata, Unica, e come preparare un corpo così puro per corporificarla? Studiai i Classici dell’Alchimia, ma in essi non veniva mai indicato chiaramente il minerale di partenza; ma era poi un minerale? O cosa altro? Giunsi a comprendere che poiché la materia è Unica, il Principio Vitale, Energia Vitale Indifferenziata è presente in qualunque manifestazione materiale, quindi si poteva partire da qualunque materia iniziale. A questo punto il Kremmerz mi venne in aiuto; trovai tra i suoi scritti (8) questo illuminante concetto:

«Il principio-vita si manifesta sinteticamente nella sintesi di ciò che ci circonda, uomini, piante, animali, minerali, e presiede a tutte le combinazioni e a tutti i fenomeni chimici e fisici. Questo principio di vita, come in tutto ciò che ci circonda, come in tutta la materia che vive, l’uomo non ha bisogno di studiarlo fuori di sé, perché egli stesso è un principio di vita individuato. E’ l’enunciato alchimico che espongo sotto forma intelligibile per il secolo nuovo. Studiare il principio di vita in noi, separarlo se è separabile, integrarlo se è integrabile, portarlo all’apice della sua potenzialità, renderlo atto ad arricchirsi della massima energia dalla fonte del principio-vita universale, fino a poterne disporre e nutrirsene e nutrirne gli organismi che ne difettano, è educazione ermetica e porta – come possibile – al concetto di medico ermetico».

 

Quindi la via più adatta all’uomo per iniziare la Grande Opera è scoprire concretamente in se stesso il principio di vita e procedere alla sua purificazione ed esaltazione, fino a renderlo idoneo a racchiudere il Principio di Vita Unico, Luce, Sole, Verbum Azione. Iniziai così ad operare, utilizzando come laboratorio il mio stesso organismo. Ma questa è un’altra storia.

Note:

*Il presente saggio con il titolo è stato pubblicato con il titolo “Chimica, Arti Alchimiche, Alchimia nel libro “La Via Ermetica”, a cura dell’AHKU (www.accademiehermetichekremmerzianeunite.org), per le Edizioni Rebis di Viareggio, che ringraziamo per l’autorizzazione alla pubblicazione;

1 – M.Maier –Atalanta Fugiens – Emblema XV, Ed. Mediterranee;

2 – E. Zolla, opera citata nel testo, Ed. Saggi Marsilio, pag. 17 – 18;

3 – R. Steiner – Il Cristianesimo Rosicruciano – Ed. Antroposofica – p. 24;

4 – E. Zolla, op. cit.;

5 – Ibidem;

6 – Fulcanelli – Le Dimore Filosofali I – Ed. Mediterranee, p. 152;

7 – Schwaller De Lubicz, La teocrazia Faraonica – Ed. Mediterranee p. 263;

8 – G. Kremmerz, La Scienza dei Magi – II Vol., Ed. Meditereanee, p. 9 – 10.

 

Federico D’Andrea

 

(con la fraterna collaborazione del sito web www.paginefilosofali.it e delle Edizioni Rebis di Viareggio)