LA CAVERNA, UTERO PRIMORDIALE E SPECCHIO LUNARE: RITI MISTERICI E MISTERI INIZIATICI

di Stefano Mayorca

Quasi sospesa tra cielo e Terra, la tenue penombra del crepuscolo che si approssima, accenna a quella dimensione arcana che si palesa nel momento in cui gli ultimi raggi di Sole si disperdono all’orizzonte e incendiano il cielo di fuoco e oro. Così, nel buio che cresce e si fa intenso, assieme alle prime stelle che dardeggiano si mostra nel manto notturno una sottile falce di Luna, l’argentea Signora dalla pallida luce che allude al magico mistero. 

Amante misteriosa, espressione di una corrente femminea che trasuda metafisiche e ancestrali vibrazioni, è l’incarnazione del femminino oscuro e insondabile dove dolcezza e crudeltà interagiscono per mezzo di una lieve sinergia. Fin dai tempi più remoti, l’intimo desiderio dell’uomo di comunicare con il divino e con i regni trascendenti ha decretato l’insorgere di culti e riti basati su particolari e secretate nozioni astronomiche e astrologiche. Ciò spiega perché il Sole e la Luna, i due corpi celesti più appariscenti, rivestivano un ruolo preminente nella formazione dei miti nel contesto magico ed esoterico, nell’alchimia ermetica di stampo iniziatico e nell’ambito delle grandi religioni del passato. La Luna, in modo particolare, è al centro di culti e correnti ctonie che alludono alla semenza nascosta, allo stato di gravidanza occulta che si riconnette al parto magico-alchimico. La connessione che intercorre tra la forza lunare e le cavità naturali è sintomatica di una conoscenza occulta che pone in essere delle corrispondenze di ordine simbolico risalenti all’età della pietra. La caverna, mondo umbratile e sconosciuto, sede di forze e presenze indicibili, è espressione dell’ignoto che dimora in ciascun essere umano e nell’Universo. Luogo posto al di là del tempo e dello spazio, la grotta è sinonimo di morte e rinascita, antro divino e demonico, a seconda dei casi. Questo reame litico è transitorio, correlato ad un cammino iniziatico che ne contempla le inenarrabili arche sapienziali. Il percorso che si snoda nel pertugio privo di luce allude ad una crescita che si sostanzia per mezzo di livelli che immettono in mondo paralleli, simili alle scatole cinesi. La mitologia offre un’infinità di esempi, che descrivono viaggi nel mondo dei morti o in altri universi sotterranei che potrebbero essere abitati da creature  mostruose, nei quali si giunge attraverso la caverna. Le Fate, come è noto, abitano le cavità rocciose in cui scorrono sorgenti celate. Non dimentichiamo che il gigante Polifemo della saga omerica abitava in una caverna. Anche alcuni eremiti, asceti e Santi, avevano scelto come sito elettivo la grotta. Qui le connotazioni sacrali, archetipe e soprannaturali, convergono dando vita ad una sorta di santuario in cui venivano officiate cerimonie di vario ordine e grado. Nel Paleolitico, le pareti di questi ambienti riposti si sono ricoperte di pitture rituali che facevano capo a un sapere intriso di magia, scaturente da una realtà virtuale costruita all’interno della grotta. E’ interessante notare a riguardo che alcune apparizioni, cosiddette miracolose, si sono materializzate proprio in tali fenditure scavate nella pietra (vedi l’apparizione della Madonna di Lourdes manifestatasi in una grotta della Francia sud-occidentale nel 1858). La tradizione relativa alla Teofania Cristica vuole che il Bambino Divino fosse nato nella realtà in una grotta, luogo di nascita anche di Dioniso, Hermes, Apollo e Mithra.

Il Grembo materno, simbolo di protezione e rigenerazione

Esistono delle specifiche analogie tra la caverna e il grembo materno, non solo di ordine psicologico, ma fortemente iniziatico ed ermetico. Da questo punto di vista, come già accennato, nell’antro litico sono racchiuse le matrici del femmineo nel quale l’essere umano trova rifugio e protezione rientrando in maniera simbolica nel ventre materno. Nei riti di incubazione tale connotazione occulta era diffusa, ed era riconducibile alla rinascita che seguiva alla morte dell’iniziato. La caverna è da tempi immemori legata all’eros, in virtù della sua concezione che la vede incarnare l’utero materno o Utero Primordiale. Il mistero più grande è custodito nella vulva, elemento dalle forze terrigene pronunciate, che sottende alla germinazione dell’anima fecondata dal principio luminoso solare che trova la sua giusta collocazione nelle profondità della roccia-utero, in cui il seme si diffonde e genera. Il contadino egualmente getta il seme nella terra oscura e lì sotto la vita prende forma portando alla luce il germoglio, specchio vivente della futura pianta. Nonostante le visioni negative che si sono volute accreditare alla grotta quale sede del male e di entità aliene e malvagie, estremo confine fra il consueto e l’inconsueto, tra il mondo conosciuto e razionale e l’ignoto, vi sono nel contesto religioso riferimenti positivi che ne segnano la simbologia. Secondo una certa tradizione ebraica e cristiana, infatti, assume aspetti divini e divinizzanti. Nella Genesi si parla della caverna di Machpelah, situata nel Paradiso Terrestre, in cui si dice fosse custodita l’essenza del Bene. Qui sarebbe stato creato il primo uomo: Adamo. Gli antri, ad ogni modo, sono il crogiuolo delle forme, regno della Grande Madre (o Terra-Madre).Nella cultura medievale la caverna era rapportata al cuore umano quale centro spirituale e divino. Nell’antica Roma le grotte venivano dedicate al dio Fauno, divinità dei boschi e signore delle profezie. In tali santuari sotterranei si trovavano delle are cultuali e sacre. Chi intendeva ottenere una visione sopranaturale doveva trascorrere la notte al suo interno avvolto in una pelle di pecora, attendendo la comunicazione trascendente operata dal dio. Anche la festa dei Lupercalia officiata dai Luperci, sacerdoti addetti al rituale,si svolgeva internamente ad una grotta (sita alle pendici del Palatino). La caverna dunque, è la regione che travalica l’immaginario, dove si sostanzia l’unione tra le Forze cosmiche e quelle terrestri, simboleggiata dai sette pianeti che configurano i sette metalli racchiusi nelle viscere della Terra, come attestato dalla Tradizione alchimica.

Khonsu

il Fanciullo lunare

Come abbiamo spiegato, la caverna è il ricettacolo delle energie lunari che ne costituiscono la polarità ctonia-femminea. In tale ambito è presente però un aspetto maschile che si incorpora nel tessuto uterino esternato dalle cavità rocciose. Il dio egizioKhonsu è un esempio di questo ermafroditismo. Il giovane dio della Luna era rappresentato in genere con sembianze umane. Tuttavia essendo anche l’incarnazione di una divinità celeste veniva raffigurato come un’aquila. Generalmente veniva effigiato con un abito aderente, lungo fino ai piedi, e un collare. Il suo capo, rasato, in alcuni templi era adorno di un ciuffo di capelli simboleggiante la giovinezza e la regalità. Sulla sommità della testa portava la falce della Luna nuova, che a sua volta includeva la sfera della Luna Piena.

Le origini genealogiche del dio Khonsu variavano: a Tebe si riteneva che fosse il figlio adottivo del dio Amon, divinità solare venerata a Karnak, in Egitto, e della dea Mut. Il significato del suo nome è l’errante, con riferimento al cammino della Luna attraverso il Cielo. Tale appellativo lo configurava inoltre come ammiraglio dei destini umani. Il colore associato al fanciullo lunare era il bianco argenteo della Luna. Nonostante le prime testimonianze concernenti il dio lunare, gli attribuissero una natura più aggressiva e sanguigna di tipo infero, generalmente era considerato benigno, contraddistinto da particolari poteri terapeutici. La fanciullezza intesa quale inizio della vita era ritenuta dagli Egizi l’immagine stessa di Khonsu, il divino detentore del potente seme (o embrione), volto a fecondare tutti i principi futuri. Incarnazione del potenziale che giace nello spirito dell’uomo, il dio-fanciullo presiedeva al risveglio della parte divina atta a conseguire la consapevolezza che era alla base del mistero della nascita e della morte, autentico scopo per cui l’umanità era stata creata. Il dio errante, in quanto emanazione della Luna, ricopriva il ruolo del navigatore che tracciava un percorso attraverso il Cielo notturno. Non a caso era conosciuto anche come Colui che attraversa il Cielo in una barca. Secondo gli Egizi, la Luna simboleggiava il Sole che risplende di notte, a significare l’importanza del disco argenteo nel contesto religioso-sacrale dell’antico Egitto.

I Riti Cabirici

Tornando alla sacralità dei luoghi sotterranei, il celebre Spacco della Regina (o Bagni della Regina), è permeato da strane atmosfere e cela antiche pratiche iniziatiche. Il sito sorge nella città di Cosa, fondata dai Romani nel 273 a.C. dopo la conquista di Vulci. La lunga fenditura nella roccia è affiancata da una enorme caverna che al suo interno ne contiene una seconda di dimensioni maggiori, e riporta alla mente la Grotta delle Ninfe descritta da Virgilio. Impalabili presenze sembrano aleggiare tra le pareti e attorno alle antiche vestigia etrusche e romane, custodi silenti di misteri lontani nel tempo. In questa duplice caverna venivano officiati i riti Cabirici legati al culto dei Cabiri, la coppia di dèi maschili di origine orientale accompagnati da una misteriosa dea. Non si conoscono i termini esatti di tale iter iniziatico, ma alcune informazioni sono presenti nello specchio mistico rinvenuto nel 1831 a Orbetello, in località Quattro Strade, nel corso degli scavi effettuati per portare alla luce una tomba etrusca. La sepoltura riguardava un personaggio etrusco di alto rango, come si è potuto dedurre dal ricco e prezioso corredo funebre che era accanto ai resti umani. A quanto sembra, si trattava di un Grande Maestro cabirico di Cosa, come testimoniato dallo specchio collocato nel sepolcro. Nell’oggetto riflettente, infatti, è rappresentata la scena di un neofita che osserva ieraticamente la spada che un altro iniziato abbigliato con un elmo, un corsaletto e un perizonio, punta al suo petto, allo scopo di saggiare la forza d’animo e la tempra di quest’ultimo. I riti Cabirici si officiavano al buio, nel ventre della Terra, quasi a voler ricreare lo stato che precede la nascita in cui il feto fluttua nel liquido amniotico in una condizione sospesa. L’etimologia del termine Cabiri deriva dal fenicio Chaberim che significa Gli Associati. Secondo altre versioni, è riconducibile al fenicio Cabir, che vuol dire Grande, oppure al termine semitico Kabirin: Dèi possenti. Esiste anche un’altra possibilità che chiama in causa la parola accadica Kapiru, ossia Purificatore. Durante il rito, gli iniziandi ornavano il loro capo con fasce color porpora e dovevano superare le fatidiche prove d’iniziazione che prevedevano la castità, il silenzio (come nel caso del pitagorismo) e l’astinenza. Erano previste, naturalmente, purificazioni e abluzioni rituali. Nella fase più delicata della cerimonia i neofiti dovevano bere l’acqua che scaturiva da due fonti chiamate Lete (o Oblivione) e Mnemosine (Memoria). L’atto di bere era mirato a dissolvere la memoria del passato, per potersi dedicare totalmente al nuovo stato e alle regole che ne scandivano l’espletazione. Seguivano poi, prove di ogni genere basate su situazioni angoscianti e terrifiche che si operavano nell’oscurità della spelonca, al termine delle quali subentrava una diversa atmosfera improntata alla positività. Una luce (probabilmente artificiale) colpiva l’iniziando e una musica soave si propagava nell’ambiente. A questo punto incominciava l’addestramento e lo studio delle dottrine. L’insegnamento si impartiva mentre il neo iniziato sedeva su un trono scintillante dopo che la sua testa  era stata incoronata con fronde di ulivo. Esistono delle possibilità che la genesi massonica tragga origine dalle sacre Cabirie. Erodoto affermava in una sua opera che questo rituale era ritenuto dai profani qualcosa di diabolico e che fu introdotto dagli Etruschi in Samotracia. Una conferma ci proviene da Diodoro quando narra di Cadmo che ottenne in sposa Armonia, una donna Tracia, sorella di Dardano Etrusco, solo dopo essere stato iniziato ai Misteri Cabirici, istituiti nella sua terra dai Pelasgi Tirreni. In un breve poema esoterico titolato Laminette Orfiche (connesse con i Misteri Orfici),gli archeologi e i ricercatori hanno scoperto delle allusioni alle due fontid’acqua da noi menzionate, fulcro del rituale cabirico. La prima, citata in questo testo Orfico, parla di una sorgente accanto alla quale si trovava un cipresso bianco, la fonte del Lete (oblio). L’altra, che sgorgava dalla palude della Memoria, la sorgente divina, simboleggiava la nuova condizione di vita. Chi si abbeverava alla fonte del Lete perdeva qualsivoglia ricordo della vita anteriore, e di conseguenza del percorso iniziatico intrapreso e delle conquiste raggiunte. La sorgente della Memoria viceversa preservava i ricordi più significativi, cancellando le vicende profane a favore delle esperienze e dell’ascesi iniziatica percorsa in altre esistenze. La sorgente del Lete, dunque, addormentava con il sonno della morte (perdita dei ricordi). L’altra, al contrario, assicurava il risveglio immortale (capacità di ricordare). Colui che sceglieva l’acqua della memoria era figlio della Terra e del Cielo stellato, ovvero l’eletto degli immortali. La Sorgente è la fonte delle Conoscenza, madre di quel sapere che conduce alla perfezione, derivante dalla Memoria, luogo sacro della Sapienza. Soffermandoci nuovamente sul valore ancestrale della grotta, dobbiamo rilevare che nella demonizzazione operata da una superstizione profana e popolare, volta a emarginare ciò che sfugge alle regole del conosciuto, i siti sotterranei sono divenuti mondi dominati dal male. Il timore, quasi infantile, che accompagna certe manifestazioni irrazionali è ancora più concreto laddove permangano tracce di culti secretati e oramai perduti. Qui, nelle profondità della roccia, sono state tracciate croci allo scopo di esorcizzare la improbabile presenza di esseri diabolici, e scavate nicchie per ospitare simulacri di Santi o della Vergine. Azione estrema, mirata a cancellare le antiche credenze pagane e i nobili culti che trascendevano le umane miserie e la mediocrità di chi ha paura dell’ignoto. Ma ciò che non si conosce si teme per ignoranza. L’Ignoto è in noi, nelle profondità della psiche, nei meandri bui dell’anima, celato e mai disvelato. La discesa agli inferi che accompagna le complesse pratiche d’iniziazione è la manifestazione allegorica che mena al raggiungimento di uno stato superiore mediante la penetrazione nelle regioni recondite dello spirito. Il buio e la luce sono occultate nel cuore e nella mente. La caverna primordiale è situata dentro la nostra essenza primaria, dove si concentrano le emozioni e le sensazioni che fanno capo alla cosiddetta personalità magica. Nello splendido trattato di Kircher,  Mundus subterraneus (1678), viene proposta un’analogia tra il geocosmo e il corpo umano, che vede nella caverna un insieme di organi simili a quelli umani, condizionanti per la vita stessa della Terra. Scriveva a riguardo il grande alchimista Basilio Valentino:

“La Terra non è un corpo morto, ma in essa dimora uno spirito che ne è la vita e l’anima. Tutte le cose create, inclusi i minerali, traggono la loro forza dallo Spirito della Terra”.

Nelle propaggini dell’abisso, quindi, pulsa una corrente vitale, un corpo, in cui i corsi d’acqua, i crateri infuocati e magmatici, i sifoni e le altre forme di vita si trasmutano sul piano gelogico-simbolico in una copia dell’organismo dell’uomo. Questa relazione archetipa tra il corpo, la sua interiorità e il Macrocosmo (Universo), porta alla luce una sequenza e uno sviluppo necessitanti per la nascita di un mito remoto. Mito arcano  la cui centralità è divenuta un punto di riferimento indispensabile per il cammino iniziatico legato al percorso sotterraneo. L’autentica rinascita si sostanzia nel buio, la luce prende forma e sostanza nell’oscurità che la partorisce. La Dimensione parallela è ben definita dalle misteriose cavità terrigene che mostrano la vera natura del diverso, con le loro concrezioni pietrose, le stalagmiti, le stalattiti, le esalazioni sulfuree, i vortici d’acqua di sorgenti ctonie che rumoreggiano attraverso una eco fortissima e le numerose immagini caleidoscopiche che conferiscono all’insieme toni magico-sacrali quantisticamente congiunti. La Terra di confine indica la via verso il reame delle ombre, dove ogni cosa appare possibile e nulla può impedire il concretarsi di elementi misterici mossi da una forza sconosciuta che presiede al Tutto. Guardando nell’intimo, tra le pieghe del tessuto interno, si intravede il mistero più insondabile che avvolge l’uomo nella sua totalità. Scendere fin nei recessi della psiche vuol dire calarsi in uno stretto passaggio ricercando le origini primeve, l’elixir della propria genesi occulta ed occultata. La materia prima che l’alchimista rinviene in sé, pietra grezza da sbozzare e conformare, è in perfetta osmosi con le cavità della Terra che invita a sollevare il velo oscuro che dischiude i battenti dell’Arca, tempio sacro dell’esistenza. Ora si procede nella tenebra che sconvolge e atterrisce, che si insinua nei pensieri, nel cuore palpitante che satura la mente. Qui la notte dell’anima è pregnante, possente, totale. Ma gradualmente il peso delle tenebre si attenua e, passo dopo passo, un tenue e indistinto bagliore si palesa. Il chiarore si fa più intenso e poco a poco scaccia il buio, il nero più nero del nero. Finalmente la Luce irrompe copiosa e inonda lo spirito che rinasce alla fulgida e prorompente solarità. Scriveva il sommo Lucio Apuleio, iniziato ai Misteri di Iside e a quelli Cabirici:

“Mi accostai al consiglio della morte e battuta la soglia di Proserpina, passando per tutti gli elementi, feci ritorno e mi presentai agli Dèi superiori e inferi e li adorai da vicino: di mezzanotte io vidi il Sole”.    

(Tratto da ereticamente.net)                  

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