Campanella Mago - Il panpsichisimo nella dottrina

campanelliana

 

di Stefano Mayorca

 

Ci siamo già occupati in questa sede del pensiero filosofico-operativo esternato da Tommaso Campanella. (“Magia e Mistero nei palazzi pontifici. Il rito segreto di Tommaso Campanella” - Elixir N° 5, gennaio 2007). In questo articolo, approfondiremo alcuni aspetti di notevole rilievo legati all’opera campanelliana. Si tratta di un Corpus dottrinario di ordine sapienziale dalle valenze ermetiche incentrato, sotto certi aspetti, al “magismo naturale” (magism naturalis), o “magia naturale”. Tale analisi ci condurrà nel cuore di quella concezione unitaria espressa magistralmente anche nella celebre “Tabula Zaradi” (Tavola di Smeraldo o Tabula Smaragdina), attribuita a Ermete Trismegisto.

 

 

INITIUM

 

La voce del nume immortale sembra riecheggiare nell’eternità del tempo incui è stata confinata dalla corrente volgare e profana che ha violato l’antico patto, il sigillo arcano di un Sapere remoto. Egli grida affinché gli Dèi dell’assoluto ascoltino il Verbocelato, la Parolaarcana che tutto realizza e compie, nell’afflato mirabile del Segreto Incanto.Nella vivida Luceche illumina l’angustio orizzonte e addita la meta altissima da raggiungere, il traguardo supremo di una Conoscenzasenza incarnazione, le ieratiche sinfonie vibrazionali si palesano per portare ristoro alle anime ferite e dare forza e vigore al gesto sacrale che crea, nell’atto immaginifico, mondi e mondi e universi sconfinati. Così, il lampo geniale, il Geniusinterno, il Numedi fuoco, concede la Veritàa chi sa cogliere la folgore ispirata del Carpe diem. In ogni tempo, un sapiente illuminato ha raccolto il messaggiooccultato del Nume Osirideoe ha fatto sua l’antica Dottrinache dispensa il cibo sacrale e sapienziale a coloro che sanno ascoltare. Un esiguo numero di iniziati, dunque, si è fatto carico di restituire dignità alla Sacra Scienza, l’antica Conoscenza che monta al regno delle cause ed eterna la Leggecustodita inogni manifestazione della Natura. I roghi aberranti di una ragione falsamente spirituale, ardono inquietanti nelle memorie ancestrali di un passato mai dimenticato. Come spettri terrifici, riportano alla mente le oscure trame di una compagine religiosa e politica, che in nome di dogmi e verità assolute hanno sacrificato la dignità di uomini e idee luminose. Nel 1639, trentanove anni dopo il più efferato delitto commesso dalla Chiesa, la condanna a morte di Giordano Bruno (1548-1600), muore a Parigi Tommaso Campanella. Giordano Bruno era un frate domenicano e nella realtà più intima e riposta, iniziato agli Arcani e ai Misteri del Pitagorismo operativo. Anche Campanella militava nell’Ordine dei Domenicani, corpus religioso, il quale, per una beffa del destino, aveva dato vita alla famigerata Santa Inquisizione, meccanismo diabolico ben lontano dalla santità. Bruno, erede di una Tradizione millenaria di ordine ermetico, tentò con tutte le sue forze di riaffermare i dettami sotterranei di un pensiero mai estinto dalle valenze magico-sacrali. Campanella, egualmente, divulgò e praticò, anche se con delle difformità strutturali rispetto a Bruno, le ermetiche verità dell’ascenso iniziatico servendosi dell’astrologia, della magia imitativa e analogica, della Medicina Dei e di elementi occulti mirati alla riunificazione dell’Uomo con il Tutto e con le sue radici cosmiche e divine.

 

Tommaso Campanella:

il sommo vate della Scienza divina

 

Tommaso Campanella nasce nel 1568 a Stilo, in provincia di Reggio Calabria. La sua concezione della scienza sacra-filosofica si delineò gradualmente nelle sue opere di alto valore sapienziale, circa ottanta, imperniate sui temi della politica, della scienza e della filosofia. Egliaccenna con le sue idee ai motivi che preannunziano i sistemi di Cartesio, di Malebranche e di Leibniz. All’interno del suo comparto letterario, particolarmente nel suo primo lavoro, “Philosophia sensibus demonstrata”, rinveniamo i dettami del pensiero telesiano incentrato su una visione unitaria del creato, molto vicina al celebre motto ermetico Pan En To Pan: il Tutto nel Tutto. Bernardino Telesio (1509-1588), infatti, seguiva una intuizione animistica del mondo, nella quale ognicosa creata manifestava uno spirito immanente e possedeva in sé una forma di vita o principio intelligente e arcano. Con la sua opera “Della natura delle cose (1565, 1570, 1586), composta da nove libri, Telesio contribuisce al superamento della concezione scolastica-aristotelica. I dettami della filosofia scolastica, desunti dalla Sacra Scrittura e dai Padri, tentavano di mostrare l’armonia della verità insita nell’ordine soprannaturale rivelato, affermando che esso era stato reso manifesto dalla verità dell’ordine naturale. Per questa ragione, il pensiero scolastico fece largo uso della dialettica e aderì saldamente all’Aristotelismo.Anche la vicenda umana occorsa a Galileo Galilei (1564-1642) attira le simpatie di Campanella, il quale ne difende gli studi condannando duramente le persecuzioni subite dal grande fisico, scienziato e astronomo nel suo coraggioso testo, “Apologia pro Galilaeo(1616). A tredici anni, come spiegato, Tommaso entra nell’Ordine dei Domenicani con l’intenzione così egli stesso scriveva di :Spaziare nelLibro Vivo della Natura”.E ancora:Il mondo è libro dove il Senno eterno scrisse i propri concetti, e vivo tempio dove, pingendo i gesti  e ‘l proprio esempio, di statue vive ornò l’imo e ‘l superno(“Modo di filosofare”),sonetto di Tommaso Campanella).Ben presto, forse anche per riscattarsi dalle sue umili origini (suo padre era un ciabattino analfabeta), decide di abbandonare i poveri conventi calabresi e si trasferisce a Napoli, città maggiormente ricca di possibilità e di cultura. Proprio qui stila il lavoroletterario che risente dell’influenza di Telesio. L’apologia su Bernardino, tra le altre cose, attirerà su di lui i primi sospetti da parte della classe ecclesiastica, che gli ordinerà di rientrare in Calabria e di attenersi alle dottrine tomistiche. Per tale motivo si rifugia a Roma, Bologna e, per un anno, a Padova. Purtroppo finisce per cadere nelle maglie dell’Inquisizione. Costretto a fare ritorno nella terra calabra, si imbatte in un ambiente ostile, contraddistinto da un diffuso malcontento sociale inasprito da calamità naturali, dalle incursioni dei Turchi e da inquietanti profeti di sventure, che annunciano imminenti sconvolgimenti cosmici e sovvertimenti planetari. Come avremo modo di vedere in un’altra parte della trattazione, si instaura in quel periodo una linea di condotta che Campanella porterà avanti incurante delle persecuzioni inquisitorie.

 

Il Panpsichismo di Telesio nella dottrina campanelliana

 

Lo studio della natura, nei testi del filosofo casentino è posto alla base di ogni indagine sulla concezione del mondo. Nel suo sistema fisico - metafisico si scorge una divisione dal corpus dottrinario aristotelicolegato al dualismo tra materia e forma,al quale contrappone la dualità di materia (forza passiva) e forza(principio attivo, immanente alla materia). La forza, secondo tale pensiero, si sdoppia a sua volta in due nature agenti. Fenomeno nascente dal contrasto che si ingenera tra due energie opposte, il caldo e il freddo, le quali operando nella materia danno luogo al cielo, alla Terra e alla totalità dei corpi. Nell’uomo tuttavia è presente un’anima creata da Dio. E’ evidente qui l’influsso dei presocratici, tanto è vero che Bacone riconduce il telesismo a Parmenide e alla sua dualità di luce eombra nel mondo dell’opinione (dòxa). Esistono dei sottili paralleli tra questa immagine filosofica e il concetto insito nella dottrina promulgata dagli Gnostici, che erano fermamente convinti dell’esistenza di un dualismo cosmico, o Pleroma. Nel “Corpus Hermeticum”(Discorso perfetto), si designava infatti la conoscenza del divino per mezzo del Pneuma,lo Spirito perfezionato nel bene. Proprio in questo assunto è rinvenibile il dualismo cosmico, nel quale convergono Luce e tenebrascaturenti dall’incontro tra il Mondo terrestree quello Celeste. Inoltre in questo ambito si colloca il lato oscuro dimorante nell’uomo. All’interno della sapienza gnostica, il Pleroma rappresenta l’insieme personificato delle Emanazioni divine:gli Eoni,esseri intermedi tra la divinità Suprema e inaccessibile e la materia, i quali colmano l’intervallo tra l’Unoe il Mondo,tra lo spirito e la materialità. Questi Genili ritroveremo nell’antica magia dei Salmi e nelle pratiche operative cabalistiche. Anche il pensiero di Empedocle e la sua dualità connessa con l’amore(forza di attrazione) e odio(forza di repulsione),si sposa armonicamente con quanto sinora espresso. Similmente la dottrina degli opposti enunciata da Eraclito. Nella totalità di queste antiche dottrine si incardina il lavoro di Telesio che interagisce con l’idea ilozoisticadella natura (Ilozoismo). Le dottrine da noi menzionate e la difficoltà di distinguere l’anima umana e anima dei bruti contrastavano con l’ortodossia cattolica e, in genere, con qualsivoglia religione che professi la fede in Dio trascendente al mondo e creatore di questo, e in un’anima umana spirituale e immortale. Bernardino, alla stregua di altre personalità rappresentative del Cinquecento, non soltanto rifugge da ogni atteggiamento antireligioso, ma si sforza di eliminare la possibilità di un contrasto non separando i due campi della ragionee della fede, della scienza umana e della teologia. Secondo i postulati telesiani presenti nel “De rerum natura iuxta propria principia”- o “Della naturadelle cose” - la natura poteva essere osservata per quel che è, anzi, doveva essere scandagliata mediante mezzi concreti in possesso dell’uomo, strumenti elettivi quali i sensi (sensismo) e la ragione. Una osservazione attenta, insomma, e l’uso sapiente del ragionamento. Tutto questo esente da schemi precostituiti inerenti alle conclusioni a cui erano giunti altri studiosi. Una sperimentazione scevra da influenze estranee, in poche parole, lontana da una visione dogmatica mirata a fare proprie le esperienze senza fossilizzarsi su quanto autori diversi credevano di avere scoperto e raggiunto. Interpretare la natura con la natura stessa, questo il senso più riposto, senza ricorrere a principi trascendenti, a metodi aprioristici e deduttivi, né appoggiandosi alla tradizione e all’autorità; ma solo interrogando direttamentela natura stessa.

 

La visione “teologica-angelica” di Tommaso d’Aquino

 

Per rendere completa questa monografia su Campanella, è importante non trascurare alcune note biografiche su Tommaso d’Aquino (1225-1274), una delle figure più significative della concezione scolastica-aristotelica.La disamina che ci accingiamo ad esporre è finalizzata a far comprendere in maniera esaustiva le dinamiche che hanno determinato l’insorgere di tale concezione. Anche d’Aquino apparteneva all’Ordine dei Domenicani ed era allievo di Alberto Magno (1193-1280). Considerato il più grande degli scolastici, fu canonizzato nel 1323. Egli ha sintetizzato il meglio della speculazione cristiana medievale, sia teologica sia filosofica, in una forma letteraria che è rimasta un modello tutt’ora insuperato. Nella sua “Summateologica”,il filosofo crea una organica sistemazione al concetto e all’immagine dell’Angelonel Cristianesimo, sostenendo che egli può tramutarsi molto facilmente e che agisce tanto individualmente quanto collettivamente. Questo Ente, in pratica, soccorre un singolo ma anche un intero popolo. In tale concezione si innesta il concetto del Genius Populi o Genius Defensordella dottrina Romana-Pagana. Dietro l’aspetto puramente divulgativo, anche se magistralmente espresso, tuttavia si celano alcune concezioni di tipo cabalistico-ebraico di estremo interesse che andremo a discoprire. Gli enti della magia eonica-cabalistica contenuti nell’”Arbatel”, trattato di magia pratica e invocativa, per esempio, risentono di quelle assonanze dottrinarie che fanno capo a Ermete Trismegisto, alla “Città del Sole”di Campanella e, per l’appunto, all’immagine dei Sette Governatori (Spiriti Olimpici), che d’Aquino identifica negli Angeli del Cattolicesimo e che in realtà sono il riflesso dei Genii(gli universali dell’aristotelismo medievale), parte integrante delle cerimonie evocative di stampo cabalistico. La filosofia aristotelica-scolastica però, non convince pienamente Campanella (il filosofo-mago), anche e soprattutto per l’aspetto dogmatico che accettava ogni verità come inconfutabile. Il sapiente scriveva a riguardo: “Essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non sincera, o piuttosto falsità il luogo della verità rimanere nel peritato, esaminai tutti i commentatori di Aristotele, i greci, i latini e gli arabi; e cominciai ancor più a dubitare dei loro dogmi e perciò volli indagare se le cose ch’essi dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non potevano rispondere alle mie obiezioni, contro i loro insegnamenti, decisi di leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli Stoici, di Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con il primo codice del mondo per sapere, attraverso l’originale e autografo, quanto le copie contenessero di vero o di falso”.

 

De Siderali Fato Vitando

la magia campanelliana

 

Campanella era un mago, cosa che si evince con chiarezza dal suo testo “Astrologicorum liber septimus De siderali fati vitando, in cui alcune sue affermazioni sono riconducibili alla magia naturale e simpatica: “Il mago sposa la Terra al Cielo, le cose inferiori con le proprietà di quelle superiori”. I rimandi alla famosa “Tavola Smaragdina”, attribuita ad Ermete Trismegisto sono abbastanza palesi e si ricollegano al postulato più significativo di questa: “Così in Basso come in Alto, così in Alto come inBasso, per creare il mistero della Cosa Una”. Non meno incisivi i riferimenti alle forze magiche –alchimiche che egli elenca nel suo “De sensurerum et magia”, a cui iniziò a porre mano nel 1590, vergandolo in latino. Il testo era dedicato al granduca di Toscana Ferdinando Primo dè Medici. In esso espone i tre principi di cui è composta la natura: materia, caldo e freddo, che sono il frutto della creazione divina: Dio prima fece lo spazio, composto pure di potenza, Sapienza e Amore[…] e dentro a quello pose  la materia, che è la mole corporea […] Nella materia poi Dio seminò due principi maschi, cioè attivi, il caldo e il freddo, perché la materia e lo spazio sono femine, principi passivi. E questi maschi, da codesta materia divisa, combattendo, formano due elementi, cielo e Terra, che combattendo tra loro, dalla loro virtù fatta languida nascono i secondi enti, avendo per guida della generazione le tre influenze, la Necessità, il Fato e l’Armonia, che portano l’idea”. I tre elementi primari (Primalità o Primalitates) elencati da Campanella, corrispondono alle tre nature divine e costituiscono il triplice carattere di ogni essere, il Dio occulto che dimora in ciascun essere umano evoluto ed è il riflesso del Creatore, la scintilla divina che è insita nel divino-umano-trascendente incarnato nella corporeità: “Ha dato a tutte le cose potenza di vivere, sapienza e amore quanto basti alle loro conservazione […] Dunque il calore può, sente e ama essere, e così ogni cosa, e desidera eternarsi come Dio e attraverso Dio nessuna cosa muore ma si muta soltanto, anche se ogni cosa pare morta, così il fuoco pare cattivo al freddo ed è veramente cattivo per lui, ma per Dio ogni cosa è viva e buona”. Più avanti, esterna il senso d’immortalità, ma lasciando capire che l’anima si incarna e vive altre vite: “Muore il pane  e si fa chilo, questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e patisce VARIE MORTI E VITE, dolori e piaceri”. Non mancano in questa disamina i riferimenti al Sensismo telesiano: “Tanta sciocchezza è negare il senso alle cose perché non hanno occhi , né bocca, né orecchie, quanto è negare il moto al vento perché non ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha denti, e il vedere a chi sta in campagna perché non ha finestre da cui affacciarsi e all’aquila perché non ha occhiali. La medesima sciocchezza indusse altri a credere che Dio abbia certo corpo e occhi e mani”. Notevole il concetto del divino da lui espresso, che vede nel Creatore l’essenza immanente e trascendente-inconoscibile, non il feticcio con la barba bianca e le emozioni umane che l’uomo ha creato a sua immagine e somiglianza e non viceversa. Ancora più chiare le idee concernenti la magia quale forza di Natura che il mago deve sapere gestire, manipolare, incanalare e dirigere. Queste forze fanno capo e si dipartono dalla primalità del non-essere che sono parte del mondo finito: l’Impotenza, l’Insipienza, l’Odio. Solo in Dio che è infinito le primalità dell’essere non sono contrastate dalle primalità del non – essere. A queste tre primalità si contrappongono le potenze negative, che possono variamente combinarsi alle primalità nell’ambito delle varie forme di magia, che è l’insieme delle regole che vanno osservate per intervenire nella natura. In questa ottica, il mago è il sapiente che scopre le relazioni che intercorrono tra le cose: “Beato chi legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non dal proprio capriccio, e impara così l’arte e il governo divino, facendosi di conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio”. In quest’ultima affermazione è possibile intravedere un concetto caro a Marsilio Ficino, connesso con l’immagine dell’Uomo-Mago-Dio, o Dio-Uomo. Tale pensiero è incentrato sul potere del mago-divino, che vede il magista applicarsi alla forma e trovare i modi dell’azione a lui spettante nella sua qualifica di creatore. Ficino, tra l’altro, mentre promulgava le idee dell’uomo-mago era intento alla traduzione del “Corpus Hermeticum”, opera ermetica attribuita ad Ermete Trismegisto, rinnovando l’interesse per la centralità dell’ermetista nel contesto magico-iniziatico. In questo modo venivano gettate le basi per il superamento della teologia medievale a favore di una dottrina universale. Nella sua “Magia naturalis”, Ficino espone le sue esperienze connesse in qualche maniera anche con il pensiero platonico da cui trarrà gli spunti per il suo Neoplatonismo. La riunificazione tra l’uomo e la natura, affiancata allo studio delle corrispondenze intercorrenti tra Macrocosmo (Universo) e Microcosmo (Uomo), fa fiorire il tessuto ermetico-alchimico che ben si innesta nella logica di Campanella in un’ottica che è a cavallo tra mistica e scienza. La magia, nella sfera campanelliana si ingenera mediante le sensazioni, che possono essere positive o negative, e che l’uomo coglie e fa sue. Sensazioni che gli consentono di comprendere che egli è partecipe del Tutto, parte integrante di un ordine universale. Tuttavia, pur facendo parte di questo ordine può opporsi ad esso. Ciò causa l’insorgere di una magia negativa (distruttrice) Al contrario, se si uniforma armonizzandosi all’ordinamento cosmico-divino, genererà una magia positiva (creatrice). Nonostante l’epistomologia del filosofo di Stilo pare, in alcuni tratti, somigliare all’”adequatio rei et intellectus” di d’Aquino, questa è nella sostanza reale equidistante dall’aristotelismo medievale. A quanto sembra, in base ad alcune fonti, Campanella era versato anche nella scienza cabalisitica e nelle pratiche evocative, due aspetti della magia che gli furono insegnati da un misterioso rabbino. Nonostante una iniziale diffidenza nei confronti dell’astrologia, con il tempo si appassionò a questa disciplina, come si può facilmente rilevare nei “Commentaria” in cui si evidenziano le sue profonde conoscenze in materia. E’ importante notare, che la concezione del frate-mago circa il vaticinio astrologico racchiude elementi estremamente interessanti connessi con la divinità. Campanella dichiarava in proposito: “Frustra Deus nobis, Astrologiam dedisset, nisietiam prodesset”, invano Dio ci avrebbe dato l’astrologia se non ne sapessimo trarre giovamento. Un ragionamento concettualmente elevato, frutto di una sintesi raffinata che trascende i termini dell’angusto pensiero religioso, che vede nella scienza astrologica un subdolo mezzo del demonio in grado di corrompere e invasare chi se ne serve. Per Campanella, al contrario, questo è un dono di Dio, che la offre all’uomo come conoscenza e il cui uso è legittimo. Un dono divino, dunque, non un’arte oscura da cui rifuggire.

 

Medicinalium Juxta, conoscenze mediche di Campanella elementi alchimici - trasmutativi

 

L’aspetto non trascurabile legato alle conoscenze mediche di Campanella non è mai stato posto in risalto, se non addirittura relegato in secondo piano. Crediamo, viceversa, che questa parte di ricerca campanelliana, facente capo all’alchimia operativa, sia importante quanto il resto dei suoi studi. Per questa ragione abbiamo inserito nella presente monografia la ricca messe di dati che lo studioso ha elaborato nel corso degli anni. Spiega il filosofo-astrologo nei suoi scritti, che l’uomo, come del resto gli altri esseri viventi, non è provvisto semplicemente di un’entità e di elementi corporei, ma anche di incorporei, o ancora meglio occulti, denominati primalità. La possibilità  di una terapia medica agente sul visibile (struttura fisica), non esclude un’azione terapeutica di ordine magico agente sulla primalità invisibile (struttura sottile). L’aspetto in questione rievoca le pratiche sacerdotali dell’antico Egitto, espletate nei templi sacri, che ritroviamo nella dottrina pitagorica, nel tempio di Asclepio (o Esculapio) a Roma e, in tempi relativamente più recenti, nelle cure ermetiche di stampo magico portate avanti all’interno della Scuola magico Ermetica  di Myriam, fondata da Giuliano Kremmerz (Ciro Formisano, 1861-1930). Badate bene, le cure ermetiche di kremmerziana memoria non si sostituiscono al medico e ai farmaci, ma li supportano. Campanella propende per una sorta di medicina allargata che interagisce sia con il corpo carneo sia con la controparte eterica e metafisica. Nei suoi “Medicinalia”, il sapiente individua nell’uomo fisico e metafisico tre principi corrispondenti al corporeo e all’incorporeo o tre primalità : Potenza, Sapienza e Amore (che rinverremo anche nella Città del Sole). Le teorie menzionate fanno capo al suo testo: “Instauratarum scientiarum …juxta propria dogmata, ex Natura et scriptura Dei codicibustomi decem”. Egli descrive gli elementi primari e le diverse componenti che riguardano l’uomo fisico e quello psichico: Mente, Spirito, elementi umidi, elementi solidi. I rapporti che intercorrono tra loro rispetto alle varie patologie etc. Le letture colte di Campanella spaziano, come si può cogliere nel “De libris propriis et recta ratione studendi sintagma”. Qui viene dichiarato dall’autore che in gioventu’ decise di leggere: “Libros omnesPlatonis, Plinti, Galeni, Stoicorium et Democritorum precipue veroTelesianos”. La lettura omnia di Galeno, considerato assieme a Ippocrate uno dei più grandi medici dell’antichità, rende palese l’attrazione esercitata su Campanella dalla scienza medica. Tra le sue amicizie vi sono personaggi illustri, medici e naturalisti, quali il noto alchimista, medico e scienziato Giovan Battista della Porta (1538-1615); Marco Aurelio Severino (1580-1656), chirurgo, anatomista e docente di medicina e chirurgia presso l’Università di Napoli; Johannes Faber (1574-1626), medico tedesco, tanto per citarne alcuni. La visione medico-scientifica di Campanella si inserisce in un ambito alchimico. Non a caso ha letto le opere del grande Paracelso e ne ha assimilati i dettami più importanti. Quando fa riferimento alle parole: “In destillatoriis”, appaiono evidenti i riferimenti alla pratica paracelsiana (o Scheidung). Il termine Scheidung allude alla separazione -nel contesto dell’ascenso ermetico è conosciuto come separando - e viene utilizzato da Paracelso per indicare quanto avviene nel corso della manipolazione alchimica. Questa è mirata a distinguere i tre elementi costitutivi del corpo, o tria principia: Sale, Zolfo, Mercurio. Secondo Campanella l’essere umano si colloca in un’ottica di ordine antropomorfico correlata al mondo, che si instaura attraverso il rapporto tra Macrocosmoe Microcosmo. L’uomo in tale considerazione viene definito statua ed è formato dai medesimi elementi del mondo grande statua e come sintetizza il filosofo: …Un animale di corpo et spirito, et d’organi distinto”. La creatura umana quindi, è dotata di un’anima immortale che lo rende superiore a tutte alle altre creature. Dio, scrive l’autore dei Medicinalia: “Volle infonderli un animoda sé immediatamente creato per semplice derivatione senza materia, da lui pendente, come gli Angioli furo, perché fosse immortale sempre (poiché gli enti fatti dal caldo e freddo agenti tutti moiono dentro la contrarietà corporea, di cui la mente divina esente)”. Nell’analisi della generazione, inserisce delle concordanze alchimiche, dicendo che il Sole (principio maschile fecondante), riscalda e nutre la Terra (elemento femmineo che deve essere fecondato) con il calore dei suoi raggi. Analogamente, l’uomo (Sole) feconda la donna (Terra), con il suo seme: “Onde tutti li partìo in maschio et in femina, quello più caldo et forte attoad agere e difendere et resistere, et questa debole a compatire et nutrire lamolle prole; perché assomigliasse la parte al tutto et l’effetto alla causa”. Successivamente, dopo la spiegazione dedicata ala concepimento, il mago descrive la formazione del feto che si origina dall’incontro del seme dell’uomo e della donna. Nell’utero si crea un liquido formato, come viene scritto: “Da parti pingui…  viscose…liquide et spiritose ». Questo liquido è racchiuso in una borsa collocata nell’utero e composta di due membrane. Da codesto liquido universale hanno origine i due ventricoli del cervello che Campanella chiama: “I ventricelli del cerebro”. Da questi nascono vene, arterie, membrane, la cui formazione si concreta per mezzo dello spirito. Lo spirito, infatti, movendosi, stimolato dal calore dell’utero (notare le corrispondenze con i processi alchimici), allo scopo di uscire dalla borsa, si introduce all’interno delle parti viscose e tendendo alcune di queste crea dei canali: ”Queste si chiamano vene e arterie. Altre le allarga, dando vita alle budella; altre ancora, dopo essere state tese e unite fra loro, diventano nervi. Lo spirito, successivamente passa attraverso le parti pingui, le quali per non rompersi si induriscono sempre di più fino a diventare ossa”. Le ossa sono rivestite da membrane: “Le quali anchora si fanno del medesimo viscoso sparso in piano”. Secondo la teoria enunciata da Campanella, una volta ultimata la composizione del corpo lo spirito lo percorre servendosi di un movimento quasi perenne, che si acquieta e si ferma solo durante il sonno, nel momento in cui si ritira nella sua sede centrale: il cervello: “Et spessotornava nella testa, et si posava (d’onde nasce il sonno)”. Il testo prosegue con una trattazione di ordine fisiologico in cui vengono descritti il fegato, la milza e la loro formazione e funzione. Il fegato, è scritto, si presenta del tutto simile: “Al sangue guagliato”. Più avanti troviamo l’enunciazione del funzionamento dell’apparato respiratorio: bocca, laringe, bronchi, polmoni e della respirazione, la quale viene figurata alla stregua di un atto che in gran parte è involontario: “Può l’animale a suo arbitrio star un poco a non respirare, sì come pensando a qualche cosa troppo desiderabile  o troppo horribile; ma poi volendo rifar l’uso perduto tira in un tempo molto aere et molto ne rimanda fuori, tutto in tutto, il che si dice sospiro”. Un atto che appare a tutti gli effetti totalmente involontario è la pulsazione del cuore: “Non puòcommandar l’animale che cessi il polso, perché commandarìa la propria destruttione”. Questo breve excursus volto a comprendere, per quanto possibile, le nozioni medico-alchimiche del frate astrologo, è giunto al termine. L’opera si addentra in seguito nel campo dei sentimenti estrinsechi, ossia gli organi del senso che necessitano all’uomo per la sua conservazione e tra questi il tatto:“…Toccamento, perché non si fa senzache ‘l sensibile tocchi la parte senziente”. In seguito vengono dispensate le differenti nozioni circa le parti immateriali del corpo: mente, conoscenza, intelligenza, facoltà immaginativa (la facoltà più importante per ciò che concerne la magia creatrice ermetica e formativa), sogni e passioni. Non possiamo approfondire ulteriormente le tematiche esposte e i relativi aspetti legati alle patologie e alla loro cura, ma ci sembra che l’argomento sia egualmente esaustivo e fornisca un quadro d’insieme capace di porre in risalto la vasta cultura sapienziale  di Campanella.  

 

La Città del Sole:

la visione astrologica della città ideale di Tommaso Campanella

 

Nell’opera più pregnante di Campanella, “La Città del Sole”,rinveniamo le radici culturali di ordine utopistico, lontano però da infime considerazioni di chi, in questo lavoro, vuole intravedere i semi di un presunto socialismo o, peggio ancora, di un improbabile marxismo. Occorre fare molta attenzione alle etichette che vengono distribuite con disinvoltura, dimenticando che l’appartenenza di Tommaso a un pensiero cattolico, purgato dalle tante esecrabili tendenze e dalla corruzione, rimarrà fino alla fine al centro della sua ideologia. La dottrina cristiana, come perno dell’intera sapienza umana, extrumana e magica, resta nel cuore del filosofo il vero mordente che muove le sue azioni e i suoi scritti. Non tenere conto di tale veridicità può portare a intorbidire le acque ingenerando profonda confusione. Il vate dell’utopia amava definirsi Magister astrologiaee in una parte della sua Città del Sole,precisamente nel verso 462, afferma che: “Il Sole e la Luna sono Afete”, ed elabora l’oroscopo di quella che dovrebbe essere una moderna città ideale. Anche in altri testi si serve del termine Afeta,con lo scopo di indicare il punto in cui ha origine la vita e dal quale si determina il destino: “Onde quando edificaro la città, posero i segni fissi nelli quattro angoli del mondo. Il Sole in Ascendente in Leone orientale, dal Sole, e  Mercurio e Venere in Cancro, ma vicini che facevano satellizio; Marte nella nona in Ariete che mirava di sua Casa con felice aspetto l’Ascendente e l’Afeta, e la Luna in Tauro, che mirava di buono aspetto Mercurio e Venere, e non facea aspetto quadrato al Sole. Stava Saturno entrando nella Quarta, senza darmalo aspetto a Marte e al Sole(La Città del Sole,versi da 927 a 937). Una analisi accurata a livello astrologico della città, volta a costruire nella realtà oroscopica una vera e propria armonia mundi che fosse specchio in Terra dell’armonia celeste. Ma cosa è l’Afeta? L’etimologia del termine Afeta si fa risalire, con una certa probabilità, alla parola ebraica apechche significaforza, vigore. O ancora, ad una delle seguenti parole greche: afètes(colui che da forza e vita) e afetos(colui che lascia partire). In astrologia il termine Afetavenne usato generalmenteper indicare il pianetache innescail processo vitale di una particolare persona liberandola dal grembo materno e facendola quindi nascere. In base ad un’antica versione, Afetaera il pianeta che, trovandosi nello stesso segno del Sole alla nascita di ogni individuo, era in grado di dispensargli il potere e l’energia necessari per vivere, crescere, riprodursi e compiere il suo destino. Secondo altri astrologi, invece, Afetaera il pianeta dotato di poteri divini e di particolari influenze astrali, che aveva il compito di far nascere (afetos, che lascia partire), in un dato momento e luogo un certo individuo, stabilendo in tal modo il suo destino, sottoponendolo alla volontà del fato, tenendolo sotto il proprio dominio dandogli luce e forza nella vita, accompagnandolo e vegliando su di lui, proteggendolo nel suo cammino, e, infine, spegnendosi assieme a lui. La funzione di Afeta, che veniva identificato in genere con il pianeta che sorgeva all’Ascendente (o si trovava da 5° sopra a 25° sotto l’Ascendente), sarebbe stata quella di esecutore dei voleri del Creatore, governatore, protettore, guardiano, conduttore e regolatore. Nei dizionari di inglesi di astrologia si trova ancora oggi: Apheta the propagator (colui che differisce nel tempo la scadenza di qualche cosa); o anche Apheta: the  giver if life (colui che dà la vita). Ciò significa, come confermano anche alcune statistiche, che a dare il via alla nascita di un individuo, sia appunto un astro specifico, Afeta, che, oltre alle caratteristiche succitate, sarebbe in armonia con le virtualità psicofisiche di un essere umano e con il suo corredo genetico. Tale concezione viene conclamata anche nell’Antico Testamento, esattamente nei Libri Didattici: Ogni cosa ha il suo tempo, e dentro i termini loro assegnati passano tutte le cose sotto il Cielo: tempo di nascere e tempo di morire”, (Ecclesiaste 3,1 - 2). Queste parole comunemente sono conosciute nella seguente versione: “Esiste sotto i cieli un tempo giusto e un luogo giusto per ogni cosa, uno per nascere e uno per morire” (da Gli Influssi della Luna, Stefano Mayorca, G. De Vecchi Editore, Milano, 2005). Nella Città del Sole il grande astrologo descrive una città ideale, utopistica, governata da una realtà Metafisica e da un metafisico sovrano, Re-sacerdote, dedito al culto del Dio Sole. Un Dio laico tipico di una religione naturale, di cui Campanella stesso è sostenitore. Tuttavia, questa intelligenza aurea-divina e immanente rientra, pur se con apparente contraddizione, in una concezione di ordine cristiano dalla quale l’autore della città ideale non si discosterà mai: “E’ un principe sacerdote tra loro che s’appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano”.Il Re-sacerdote, nella sua funzione di guida, si avvale di tre assistenti simbolici:(Pon) Potestà o Potenza  (Sin) Sapienza e (Mor) Amore. Pon è preposto ad occuparsi delle arti militari e della guerra. A Sin spetta tutto ciò che riguarda l’istruzione. Mor presiede a ciò che concerne la generazione, la salute e anche l’alimentazione e il vestiario: “Il potestà ha cura delle guerre e delle paci e dell’arte militare; è supremo nella guerra ma non sopra Sole; ha cura dell’offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed espugnazioni. Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dell’arti liberali e meccaniche, e tiene sotto di sé tanti offiziali quante son le scienze: ci è l’Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il Loico, il Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il Morale. E tiene un libro solo, dove stan tutte le scienze, che fa leggere a tutto il popolo ad usanza di Pitagorici… Il Amore ha cura dellagenerazione, con unir maschi e le femine in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che ettendemo alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura dell’educazione, delle medicine speziarie, del seminare e raccogliere li frutti, delle biade, delle mense e d’ogni altra cosa pertinente al vitto e vestito e ha molti maestri e maestre dedicati a queste arti ”. La società ideale si impernia sulla comunione dei beni, giacché è la proprietà privata a scatenare i conflitti e le lotte intestine tra i diversi componenti che vi abitano: “…Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna. Eliminando la proprietà si risolvono tutti i reati che qui vengono perpetrati. Questo luogo ideale e l’ordinamento costituito che lo regola, per così dire, si ispira al modello idealizzato di Platone (filosofo greco discepolo di Socrate 428-348 a.C.). Platone diede vita nella città di Atene a una scuola filosofica nel ginnasio di Accademo (di qui il nome di accademia, che indica ancora oggi la filosofia platonica). Quasi tutte le sue opere sono scritte in forma di Dialoghi, nei quali spesso è presente la figura di Socrate. La sua filosofia è definita idealistica, in quanto Platone, integrando la filosofia delconcetto promulgata da Socrate, pone come per sé stante e come suprema realtà il mondo delle idee, di cui quello in cui noi viviamo è una copia, ottenuta o per partecipazione o per imitazione di quella realtà: al vertice di quel mondo ideale sta l’idea del Bene. La conoscenza delle cose, in base a tale assunto, avviene, in quanto l’anima che un tempo ha contemplato quel mondo delle idee ne ha la reminescenza. Poiché fine delle cose è il possesso dell’idea del Bene, l’etica deve mirare alla elevazione dell’anima dal mondo sensibile a quello ideale per mezzo dell’amore. Di qua la necessità di esercitare la virtù della saggezza, fortezza, temperanza e giustizia sia nella vita sociale sia in quella individuale. Per l’identica ragione, Platone vorrebbe bandire da uno Stato ben ordinato l’arte, in quanto questa, per essere imitazione della natura, distrae dalla contemplazione del vero ideale. La struttura dell’opera campanelliana si snoda in un ambito discorsivo che si incentra sul dialogo che intercorre tra un cavaliere di Malta e un ammiraglio genovese, un uomo avventuroso che ha da poco compiuto il giro del mondo. In questo suo peregrinare si è imbattuto in un luogo straordinario, la Città del Sole, appunto, posta sulla linea dell’Equatore: Subito incontrai un gran squadrone d’uomini e donne armate, e molti di loro intendevano la lingua mia, li quali mi condussero alla Città del Sole”. E prosegue dicendo: “ Sorge nell’ampia campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i sui giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma per la levatura, più abitazioni ha che si fosse in piano”. L’ammiraglio descrive nei particolari gli edifici e le fortificazioni che rendono inespugnabile la città: E’ la città distinta in sette gironi grandissimi, nominato dalli sette pianeti e s’entra dall’uno all’altro per quattro strade e per quattro porte, alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato il primo girone, bisogna più travaglio al secondo e poi più; talchè sette fiate bisogna espugnarla per vincerla. Ma io son di parere che neanche il primo si può, tanto è grosso e terrapieno, e ha valguardi, torrioni, artelleria e fossati di fuora. Entrati dunque a per la porta Tramontana, di ferro coperta, fatta che s’alza e cala con bello ingegno, si vede un piano di cinquanta passi tra la muraglia prima e l’altra. Appresso stanno palazzi tutti uniti per giro col muro, che puoi dir che tutti siano uno; e di sopra han li rivellini sopra a colonne, come chiostri di frati, e, di sotto non vi è introito, se non dalla parte concava delli palazzi. Poi son le stanze belle con  le finestre al convesso e al concavo, e son distinte con piccole mura tra loro. Solo il muro convesso è grosso otto palmi, il concavo tre, li mezzani uno o poco più. Il racconto prosegue, e si fa via via più dettagliato per quanto concerne le pitture che ornano la parte soprastante le colonne le quali incorniciano il chiostro, e la descrizione dell’edificio più importante e significativo cuore e centro di tutto il complesso solare: il famoso tempio circolare: “Appresso poi s’arriva al secondo piano, ch’è dui passi o tre manco, e si vedono le seconde mura con li rivellini in fuora e passeggiatori; e dalla parte dentro, l’altro muro, che serra i palazzi in mezzo, ha il chiostro con le colonne di sotto, e di sopra belle pitture. E così s’arriva fin al supremo e sempre per piani. Solo quando s’entran le porte, che son doppie per le mura interiori ed esteriori, si ascende per gradi tali, che non si conosce, perché vannoobliquamente, e son d’altura quasi insensibile distinte le scale. Nella summità del monte vi è un gran piano e un gran tempio in mezzo, di stupendo artifizio. Il tempio è tondo perfettamente, e non ha muraglia che lo circondi; ma sta situato sopra colonne grosse e belle assai. La cupola grande ha in mezzo una cupoletta con uno spiraglio, che pende sopra l’altare, ch’è un solo  e sta nel mezzo del tempio. Girano le colonne trecento passi e più, e fuor delle colonnedella cupola vi sono per otto passi li chiostri con mura  poco elevate sopra le sedie, che stan d’intorno al concavo dell’esterior muro, benché in tutte le colonne interiori, che senza muro fraposto tengono il tempio insieme, non manchino sedili portatili assai. Sopra l’altare  vi è altro ch’un mappamondo assai grande, dove tutto il cielo è dipinto, e un altro dove è la Terra. Poi sul cielo della cupola vi stanno tutte le stelle maggiori del cielo, notate coi nomi loro e virtù c’hanno sopra le cose terrene, con tre versi per una; ci son i poli e i circoli signati non del tutto, perché manca il muro a basso, ma si vedono finiti in corrispondenza alli globi dell’altare. Vi sono sempre accese sette lampade nominate dalli sette pianeti. Sopra il tempio vi stanno alcune celle nella cupoletta attorno, e molte altre sopra li chiostri, e qui abitano li religiosi… Vi è sopra la cupola una banderuola per mostrare i venti, e ne signano trentasei; e sanno quando spira ogni vento che stagione porta. E qui sta anco un libroni lettere d’oro di cose  importantissime”. La linea narrativa, come spiegato, si rifà alla tradizione della Repubblica di Platone, ma anche al testo di Tommaso Moro Utopia e al testo di  Francesco Bacone, La nuova Atlandide, come vedremo. La città in questione, racconta l’ammiraglio, è situata sull’isola di Tapobrana - secondo gli studiosi dell’opera di Campanella si tratterebbe dell’isola di Cylon - e sorge su un alto colle circondata e chiusa da sette mura disposte a cerchio (numero che racchiude importanti connotazioni ermetico-simboliche). Mura inespugnabili, ognuna delle quali porta il nome di uno dei sette pianeti (notare le concordanze astrologiche). Le porte che permettono di penetrare all’interno della città, invece, sono quattro, edificate in prossimità dei quattro punti cardinali. Alla sommità del colle, è posto un tempio di forma circolare, consacrato al Sole. L’aspetto connesso con la divinità solare e monoteista, riporta alla memoria l’antico Egitto e riconduce, per certi versi, al culto solare del faraone Akhenaton (Amenofi IV), il quale fece erigere il santuario dedicato al dio Aton (il disco solare), unico dio che si sostituì a tutti gli altri. Akhenaton, dopo avere abolito le vecchie divinità per adorare il Sole, dedicherà ad Aton persino una nuova capitale: Akhenaton (l’odierna Tel el- Amarna ). Il tempio circolare della Città del Sole, ha dipinte sulla volta le stelle maggiori. Di nuovo, troviamo un riferimento alla volta celeste, che si inserisce in un discorso astrologico. Le stelle, da questo punto di vista, si distinguono dagli astri, per il fatto che sono costituiti di materia in fase di reazione nucleare, che sottende in genere alla trasmutazione di idrogeno in elio e di conseguenza brillano di luce propria. Per i popoli antichi, al contrario, le stelle erano corpi celesti fissi nello spazio mentre i pianeti erano gli astri erranti che si muovevano lungo la fascia zodiacale. Nella Città del Sole, non esistono né servi né padroni e a ciascuno vengono offerte le medesime opportunità. Dormitori, mense, locali adibiti alla ricreazione e capi di vestiario sono proprietà di tutti e al contempo non appartengono a nessuno. Anche i figli vengono cresciuti in comune. Gli abitanti, i solari, seguono un insegnamento volto all’educazione e alla generazione. Il primo è rivolto a tutti i membri della comunità e viene dispensato dall’età di tre anni, prosegue poi, per l’arco dell’intera esistenza. L’orario di lavoro dei solari è di sole quattro ore giornaliere, il resto del tempo viene impiegato per le attività di apprendimento e  la preghiera. A prescindere la professione e le singole attitudini, i solari devono in ogni caso essere pratici di agricoltura, pastorizia e arti militari. Il metodo che viene utilizzato dai bimbi è visivo, e questo grazie al modo in cui la città è stata concepita, giacché le mura e i rivellini (o revellini: parte di fortificazione muraria posta a protezione delle porte) che la costituiscono, sono tutti istoriati. Sono inoltre dipinti con motivi geometrici e immagini di tutti i metalli e i minerali, le piante, le erbe e  tutte le specie animali. Non basta, infatti, vi sono anche rappresentazioni di tutte le arti e invenzioni dell’umanità e degli inventori che sono pervenuti alla loro scoperta. Nella cupola (il tempio circolare) si trova le rappresentazione della volta celeste. Si tratta, in poche parole, di una vasta città-museo, una gigantesca enciclopedia di pietra: “Il Sapienza ha fatto pingere in tutte le muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori, tutte le scienze. Nelle mura del tempio esteriori e nelle cortine, che si calano quando si predica per non perdersi  la voce, vi sta ogni stella con tre versi per una. Nel dentro del primo girone tutte le figure matematiche, più che ne scrisse Euclide e Archimede, con la lor proposizione significante. Nel di fuore vi è la carta della Terra tutta, e poi le tavole d’ogni provinzia con li riti e costumi e leggi loro, e con l’alfabeti ordinati sopra il loro alfabeto. Nel dentro del secondo girone vi son tutte le pietre preziose e non preziose, e minerali, e metalli veri e pinti, con le dichiarazioni di due versi per uno Nel di fuore vi son tutte sorti di lachi, mari e fiumi, vini e ogli e altri liquori, e loro virtù e origini e qualità; e ci son le caraffe piene  di diversi liquori di cento e trecento anni, con li quali sanano tutte l’infermità quasi. Nel dentro del terzo vi sono tute le sorti di erbe e arbori del mondo pinte, e pur in teste di terra  sopra il rivellino, e le dichiarazioni  dove prima si ritrovaro, e le virtù loro, e le simiglianze c’hanno con le stelle con li metalli  e con le membra umane, e l’uso lor in medicina. nel di fuora tutte maniere di pesci di fiumi, lachi e mari, e le virtù loro, e ‘l modo di vivere , di generarsi e allevarsi, e a che serveno, e le somiglianze c’hanno con le cose celesti e terrestri, e dell’arte e della natura; sì che mi stupii quando trovai pesce vescovo e catena e chiodo e stella, appunto come son queste cose tra noi.Ci sono ancini, rizzi, spondoli e tutto quanto è degno di sapere con mirabil arte do pittura e di scrittura che dichiara. Nel quarto, dentro vi son tutte sorti di uccelli pinti e lor qualità, grandezze e costumi, e la fenice è verissima  appresso loro. Nel di fuora stanno tutte sorti di animali reptili, serpi, draghi, vermini, e l’insetti, mosche, tafani, ecc., con le loro condizioni, veneni e virtuti; e son più che non pensamo. Nel quinto, dentro vi son l’animali perfetti terrestri di tante sorti che è stupore. Non sappiamo noi la millesima parte, e però sendo grandi di corpo, l’han pinti ancora nel di fuori rivellino; e quante maniere di cavalli solamente! Oh, belle figure dichiarate dottamente! Nel sesto vi sin tutte l’arti meccaniche, e l’inventori loro, e li diversi modi come s’usano in diverse regioni del mondo. Nel di fuori vi son tutti l’inventori delle leggi e delle scienze e dell’armi. Tovai Moisè, Osiri Giove, Mercurio, Macometto e altri assai: e in luoco assai onorato era Gesù Cristo e li dodici Apostoli, che ne tengono gran conto, Cesare, Alessandro, Pirro e tutti li Romani; onde io ammirato come sapeano quelle istorie, mi mostraro che essi teneano di tutte nazioni lingua, e che mandavano apposta per il mondo ambasciatori, e si informavano del bene e del male di tutti; e godeano assai in questo. Viddi che nella China le bombarde e le stampe furo prima ch’a noi. Ci son poi li mastri di queste cose…”.  

 

Utopia di Tommaso Moro:

le basi dell’idealità campanelliana

 

Come accennato, il lavoro di Campanella si incardina nella corrente che ha dato vita a quella concezione idealistica e utopica che è ben viva nell’opera di Platone, ma anche nella letteratura di Tommaso Moro (Thomas More 1478-1535) e di Francesco Bacone. Moro, umanista inglese, magistrato e Gran cancelliere di Enrico VIII - che lo fece decapitare perché si era rifiutato di riconoscere il re come capo della Chiesa inglese - è l’autore della celebre opera Utopia, che ebbe grande ascendente sulla stesura della Città del Sole. Nel romanzo politico dell’umanista si propugna la comunanza dei beni. Le sue amicizie sono di alto livello, tra queste Erasmo da Rotterdam (Desiderius Erasmus, 1466-1536), che in casa sua scrisse il noto Elogio della follia (satira che prende di mira teologi, e dignitari della Chiesa). Umanista olandese, cultore del greco, insegnò in Inghilterra, nei Paesi Bassi, in Germania e in Svizzera (Basilea). Promulgatore di una riforma in seno alla Chiesa, mirata al rispetto dei dogmi e dell’istituzione ecclesiastica, Erasmo si oppose con fermezza ed entrò in aperta polemica con Martin Lutero (Martin Luther 1483-1546, fondatore della riforma protestante ). Tommaso Moro diviene famoso con un’opera incisiva e dal taglio idealistico: “Libellus vere aureus nec minus salutaris quam festivus de optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia” (Lovanio 1516). Utopia. Testo classico nell’ambito della storia politica, tanto che il suo nome è entrato a fare parte del linguaggio comune, volto a designare i progetti di riforma radicale destituiti di qualsivoglia velleità e possibilità di attuazione pratica e immediata (Utopia). L’Utopia è suddivisa in due libri. Nel primo viene analizzato in maniera spregiudicata e acuta concernente il malessere economico e sociale dell’Inghilterra dei primi del Cinquecento. A questo paese in crisi Moro non fornisce espedienti o riforme utili per scongiurare la grave depressione finanziaria, ma piuttosto, preferisce idealizzare un modello di stato perfetto, che celi le istanze profondamente rivoluzionarie, mediante l’elusività dell’opera fantastica. Nel secondo libro dell’Utopia, viene descritta, con amaro realismo e una profonda fede nella bontà, nella natura e nell’opera illuminata dalla ragione, la vita di un luogo immaginario, un’isola felice. Qui, i suoi abitanti vivono raggruppati in vasti nuclei familiari, ospitati in splendide e salubri città, intenti ai lavori dell’artigianato e dell’agricoltura. Ciascuno fa la sua parte, ma non possiede nulla e la collettività provvede ai bisogni di tutti. Represso l’ozio e il parassitismo, una grande abbondanza si riversa sugli utopiensi, i quali, tuttavia devono vivere all’insegna di un regime da caserma. Il governo è patriarcale nei nuclei familiari retti dagli anziani…

 

  

Il Novum Organum di Bacone

l’atlantidea Bensalem

la Nuova Atlantide

 

Francesco Bacone, giurista e filosofo inglese, lord cancelliere, barone di Verulam e visconte di St. Alban è considerato il fondatore dell’empirismo. Come Telesio e Campanella, Bacone è contrario alla filosofia aristotelica, come si può rilevare dal suo “Novum Organum”, che si oppone per l’appunto al vecchio Organum di Aristotele. L’Organum baconiano è redatto in forma di aforismi e fa parte di un’opera più vasta dal titolo: “Instauratio magna scientarium” che in origine doveva essere suddivisa in sei parti. Invero, il filosofo redige, oltre al “Novum Organum”, solo la parte preliminare (la prefazione al piano dell’opera) e, nel 1623, la prima parte, composta dalla traduzione ampliata inerente allo scritto sull’utilità e il progresso del sapere: “De dignitate et augmentis scientiarum”. Successivamente vedrà la luce un lavoro che si colloca nel filone utopico affrontato anche da Campanella e Moro, la “Nuova Atlantide”. In questo luogo, similmente alla Città del Sole, vi sono elementi d’apprendimento visivi.E’ importante analizzare i concetti esternati da Bacone allorché egli si rivolge a una sorta di sperimentazione di ordine naturale che indaga nei segreti del Creato. Rifacendosi alle idee manifestate da Leonardo da Vinci (e non solo), Bacone teorizza che l’osservazione della natura va condotta compilando una tabula presentiae e una tabula abseantiaein proximitate, nella quale vengono vergati i dati di sostanze chimiche, oggetti e altrifattori ambientali, presenti e assenti in un preciso momento; quello, per intenderci, in cui si è ottenuto un dato fenomeno. In seguito, si tenta di scoprire quali sono i fattori favorevoli e la causa determinante che ne ha estrinsecato la concretizzazione. Se tale fenomeno si sostanzia sia in presenza, sia in assenza di un fattore presunto, in tal caso il fattore rilevato è ininfluente. Se il fenomeno muta di intensità in presenza del suddetto fattore, ma si manifesta anche in sua assenza, vuol dire che il fattore in questione condiziona il fenomeno stesso. Ciò nonostante non si tratta della causa che lo ha originato. L’intento di questa analisi mira a rinvenire quel fattore la cui presenza è indispensabile per penetrare e capire il fenomeno stesso e la sua fonte di emissione. L’utopia (da ou +topos = luogo che non c’è) di Bacone, la “Nuova Atlantide”, si ispira liberamente al mito di Atlantide raccontato da Platone nel suoCrizia”, da cui il filosofo inglese prenderà in prestito anche il celebre mito della caverna. Egli, a differenza di Platone che aveva messo a capo del suo stato i filosofi (mentre Campanella un Sacerdote), pone al vertice del governo gli scienziati dando vita a un’utopia dalle valenze squisitamente tecnocratiche. Come per Platone sono i sapienti a governare, ma con una differenza che vede nei filosofi sapienti pensatori che non creano nulla di concreto, mentre gli scienziati pongono in atto un sapere pratico e costruttivo rispetto allafilosofia, che teorizza e dunque risulta inutile. Il fine della ricerca scientifica è, o almeno dovrebbe essere, l’allargamento dei confini dell’impero umano per mezzo della conoscenza delle cause e dei moti delle cose. Al centro dello stato ideale baconiano vi è la famiglia, la cui prosperità è il traguardo più importante della realtà utopica dell’isola di Bensalem. Qui si parlano numerose lingue tra cui il greco, l’ebraico, il latino e lo spagnolo. Tutto ciò che cade sotto lo sguardo degli abitanti di Bensalem è attribuito a un Dio unico che ha creato ogni cosa (al pari di una signacula Creatoris). Gli scienziati detengono un potere totale, completo e hanno facoltà di estendere il loro dominio sulla realtà che li circonda alterandola, trasformandola, imitandola (pensiamo alle ricerche sulla clonazione umana e animale), riproducendola. Concetto che rimanda all’idea che Dio abbia creato il mondo per l’uomo, consentendogli di profanarlo, manipolarlo a piacimento. Da questa prospettiva, Bensalem è simile a un gigantesco laboratorio scientifico, con la sola differenza che non è chiuso tra quattro pareti ma esterno. Un laboratorio sperimentale situato all’aria aperta. La funzione e i fini che lo animano sono da ricercarsi nella sperimentazione, mirata a perseguire la conoscenza delle cause, dei movimenti e delle forze interne alla natura. Come in un romanzo di fantascienza, sull’isola si generano artificialmente gli insetti, si depura l’acqua salata allo scopo di renderla dolce e potabile, si preparano composti medicinali, si riproducono i fenomeni atmosferici, si tenta di prolungare la vita dell’uomo, si progettano e fabbricano strumenti di precisione altamente tecnicizzati e all’avanguardia, si erigono torri altissime (nientemeno di altezza che supera mezzo miglio di altezza), si creano pozioni e acque particolari e molto nutrienti. Non mancano in tale concezione avveniristica, gli esperimenti condotti sugli animali per testare ogni genere di veleni, con l’intenzione di preservare al meglio la salute del corpo umano. Le inevitabili connessioni con la Città del Sole, anche in questo caso sono palesi. Si intravede in queste concezioni utopiche, l’idea vaga di una sorta di magia “tecnologico-scientifica”.

 

L’ombra dell’inquisizione

 

 L’attività magica, astrologica e profetica di Tommaso Campanella, pur tollerata da papa Urbano VIII, iniziava ad attirare su di lui sospetti di eresia. Nonostante egli fosse costantemente preoccupato di dimostrare l’ortodossia delle sue affermazioni e la matrice divina delle pratiche astrologiche, la situazione precipitò. Non furono sufficienti i ventisette anni passati in carcere a causa di un presunto complotto e le torture subite, per preservarlo da una nuova ondata persecutoria. A nulla servirono i numerosi riferimenti contenuti nel Defato, rinvii dottrinari ad autori della ortodossia cattolica, volti a provare che le pratiche magiche descritte nel testo non avevano niente di superstizioso o contrario alla religione. I vantaggi acquisiti dall’amicizia con il Papa si vanificavano, l’ombra del potente Francesco Barberini, il cardinal nipote, si stagliava minacciosa su di lui. Barberini, servendosi dell’abilità di uomini di curia come il Riccardi e il Ridolfi, nemici dichiarati del presunto eretico, si scagliarono su di lui mettendo a dura prova la sua resistenza. La posizione di prestigio raggiunta da Campanella si sgretolava e nemmeno i “Commentaria” alle poesie di Maffeo Barberini, che inizialmente avevano ricevuto l’apprezzamento del Papa stesso e l’imprimaturper la stampa, non videro mai la luce. Dopo tre anni, nuove vicissitudini si profilavano per lo scrittore stilese, infatti, le tesi teocratiche espresse nella “Monarchia Messiae”, testo stampato a Jesi nel 1633, vennero contestate proprio dalla Chiesa. Fautore e cospiratore di questa persecuzione fu sempre padre Riccardi che si mosse contro Campanella. Poco a poco il cerchio si strinse attorno al mago e un episodio in particolare decretò la sua fine. Un vecchio discepolo, fra Tommaso Pignatelli, venne catturato dagli spagnoli, accusato di far parte di un gruppo di congiurati intenzionati a liberare il Regno di Napoli. Sotto tortura gli venne estorta una confessione: uno dei complici responsabili della sommossa era Tommaso Campanella. Subito dopo Pignatelli venne strangolato. A questo punto gli spagnoli vollero la testa dell’autore della Città del Sole. Ospite presso gli Scolopi di Frascati, il frate-astrologo si rifugò immediatamente a palazzo Farnese, sede dell’ambasciata francese. Urbano VIII, forse allo scopo di evitare una disputa giurisdizionale che si presentava controversa e pericolosa e quindi poteva arrecare danno, o forse memore dell’antica amicizia, gli fece sapere che la cosa migliore da fare era quella di fuggire, abbandonando prontamente lo Stato della Chiesa. Accompagnato dall’ambasciatore francese De Noailles intraprese il viaggio, l’ultima fuga. Sotto mentite spoglie, travestito da frate dei minimi di San Francesco da Paola e servendosi del nome falso di fra Lucio Berardi, Tommaso Campanella lasciò Roma il 21 ottobre del 1634 per recarsi a Livorno. Da qui salpò per Marsiglia. Ormai era un esule e un ricercato, ma almeno non finì sul rogo. Guai a dimenticare la esecrabile follia omicida della chiesa che tentava di soffocare nel sangue l’anelito alla libertà. Libertà di quanti ricercavano nella natura il “secretum”, la sapienza arcana.

Tommaso Campanella è ancora vivo nella memoria di tutti coloro che indagano con autentica devozione per conquistare nell’invisibile l’aureo vello, la chiave che apre le porte del tempio e pervenire così realizzazione della. Grande Opera. 

(Tratto dalla rivista "Elixir" 11 con il permesso dell'Editore) 

(Stefano Mayorca, noto scrittore, artista, giornalista, è Preside dell'Accademia Kremmerziana Romana "La Porta Ermetica") 

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