L’Ara Baciata per Fenicia Fiamma
 porge e risorge Ala Corona d’Oro
del Caduceo Iridato degli Heroi
 vincitori di Shylene
(Haurazar)


Ci sono momenti in cui nella vita “iniziatica” o “profana” – ma poi, dove sta la differenza quando il percorso non è vissuto soltanto a livello di “hobby”? – si impone o si richiede una scelta. E’ questo che almeno a prima vista sembra suggerire l’immagine del sesto arcano  posta in copertina, Gli Amanti o L’Innamorato. Carta controversa, raffigurata negli esemplari più antichi, nella sua parte inferiore, in modo non sempre costante. In effetti, i soggetti rappresentati sono in genere un giovane uomo posto dinanzi alla scelta tra due donne che lo affiancano, ma troviamo interessanti varianti rappresentate da una singola coppia di innamorati (come ad esempio nel Trionfo d’Amore del Petrarca), oppure contornata da altri personaggi, o ancora assistita da un terzo soggetto che ne consacra l’unione.

Sappiamo bene peraltro che da Court de Gebelin (1775) in poi, per oltre due secoli, sono fiorite miriadi di interpretazioni, o tentativi di decodificazione, su questo come sulle altre affascinanti lame dei mitici tarocchi: Etteilla, Eliphas Levi, de Guaita, Papus, Mathers, Waite, Wirth, Crowley, Zanne, Kremmerz, fino alla contemporanea visione in chiave psicomagica di Jodorowsky, solo per citare alcuni dei nomi più illustri e rappresentativi di quanti, in vario modo, hanno contribuito nel tempo ad elevare queste settantotto immagini senza parole al rango di documento iniziatico, togliendole dal limbo riduttivo di semplice gioco di carte. Non sono altresì mancati altri tentativi, sovente oggettivamente forzati, tesi a ricondurne origini e significati simbolici a civiltà e tradizioni talvolta improbabili: dagli antichi Egizi, ai Cinesi, ai Greci, ai Latini, agli Arabi, ai Celti, agli Zingari e così via fino all’immancabile Atlantide, in un florilegio di analisi interpretative che si estendono dalle più elaborate e complesse esegesi cabalistiche, a immersioni azzardate nei mari più ostici dell’alchimia, a impegnative circumnavigazioni negli arcipelaghi incontaminati della magia (cerimoniale, divina, trasmutatoria ecc.), fino a viaggi immaginari nelle più alte sfere della fantasia, umana e non. Forse non a caso i tarocchi sono stati definiti, tra l’altro, “la macchina per immaginare”.

Un po’ come nelle quartine profetiche di Nostradamus, in queste carte si è voluto vedere di tutto e di più, anche ciò che probabilmente le corti illuminate del Rinascimento – nelle quali verosimilmente sono nate – non si sono nemmeno sognate di attribuirgli, al pari di quanto accade per tutti quei simboli, quelle idee e quei miti, semplici o articolati, che esprimono o assumono valori e caratteristiche assoluti o universali, dunque di archetipi.
Al di là degli aspetti divinatori o di acrobatiche elucubrazioni esoteriche, pur importanti, che potrebbero lasciare spazio a troppi punti di domanda, il tema centrale di questo “arcano” sembrerebbe rimandare al mito assai noto del giovane Ercole davanti al bivio cruciale del proprio destino. Due donne bellissime si contendono l’Eroe (da Eros): una di queste, alla quale si è voluta sovrapporre l’immagine della “Virtù”, gli propone un futuro di sacrifici, di lotte, di prove aspre e continue che lo condurranno infine alla gloria e al trionfo del coraggio e del valore. L’altra, comunemente associata al “Vizio” o alla “Fortuna”, gli offre invece il piacere e il godimento della vita, l’abbandono totalizzante e gioioso alle sue dolcezze e ai suoi giochi felici. Ma “l’innamorato” vacilla, è incerto, esitante; non sa quale direzione prendere. Finché interviene fatalmente dall’alto Cupido-Eros, che sovrasta sfavillante la scena e ne costituisce evidentemente la chiave, il quale probabilmente deciderà per lui.
Troppo facile il pregiudizio diffuso, relativo alla scelta scontata del modello ideale di una virtù immacolata, rispetto alle riprovevoli suggestioni di una gaudente baccante, in questa sfida incentrata su valori assoluti e contrapposti che non rappresentano necessariamente il bene e il male. In realtà l’intero quadro dovrebbe o potrebbe essere letto secondo un’ottica intuitiva illuminata da una sensibilità hermetica priva di preconcetti, vale a dire guidata dallo stesso Hermes itifallico posto anticamente ad ogni bivio. L’imprevedibile, l’eclettico, il poliedrico nume che infrange ogni regola e schema, prototipo della verità trasgressiva, il mediatore delle unioni che troviamo assieme ad Afrodite sulla biga trainata da Eros e Psiche. Lo stesso Hermes che non conosce l’imposizione restrittiva, drastica o incatenante, l’ordine perentorio, il verdetto inappellabile o il giudizio inflessibile, la scelta radicale e irreversibile o l’affermazione apodittica, ma cerca sempre la soluzione più adatta, la possibilità migliore e immediata affiorante tra mille sfumature cangianti. Il dio che con la propria abilità si è guadagnato un posto tra gli eletti, che si muove agilmente tra il Cielo e la Terra, volando e spostandosi nei tanti spazi intermedi. Non a caso è l’intermediario per antonomasia tra l’umano e il divino. E’ uomo tra gli uomini e dio tra gli dèi. Eppure non si preclude ad alcuna alternativa. L’intelligenza pura non conosce limiti, e riconduce ogni esperienza, ogni azione, a valori esclusivamente e naturalmente soggettivi. Così come la via iniziatica, che al di là di logiche di potere e di certe regole di un esoterismo accademico, intellettuale o di maniera, si risolve fondamentalmente sempre con se stessi in un percorso essenzialmente individuale (che tuttavia non esclude la presenza mirata e intelligente di un vero maestro).
Ma in questo caso irrompe sulla scena un’ulteriore variabile: l’intervento di Cupido-Eros, il più antico e allo stesso tempo il più giovane (e attuale) tra le divinità dell’Olimpo, come Hermes intermediario tra gli uomini e gli dèi. Questo dio potente e inquietante, già definito “il più bello tra gli dèi immortali, colui che lacera le membra e che, nel petto di ogni dio come di ogni uomo, doma il cuore e il saggio volere”, corrisponde allo stesso Eros-Phanes identificato nei misteri orfici con Dioniso, il dio dell’ebbrezza “che non conosce limiti”, colui che ci connette al nostro io animale, il “liberatore” che restituisce durante le sue feste la parte furente e istintuale all’uomo, in una danza luminosa e totalizzante che infrange catene e schemi che frenano le passioni… e, come Hermes, colui che unisce l’umano al divino.
L’apparizione repentina di Eros crea il panico, tanto negli esseri umani quanto negli dèi, poiché il suo dardo inatteso può colpire chiunque in qualsiasi momento, senza preavviso, provocando quella incontenibile e spaventosa follia che abbatte ogni limite razionale, in grado di trasformare un agnello in un drago e viceversa. L’effetto inebriante del suo potere non conosce antidoti: irrompe nell’anima e travolge le più consolidate convinzioni e convenzioni. Può far sprofondare negli abissi più oscuri dell’amarezza e della disperazione, o può innalzare alle vette più estreme della felicità, del coinvolgimento e della passione, in quel miracolo sfolgorante che si chiama amore.
Ma egli è pure “il dio che permette di trasformare l’aspirazione al bello e al buono che ogni uomo sente, in un possesso perpetuo, secondo un processo simile all’iniziazione”. Eros, il “simile ai vorticosi turbini del Vento”, sovverte quindi ogni piano, ogni teoria cristallizzata o preconfezionata, ogni facile aspettativa o prevedibile certezza relativa alla fatidica “scelta”, perché la sua freccia oltre a sconvolgere la vita della “vittima” o del “prescelto”, e scardinarne i precari parametri logici su cui basa presunte sicurezze e relativi equilibri programmati, ne trasmuta inesorabilmente l’intero essere, restituendogli un’anima e un futuro precedentemente esposti al rischio di un asintomatico naufragio. E senza abdicare a soluzioni dettate dai codici contingenti di una morale fluttuante come una maschera posticcia sulla verità naturale, è ipotizzabile che l’Innamorato non ceda alla via della rinuncia, della cosiddetta “virtù” e della mortificazione, bensì accetti lucidamente l’avventura assai più impegnativa e straordinaria della vita, delle emozioni, dell’amore, dell’Eros-Hermes-Dioniso, della conquista della propria divina umanità, di una felicità consapevole e fine a se stessa, come nei giochi dei bambini. Una scelta che aggiunge e non toglie, finalmente affrancata dai paraventi ambigui delle ipocrisie, dagli alibi dell’ego e dal giogo dei sensi di colpa indotti, coltivati e pilotati ad arte dal fiorente monopolio della persuasione occulta, allo scopo di mantenere l’individuo prono, entro innocui binari esistenziali, lontano dunque da un’autentica e cosciente gioia di vivere che gli consentirebbe di spiccare il volo nei cieli aperti della propria più profonda libertà.
Non sappiamo quale sarà stata, nell’immaginario creativo e sapienziale di chi ne ha concepito l’idea e ispirato la raffigurazione, la decisione finale dell’Innamorato. Ma se la mira dell’Eros-Hermes-Dioniso si è confermata infallibile e la freccia ha raggiunto il bersaglio, non è assolutamente detto che si sia risolta con una rinuncia o un rifiuto…

(Tratto da Elixir n° 7 con il permesso delle Edizioni Rebis)

Categoria: