HERMES - THOT

Lo Scriba degli Dei, Cillenio Signore del Caduceo, Conoscitore dei segreti degli Dei, Messaggero e Araldo di Zeus, Creatore con Dolcezza, il Trismegisto Padre della Occulta Filosofia e Signore delle sacre parole e delle Formule di Magia.
Dio delle Vie, Sottilissimo, Ibis-Maestro del Volo Magico, Giocoso, Amabile, Dispensatore di Gioia e di Rapido ingegno.
Dio della Medicina Hermetica e del Fortunato Lavoro.
Amante delle Ninfe, padre di Pan, Amico dei Dioscuri, Custode delle Biblioteche Celesti e che sa leggerne i Libri Sacerdotali Rivelati dai Maestri di Hermopolis.
Ermafrodito, Epitalamita, Compagno di Fanciulli, Psicopompo degli Erebi Liberatore.
Il Patrono della Retta Via, Aurea parola di Verità di Giustizia Inviolate, Vento Vela e Musica del Lontano Olimpo.
Colui che conduce in cielo il giovane Dioniso.
Soffio che Aleggia degli Immortali Ampolla.
Esploratore dell’ambrosia Notte, Dio delle Palestre,

ZAFFIRO PREZIOSO DEL TEMPIO DELLA LUCE.

Zeus Olimpio giacque con molte Ninfe, discendenti di Titani o di Dei e dopo la creazione del genere umano, anche con donne mortali. Dapprima infatti egli generò Ermete in Maia, figlia di Atlante, che partorì il figlio in una grotta sul monte Cillene in Arcadia. Appena nato, sua madre lo avvolse nelle fasce e lo depose in un canestro, ma con sorprendente rapidità egli si trasformò in un ragazzino, e non appena la Dea gli voltò le spalle balzò fuori dalla culla e andò in cerca di avventure. Nota è quella del furto della mandria di vacche del fratello Apollo, in Pieria, da parte di quel portentoso fanciullo che aveva strabiliato i Satiri d’Arcadia con il suono di una musica mai udita prima. La Ninfa Cellene sua nutrice lo vide costruire un ingegnoso balocco musicale con il guscio di tartaruga e delle corde, dal quale egli aveva tratto una dolce musica. Una volta che Apollo ebbe perdonato il piccolo Hermes, i due Dei ritornarono sul monte Cillene dove Ermete salutò sua madre e andò a frugare sotto una pelle di capra per prendere qualcosa che aveva nascosto, “Che hai lì?” chiese Apollo. Per tutta risposta, Ermete gli mostrò la lira che aveva ricavata da un guscio di tartaruga, e suonò una melodia così bella, servendosi del plettro, e cantò una canzone così lusinghiera elogiando l’intelligenza, la nobiltà e la generosità di Apollo, che gli Dei rinsaldarono la loro fraterna amicizia. Sempre suonando e cantando, Ermete guidò verso Pilo il deliziato Apollo e gli restituì la mandria che aveva nascosto in una grotta. “Facciamo un baratto” disse Apollo, “io ti lascio la mandria in cambio della lira”. “D’accordo” rispose Ermete, e suggellarono il patto con una stretta di mano. Mentre le vacche pascolavano pigramente Hermes tagliò una canna, ne fece uno zufolo da pastore e suonò un’altra melodia. E Apollo, di nuovo deliziato, gridò: “Facciamo un baratto! Tu mi dai lo zufolo ed io ti do il bastone dorato che uso per radunare il bestiame; in futuro tu sarai il Dio di tutti i mandriani e i pastori”. “Il mio zufolo vale più del tuo bastone” replicò Ermete, “ma accetto di fare il baratto se mi insegni l’arte augurale”. “Questo non lo posso fare”, replicò Apollo, “ma se andrai dalle mie vecchie nutrici, le Trie che vivono sul Parnaso, esse ti insegneranno a leggere il futuro nelle pietre”. Si strinsero di nuovo la mano e Apollo, riportato il fanciullo sull’Olimpo, raccontò a Zeus l’accaduto. Zeus invitò Ermete a rispettare d’ora in poi la proprietà altrui e a non dire spudorate bugie, ma non potè trattenersi dal sorridere. “Mi pare che tu sia un piccolo Dio molto ingegnoso, eloquente e persuasivo”, disse. “E allora fa di me il tuo araldo, o Padre”, rispose Ermete. “Io custodirò i beni divini e non dirò mai bugie, benché non possa promettere di dire sempre tutta la verità”. “Da te non me lo potrei aspettare”, rise Zeus, “ma i tuoi compiti non si limiteranno a questo. Dovrai presiedere alla stipulazione dei trattati, favorire i commerci e proteggere i viaggiatori su tutte le strade del mondo”. Hermes accettò le condizioni e Zeus gli diede una verga da araldo adorna di bianchi nastri, che tutti avrebbero dovuto rispettare; un berretto rotondo che gli riparasse il capo dalla pioggia ed aurei sandali alati che l’avrebbero portato dovunque con la rapidità del vento. Egli fu accolto con entusiasmo dalla famiglia degli Dei Olimpici e insegnò loro ad accendere il fuoco facendo roteare rapidamente un bastoncino nella fessura di un ceppo.

In seguito le Trie insegnarono ad Hermes come predire il futuro osservando la disposizione di piccole pietre in un catino pieno di acqua, ed egli stesso inventò poi il gioco divinatorio degli ASTRAGALI.
Anche Ade si servì di lui come araldo, perché facilitasse il trapasso dei morenti in modo eloquente e gentile, appoggiando sui loro occhi la sua verga d’oro.
Ermete aiutò le tre Moire a comporre l’alfabeto; inventò inoltre l’astronomia, la scala musicale, l’arte del pugilato e della ginnastica, la bilancia, le misure di capacità e la coltivazione dell’olivo.
Taluni ritengono che la lira inventata da Hermes avesse sette corde; altri che ne avesse soltanto tre, o quattro, corrispondenti alle stagioni o alle quattro parti dell’anno, e che Apollo portò il loro numero a sette.
Ermete ebbe molti figli, fra i quali ricordiamo Echione, l’araldo degli Argonauti, Autolico, e Dafni, l’inventore della poesia bucolica. Codesto Dafni era un bel giovane e sua madre, una Ninfa, lo abbandonò in un bosco d’allori sulla montagna di Era; ecco il perché del nome che gli fu dato dai pastori, suoi genitori adottivi.
Pan gli insegnò a suonare lo zufolo; egli era il beniamino di Apollo e Artemide lo portava spesso con sé nei boschi, gradendo il suono della sua musica. Dedicava gran cura alla sua mandria, che era della stessa stirpe della mandria di Elio.
Una Ninfa chiamata Nomia gli fece giurare di non esserle mai infedele, sotto pena di venire accecato; ma la rivale di Nomia, Chimera, riuscì a sedurre Dafni ubriaco, e Nomia lo accecò mettendo in atto la sua minaccia.
Ermete trasformò poi suo figlio in una pietra che ancora si vede presso la città di Cefalenitano e fece sgorgare altrove una fontana che porta il nome di Dafni: colà ogni anno si celebrava in onore degli Dei.
Hermes generò anche Pan in Driope, figlio di Driopo; o della Ninfa Enide, o in Penelope, moglie di Odisseo, che egli amò sotto forma Ariete, oppure nella capra Amaltea.
Ora appunto la leggenda che Ermete generasse Pan in Enide si spiega da sé, benché in origine le Menadi usassero ricorrere ad altre sostanze inebrianti che non il vino.
La leggenda invece secondo cui Hermes si reca da Penelope sotto forma di Ariete (l’ariete che è nella stregoneria dell’Europa nord-occidentale il Dio cornuto delle streghe) avvicina il Dio a Dioniso Signore del Rito Segreto delle streghe Toscane e amante della Dea figlia di Diana.
Hermes riprodusse i suoni primordiali delle Tre Moire in segni, servendosi di tratti cuneiformi perché le gru a lui sacre volano in formazione a cuneo, e introdusse questo sistema dalla Grecia in Egitto.
In ciò era simile al Dio Egizio Thoth, inventore delle lettere, con il suo ibis sacro, parente della gru.
Un’antica raffigurazione presentava Ermete, con i sandali alati e l’elmo, nell’atto di ricevere in dono un occhio magico delle Tre Moire.
Codesto occhio simboleggia la facoltà di percezione di visione dei tre mondi. Le Moire gli donano anche un dente divinatorio, un falcetto, per tagliare dal tronco i ramoscelli per l’alfabeto, una sacca raffigurante una gru in cui riporre tali oggetti, e una maschera di Gorgone per tenere lontani i curiosi e conservare la segretezza degli insegnamenti ricevuti.
Il Dio è inoltre indicato nell’Odissea come colui che offrì a Ulisse armato di spada, un talismano per rendere inefficaci gli incantesimi di Circe e liberare i compagni fatti da lei prigionieri, un bianco fiore profumato e dalla nera radice, chiamato Moli, che gli Dei soltanto possono riconoscere e raccogliere.
Come ministro e messaggero della “ineffabile volontà” di Zeus, Hermes era rappresentato oltre che con magici calzari d’oro alati e con il Caduceo, anche con ilpetaso, il largo cappello rotondo dei viaggiatori greci.
A lui come messo di Zeus sono consacrate da tempo antichissimo le erme, le sacre pietre aniconiche che sorgono sulle strade e ai crocicchi; è inoltre il protettore dei viaggiatori in pericolo. Divinità benigna sempre, fin dai tempi più antichi, nel culto come nel mito: Hermes ERIUNIOS, il "benigno".

Mai nel mito greco lampeggia la sua collera divina, destinata ad abbattersi vendicatrice sopra gli eroi e sopra gli uomini comuni, come s’abbatte talvolta sul mondo eroico ed umano la collera di Era, di Artemide e perfino del luminoso Apollo e di Atena, amica degli eroi.

L’improvvisa apparizione del messaggero d’Olimpo svela severi ordini e qualche volta annuncia punizioni gravi; ma quasi sempre porta una parola consolatrice, e spesso arreca aiuto a Dei o a eroi in pericolo;  talvolta significa la liberazione.
Ermete accorre a liberare il Dio Ares incatenato entro un orcio di bronzo dai terribili giganti ALOADI, che mettendo una sull’altra due imponenti montagne, Ossa e Pelio, si apprestavano a dar la scalata all’Olimpo.
Egli per ordine di Zeus riporta alla desolata madre, Persefone, rapita dal Dio d’Averno (INNO OMERICO A DEMETRA I, V.377 e SEGG.).
Ed è rimasto nella tradizione mitica dei Greci d’epoca arcaica e classica l’ARGICIDA (qualunque pur sia il primitivo significato originario della parola ARGEIFONTES): quello che ha ucciso il gigantesco Argo dai molti occhi per liberare l’infelice IO.
Tuttavia nella tradizione letteraria e figurativa Greco-Romana, Hermes non porta alcuna arma, né l’arco come i due figli di Latona, Apollo e Artemide né lo scudo e l’egida come Atena, né la lancia come Marte.
Perfino nella Gigantomachia, cui partecipa nel gruppo centrale dei combattenti Divini come Divinità ausiliaria a fianco di Atena e Zeus, Hermes figura senza scudo e senza elmo; e non di rado il caduceo fatato prende il posto, nelle rappresentazioni vascolari e nelle sculture, della spada o della occasionale pietra da fionda.
Unico per le divinità maschili d’Olimpo che fanno corona a Zeus nelle processioni divine delle assemblee, nei mitici incontri fra eroi e numi sulla terra, sta senz’armi, col suo caduceo fatato simbolo di un antico arcano potere magico: quello già assegnato al Dio Infante dal fratello Apollo:

“TE MEDIATORE FARO’ FRA I CELESTI E MORTALI… E UNA VERGA ANCHE AVRAI BELLISSIMA, CHE VITA BEATA E RICCHEZZE PROCACCI INDISTRUTTIBILE, D’ORO, A TRE FOGLIE, E SARA’ TUO PRESIDIO ESSA SU TUTTE LE VIE DEI DISCORSI E DELLE OPERE EGREGIE TI CONDURRA’… (Inno omerico a Ermes vv. 526 e segg.)

 

Messaggero celeste; e tuttavia mai brandisce l’egida di Zeus come Atena. Sicché al vederlo giungere, quando si manifesta in forma diretta o indiretta, il Dio o l’eroe non sbigottisce per lui, né trema pensando all’arcano, inviolabile, onnipossente volere del Dio supremo. La sua presenza mai terribile è spesso amica; talvolta al suo passare balena un sorriso, si accende una speranza. Ermes ERIUNIOS (il benigno) lo fanno apparire già nell’Iliade le parole di Zeus, quando lo manda in aiuto al vecchio re Priamo, solo con un vecchio scudiero in cammino verso le tende nemiche: Ermete, o TU CHE GODI FRA TUTTI I CELESTI COMPAGNO FARTI DELL’UOMO, E ASCOLTI SE ALCUNO TI CHIAMA, SE VUOI MUOVI ORA…
(Omero Iliade XXIV vv.334 e segg.).
La ricchezza dei motivi religiosi che sono confluiti nella complessa figura del Dio, testimoniano di un culto vetusto, diffuso per la Grecia e di cui le vestigia si potrebbero cercare fuori dai grandi templi, negli altari, nei piccoli sacelli, nel mai dimenticato carattere sacrale delle erme.

“ERMETE IO SONO QUI, PRESSO L’ORTO BATTUTO DAI VENTI, DOVE SI APRON TRE STRADE, PRESSO ALLA BIANCA SPIAGGIA. E AI PASSEGGERI STANCHI DEL LUNGO CAMMINO UN RISTORO OFFRO, CHE’ UN’ACQUA PURA SOTTO I MIEI

PIEDI SGORGA” (Antologia Palatina IX, 314).

Figura molteplice, con un contrasto apparentemente inspiegabile accade che a lui si volga, come ad Atena e ad Apollo, la preghiera solenne e ispirata di Alceo:

SALVE O DIO CHE PROTEGGI CILLENE, IL MIO CUORE INNEGGIA A TE CHE SU CIME SANTISSIME GENERO’ MAIA CONGIUNTA AL CRONIDE UNIVERSO RE.

Amabile è nell’inno omerico a lui dedicato il passo ove l’incontro con la tartaruga vicino alla grotta materna, nel suo primo avventurarsi fuori sul far della sera, porta Hermes bambino a costruirsi, anzi inventare un nuovo meraviglioso giocattolo:

“UNA TESTUGGINE PRIMA TROVO’.  NE CAVO’ GRAN SOLLAZZO.

GLI CAPITO’ FRA I PIEDI DINANZI LA PORTA DELL’ANTRO, MENTRE PASCEVA PRESSO LA CASA LA FLORIDA ERBETTA MUOVENDO LEMME LEMME…
LA GUARDO’, RISE, E QUESTE PAROLE SUBITO DISSE:
«AUSPICIO SEI PER ME PROFITTEVOLE, ED IO NON TI SPREGIO.
SALVE, O PIACEVOLE ESSERE, CHE FAUSTO MI APPARI… DI DOVE MAI GIUNGI, O SOAVE TRASTULLO, GUSCIO VERSICOLORE, MONTANA TARTUCA?
ORA TI PIGLIO E A CASA TI PORTO… LA COSA SARAI CHE PER PRIMA MI
GIOVI.  E SE MORRAI POTRAI DOLCISSIMO EFFONDERE UN CANTO».
E RIENTRO’ NELLO SPECO RECANDO IL GIOCATTOLO CARO.
(Inno omerico a Ermes vv. 24 e segg.).

In tutta la tradizione ellenica le Muse e Apollo, loro corifeo hanno come “retaggio comune” la lira, la KHITARA, la CHELYS, tutti gli strumenti a corde, ma nessuno figura loro invenzione.

Inventore è Ermes; fino alla tarda età ellenistica gli scultori amano rappresentare il Dio con sotto il braccio la tartaruga, il “giocattolo caro” dell’inno omerico e del dramma sofocleo.
E poiché secondo la tradizione mitica arcaica è invenzione di Ermes anche la zampogna, si deve porre in rapporto a questo mito musicale una suggestiva leggenda raccolta in un altro dramma satiresco di Sofocle, l’INACO: Ermes uccide il gigantesco custode di Io, Argo dai molti occhi, addormentandolo al suono di arie incantatrici con la sua zampogna:

E’ ERMES! Ecco sento la voce del tuo flauto…

(Sofocle INACO cf. PAGE, SELECT PAPYRY, 6, V, II pag. 24).

Così nell’atto di suonar la zampogna di fronte ad Argo il Dio è rappresentato in un’incantevole pittura pompeiana.

Secondo un’altra leggenda, forse tebana, sarebbe un dono di Hermes anche la lira con la quale l’eroe Anfione fa danzare le pietre che saranno utilizzate per comporre, in simmetriche armoniose strutture, le mura della cinta di Tebe.
Va collegata senza dubbio a questo mai dimenticato antico mito musico anche una serie di vasi attici arcaici e classici, dove Hermes con caduceo e petaso, reggendo la cetra ora guida un corteggio di Ninfe o una processione divina, ora si accompagna ad allegri stuoli di Sileni flautisti e di Menadi danzanti, ora trascorre come nei versi dell’Odissea la distesa immensa delle onde a volo.
Più interessante di tutti, e simbolicamente significativo, si stacca dalle altre la pittura detta “dell’anfora del maestro di Berlino”.
In una mirabile armonia compositiva, la figura del Dio giovinetto vi appare legata con quella di un vecchio Sileno, così che al cantaro nella mano protesa di Ermes idealmente si congiunge la lira che il Sileno ha ricevuto da lui in cambio dell’inebriante dono di Dioniso.
Nel voluto avvicinamento fra il Dio musico e il ferino sfrenato seguace di Dioniso trova quasi trascrizione figurativa il particolare carattere della musica di Hermes, su cui poneva l’accento l’inno omerico:

PRENDI L’AMICA DEL GARRULO SUONO,

RECALA A CUOR SICURO DOVE E’ L’ALLEGRIA DEI BANCHETTI,
DOVE L’AMABILE DANZA, DOVE ERRANO GLI EBBRI A SOLLAZZO, DEL GIORNO E DELLA NOTTE COMPAGNA GIOCONDA.
(Inno omerico a Ermes I vv. 478 e segg.)

L’impudente allegria di quel canto infantile dell’inno (il bambino che canta gli amori materni) chiuso in linee di una sobria bellezza nel disegno dal “Maestro di Berlino” e appena riaffiorante nel canto di Sofocle, è d’altronde quanto è rimasto nel mito arcaico e classico di quel carattere fallico che da molte parti si tende a considerare tratto originario e fondamentale della divina figura di Ermete.

Per essere sicuri della sua alta antichità, dato il silenzio dei poemi omerici, bisognerebbe essere sicuri dell’autentica arcaicità delle erme “falliche”.
Nella storia mitica di Hermes per uno strano contrasto manca ogni episodio erotico; sarebbe assurdo interpretare in questo senso le genealogie locali che lo fanno padre o capostipite di singoli eroi.
Un verso, molto citato, dell’inno omerico ad Afrodite che sembra alludere ai suoi (del Dio) incontri amorosi con le Ninfe Silvane  (…LE NINFE MONTANE DAL SENO RICOLMO, CON ESSE L’ARGICIDA DI ACUTA PUPILLA E I SILENI SI MESCONO D’AMORE, NEL FONDO DI AMABILI SPECHI… – Inno omerico di Afrodite I vv. 261 e segg.- ), resta senza eco.
Sui bassorilievi arcaici col mito del Dio Cillenio, le Ninfe sono soltanto una leggiadra corona muliebre intorno a un severo Dio barbato, messaggero di Numi.
La loro presenza richiama piuttosto quel fondamentale carattere di Hermes, Dio dei luoghi solitari, Signore delle mandrie che è implicito nel mito della sua nascita divina.
Destinato a passare in seconda linea di fronte ai tratti dominanti, e sempre meglio definiti, del messo divino, il duplice carattere di Dio fallico e di Dio silvano liberamente, direi quasi sfrenatamente, si esprimono con una violenza insolita, nel mito del mostruoso e meraviglioso ibrido figlio di Ermes, il divino Pan.
Se la popolarità di una figura mitica si dovesse misurare dalla iconografia, soprattutto dalle arti minori, nessun Olimpio potrebbe dirsi più popolare di Ermes; certo neppure Apollo; forse la sola Atena limitatamente all’Attica.
Lo vediamo presente nella poesia e nell’arte, a tutti i grandi eventi del mito greco dalla Gigantomachia alla nascita di Afrodite, all’apoteosi di Eracle, alle nozze di Arianna e Dioniso.
Presente sempre negli incontri per gli Dei lo vediamo rappresentato nei vasi antichi muovere sul cocchio nel lungo manto dell’Auriga, alle nozze di Teti, lo incontriamo coppiere in nozze divine: “I CRATERI ERAN COLMI D’AMBROSIA, ERMES, CON L’OLPIDE MESCEVA AGLI DEI, E GLI DEI TUTTI TENEVANO IN MANO I BICCHIERI, LIBAVANO, LEVAVANO VOTI AUGURALI ALLO SPOSO”.
Pronto a scattare sui suoi calzari alati, lo incontriamo alla nascita di Erittonio, alla contesa fra Atena e Poseidone; sui più antichi vasi attici Hermes e non Iris assiste alla nascita di Minerva.
Ma spesso in grandi scene mitiche Ermes non è soltanto spettatore ma attore, con una parte di primo piano: è lui a guidare le Tre Dee al fatale “Giudizio di Paride” secondo una tradizione epica che risale alle CIPRIE, immutato nell’iconografia greca fino alla tarda antichità.
A lui è affidato il compito di accompagnare sulla terra la prima donna mortale, Pandora, la bellissima creatura foggiata da Efesto per ordine di Zeus, “il bel flagello” inviato agli uomini.
Ma più spesso benigno, appare salvatore di Dei ed eroi in pericolo.
Ha salvato Ares prigioniero del Phitos di bronzo e ha liberato Io uccidendo Argo dai mille occhi. Terribile custode inviato da Era gelosa, riporta alla disperata madre Demetra la figlia Persefone, rapita dal Re di Averno; e accompagna l’eroe attico Trittolemo che per mandato di Demetra parte sul meraviglioso carro alato donatogli dalla Dea per diffondere l’insegnamento dell’agricoltura fra gli uomini ancora incivili.
Salvatore di Dioniso fanciullo perseguitato dalla furia gelosa di Era, appare in una luce particolarmente serena nel mito dionisiaco eternato dalla luminosa arte di Prassitele: giovanile, nuda, serena figura coi calzari alati al piede, con Dioniso infante fra le braccia, per riportarlo alle Ninfe di Nisa.
E con lo stesso gesto, in una luce di serenità lo vediamo prendere fra le braccia un piccolo figlio di Apollo e della Ninfa di Cirene, nei versi di un’ode famosa di Pindaro: “qui darò alla luce un fanciullo che Ermete illustre porterà alle Ore dai fulgidi troni e alla terra prendendolo dalle braccia della diletta sua madre”. (Pindaro, Pitica IX,vv.107 e segg.).

 

Secondo la leggenda attica, Ermes ha portato in salvo un altro figlio segreto di Apollo: il piccolo Ione, deposto furtivamente in una grotta sacra dalla principessa ateniese Creusa come viene in scena a narrare il Dio in persona nello Ione euripideo.

 

Nelle scene eroiche del mito greco, vediamo Hermes a fianco di eroi nelle ore del pericolo; più che con il soccorso della spada e dello scudo con il conforto della parola che rincuora, col consiglio che viene da Zeus.
Nelle pitture vascolari; dai tempi più antichi, Perseo l’ha vicino quando va ad uccidere la Gorgone, Eracle lo ha al fianco, messo di Zeus, in molti dei rischi più gravi, come quanto scende all’Averno a prendere il cane Cerbero.
Sotto questo aspetto una solo divinità greca nel mito figura così affettuosamente soccorritrice e vicina all’uomo, Atena.
Ma a differenza di Atena Ermes non combatte a fianco dell’eroe.
Significativo, sotto questo aspetto, potrebbe dirsi una oinochoe a figure nere del Louvre, dove Eracle fa il suo ingresso in Olimpo preceduto e accompagnato dai suoi fraterni amici divini: con scudo e lancia Atena, ma Hermes armato solo del suo caduceo fatato.
Mercurio-Ermete è il Dio del viaggiare del tutto diverso dal vagabondare. L’eroe Hermetico o l’Adepto della Magia di Luce è piuttosto un viaggiatore e non un viandante.
E’ colui che attraversa le vie dell’Arcano sapere alla volta degli Spazi Stellari di altri mondi senza tempo.
Il viandante infatti malgrado il suo movimento continuo, è attaccato al suolo, seppure non a un suolo troppo limitato. La condizione del viaggiatore è invece quella dell’essere sospeso.
Negli altri, in coloro che hanno profonde radici, e perfino nel viandante stesso, egli desta l’impressione di uno che fugge incessantemente.
Effettivamente, egli si volatilizza per tutti, anche per se stesso. Egli si risolve quasi nel suo movimento continuo ma non si unisce ad alcuna compagnia umana che lo legherebbe.
I suoi compagni sono compagni di viaggio.
Non compagni che egli voglia ricondurre a casa, come Ulisse e i suoi, bensì compagni ai quali egli si associa volentieri, come è detto di Hermes nell’Iliade.
Se qualcuno si sente a casa sua in questo mondo di strade, il suo Dio è Hermes.
Egli è continuamente in viaggio, lui, l’ENODIOS, lo ODIOS che si incontra in tutti i sentieri.
Anche quando appare immobile, egli è in movimento. Anche nel Dio seduto è facile riconoscere colui che sta per passare oltre, come giustamente è stato detto a proposito della nota statua di bronzo di Ercolano.
Le sue funzioni di guida e di compagno sono spesso rammentate e celebrate. Ed egli è, almeno sin dal tempo dell’Odissea, anche ANGHELOS, messaggero degli Dei.
Il “Messaggio”, ANGHELIA, secondo Pindaro una figlia di Hermes arriva più facilmente dagli Dei, quando i limiti fra caducità ed eternità, Terra e Olimpo sono aperti.
Nell’Odissea gli Dei inviano Hermes da Egisto, inutilmente, con un monito (I,38). E vediamo il Dio recarsi in fretta da Calipso con l’ordine di Zeus.
Calzate le scarpe prodigiose e presa la bacchetta: “…SU LA PIERIDE GIUNTO, PIOMBO’ GIU’ DALL’ETRA NEL PONTO SOPRA LE CRESTE DEI FLUTTI LANCIANDOSI, PARI AL GABBIANO CHE DIETRO I PESCI, PER GLI ORRIDI GORGHI DEL MARE INFINITI S’AVVENTA, E IMMERGE NELLA SALSEDINE L’ALI SUE FOLTE: SIMILE A QUELLO CORREVA SUI VORTICI INNUMERI ERMETE”.
Con la stessa naturalezza con cui qui egli fa la parte del messaggero degli Dei e, nell’ultimo canto dell’Odissea, quello della guida delle anime, in un’altra parte caratteristica dell’Odissea egli appare come salvatore, esperto nelle arti magiche, dell’eroe nell’isola di Circe.
Così naturale è la sua comparsa lì davanti ad Ulisse, che questi nemmeno si meraviglia quando il Dio gli porge la mano, gli parla e gli regala l’erba medica contro la pozione magica di Circe.
Ulisse infatti ha una relazione tutta sua con Hermes: in linea materna egli discende da Hermes, per quanto l’Odissea non ne parli particolarmente.
Esso parla tanto più di suo nonno ATOLYCOS, menzionato anche nell’Iliade, figlio di Hermes.
Questi appunto venerava il Dio in un modo particolare (XIX, 397).
Ulisse dice al suo fedele porcaio EUMEO che tutti gli uomini devono a questo Dio se la loro opera è coronata da “grazia e gloria” (XV,320).
Ma non può essere dubbio che il grande talento dell’eroe astuto appartiene alla linea HERMES-AUTOLYKOS, anche se esso non ha più l’esuberanza mitologica primordiale che lo contraddistingue nel corso di queste due figure.
Ulisse è semplicemente il POLITROPOS, il “molto versato”, mentre secondo una fonte AUTOLYKOS aveva perfino la facoltà di trasformarsi e secondo un’altra fonte rendeva invisibile tutto ciò che toccava.
Nell’inno omerico il Dio appare come il fanciullo primordiale che cresce per divenire un Olimpico. E con ciò il suo carattere preolimpico viene inquadrato nella sua figura classica “…ERMETE, O MUSA, CANTA, DI GIOVE FIGLIUOLO E DI MAIA. LUI CHE CILLENE E L’ARCADIA NUTRICE DI GREGGI TUTELA, DEGL’IMMORTALI ARALDO…”.
Immediatamente si mettono in rilievo due rapporti del Dio celebrato.
L’uno è quello che egli ha con una regione greca ove godeva di particolare venerazione, l’Arcadia, e con un monte che era suo luogo di culto, Kyllene.
A questo monte si riconnetteva il mito della sua nascita.
L’altro rapporto è appunto quello con gli Olimpici.
Hermes appartiene a loro, quale loro messaggero. In questa sua qualità spetta al Dio l’appellativo omerico ERIUNIOS: il “veloce”. Dice l’inno omerico: “…SUA MADRE FU MAIA, NINFA DAI RICCIOLI BELLI, CHE A GIOVE SI STRINSE D’AMORE, PURA FANCIULLA SCHIVARE LE SCHIERE SOLEA DEI BEATI SEMPRE, VIVEA FRA L’OMBRA D’UN ANTRO. IL FIGLIUOLO DI CRONO AMO’ QUIVI LA NINFA RICCIUTA, NEL CUOR DELLA NOTTE, MENTRE GIUNONE IMMERSA GIACEVA NEL DOLCE SOPORE, RESTANDO AI NUMI TUTTO NASCOSTO, ED A TUTTI I MORTALI”.
Essa abitava in una grotta. Lì Zeus genera con lei Hermes. Amore furtivo ma tanto più assaporato, notte profonda, il sonno chiamato in aiuto contro Hera, e segreto soprattutto; questi sono i quattro elementi che concorrono qui al primo momento della Teofania del Dio.
E ancora: “…MA QUANDO FU COMPIUTO DI GIOVE POSSENTE IL DISEGNO, ED ERAN VOLTI GIA’ PER LEI DIECI MESI NEL CIELO, DIEDE ALLA LUCE IL FANCIULLO, COMPIUTA FU L’OPERA INSIGNE”. Questo fanciullo “…CHE PRESTO COMPIERE CELEBRI IMPRESE DOVEA FRA I NUMI IMMORTALI”, veniva come ricollegato alla Tetrade sacra: “NATO ALL’ALBA, A MEZZOGIORNO GIA’ SUONO’ LA LIRA, DI SERA RUBO’ I BUOI DI APOLLO LUNGISAETTANTE IN QUEL QUARTO GIORNO DEL MESE IN CUI LA POTENTE MAIA L’AVEVA PARTORITO”.
La connessione di Hermes con il numero quattro non deriva certamente dal poeta; essa è soltanto almeno tanto antica quanto l’inno, ma probabilmente molto più antica.
Il quarto giorno del mese – per esempio – non era sacro soltanto a Hermes ma anche ad Afrodite che con lui ha stretti rapporti anche in altri riguardi.
E la stabile connessione con il numero quattro risalta anche dal fatto che in Argo il quarto mese dell’anno si chiamava Hermaios.
Gli antichi consideravano la quaternità come uno degli elementi costitutivi più solidi della figura di Hermes e la intravedevano nella forma quadrata delle erme.
Il tardo autore Marziano Capella riassume l’opinione generale, dicendo (VII, 734): NUMERUS QUADRATUS IPSI CYLLENIUS DEPUTATUR, QUOD QUADRATUS SOLUS DEUS HABEATUR.
Si tratta di un numero base, una forma di espressione della totalità divina, che il poeta connette qui quasi per gioco col tre ugualmente non estraneo a Hermes; egli viene raffigurato anche con tre teste e l’Inno definisce la sua verga come “aurea, dalle tre foglie”. In questo gioco poetico la nascita non per niente coincide col mattino e la lira non per niente risuona intorno a mezzogiorno. L’aspetto poi catactonio di Hermes appare di notte.
Incontrare e trovare sono una rivelazione essenziale di Hermes, così come felicità e ricchezza, quasi doni prodotti dalla verga del Dio. Secondo l’Iliade Hermes dona ricchezza per mezzo della fecondità, nell’Odissea egli viene invocato quale “donatore di beni” in una connessione in cui anche gli altri Dei vengano definiti in questo modo (VIII,335,325).
Il trovare come caso, di per sé non è ancora “ermetico”: esso è solamente materiale per un’opera “ermetica” che di esso può essere formato nello spirito del Dio Hermes se ne è impossessato, e per mezzo suo ogni trovata, che di per sé è proprietà divina e non umana, diventa “un furto” che rende possibile il suo migliore uso.
Il temine greco per un TROVAMENTO FORTUNATO, ERMAÌON, dice appunto che esso appartiene a Hermes. Così si chiamava anche l’offerta che si deponeva alle erme delle strade, un trovamento fortunato per i viandanti affamati che lo sottraevano al Dio, nel suo spirito.
Secondo la spiegazione antica il significato più generico della parola Ermaion si fondava in realtà su questa più specifica interpretazione: Hermes che approva e legittima l’appropriazione dei “doni del caso”, quasi “arraffati per furto”.
Naturalmente, essere senza scrupoli non è più una qualità “ermetica”: questa richiede anche spirito e arte del vivere.
Quando anche lo stupido ha fortuna, questa gli proviene dal non-spirituale Eracle che, specialmente in Italia, era venerato come Dio della Fortuna.
Lo stupido sarà allora DIVES AMICO HERCULE. Il piccolo e delizioso mitologemo cui Orazio allude con queste parole (SAT, II, G,10 segg.) ci vien narrato dal suo esegeta Porfirione.
Mercurio una volta si è lasciato persuadere da Ercole a rendere ricco un uomo stupido.
Egli ha fatto vedere a questi un tesoro, con cui poteva comprare il terreno sul quale lavorava. Lo fece infatti, ma si dimostrò indegno del trovamento “ermetico” continuando a lavorare sullo stesso terreno.
Mercurio, l’allegro Dio dallo sguardo penetrante, pieno di inventiva e di slancio è anche un Dio evocatore della Musica Arcana. “Giocondità, amore e dolce sonno” sono, secondo le parole di Apollo (499), i doni di quest’arte “ermetica” di cui egli si appropria per farne la forma di rivelazione della sua essenza.
Ma originariamente essa era quella di Hermes, come del resto rimane ancora nel suono della SYRINX, Arcaico canto essenzialmente itifallico dell’alato Dio Signore del gioco.
Molto interessante è poi la divisione delle funzioni oracolari riconosciute dall’Olimpo ai due fratelli Divini.
Apollo conserva per sé quella vera e propria che “conosce la mente di Zeus” (535), il suo “consiglio” (538).
Solo lui deve poter servire con ciò agli uomini, oppure danneggiarli, se lo meritano, con la loro eccessiva curiosità. Egli non crede che Hermes possa conservare un simile atteggiamento sublime: anzi, in questo punto significativo egli nemmeno gli si rivolge come a un suo pari, bensì come all’“eriounios daimon degli Dei” (551).
Benché non implichi una degradazione, la parola daimon sta tuttavia alquanto lontano dal distanziato carattere divino di Apollo, e precisamente più vicino a un incontro o contatto col piano dei mortali. Il grande Rivelatore della verità cede dunque al demone veloce, araldo dell’aureo caduceo, una singolare specie di oracolo.
Si tratta di tre “venerande sorelle” il cui nome non viene precisato. La loro descrizione è un indovinello, e lo è intenzionalmente, come conviene al linguaggio oracolare (533): “vergini, e vanno liete di rapide penne: tre sono, ed hanno tutto il corpo cosparso di bianca farina. Hanno sottesso un anfratto del monte Parnaso la casa, e insegnano in disparte le loro profezie, ch’io fanciullo appresi, mentre i buoi custodivo; né Giove la cura. Chi qua, chi là, da questo rifugio poi sciamano a volo; cibano favi; e tutti si compiono i loro presagi e quando invasan poi, pasciute del pallido miele, volenterose danno responsi veridici: quando tengono invece in dispregio quel cibo soave dei Numi, tentano allora altrui sviare dal retto sentiero”.
Esse sono le api – ecco la soluzione dell’indovinello.
Per gli antichi le api sono vergini. Esse “godon delle loro ali veloci”, come è detto nel testo originale. I loro “capi” sembrano “cosparsi della farina bianca” del polline.
Esse “mangian la cera” o più precisamente la raccolgono, per costruire i loro favi.
Esse si saziano di miele. Esse svolazzano attorno ai bambini prodigiosi, conferendo loro i doni delle Muse. Esse, per l’antichità, hanno anima, anzi sono anima pura. Le api piene del “dolce cibo degli Dei”, il miele, sono come le anime piene dell’ENTHOUSIASMOS.
La parola usata per il loro “sciamare” (THUIOSIN) significa, appunto, il delirio delle menadi invasate.
Le tre sorelle enigmatiche sono dunque api; come tali però sono anime, la cui capacità di divinare dipende dalle circostanze, se esse sono “piene” o “vuote”.
Queste condizioni – che formulate su un diverso piano, conosciamo dal CONVITO di Platone – sono dunque la base esclusiva dell’oracolo ermetico. La tradizione classica più tardi non sa più nulla di tutto questo.
Sono noti i rapporti di Hermes con i dadi, i sorteggi e simili oracoli tratti dal caso.
Meno noto è Hermes quale Signore degli Animali in generale; così amplia ora Apollo il dominio del fratello sugli armenti.
E alla fine Apollo dice qualcosa di notevole anche intorno alle funzioni di messaggero di Hermes (572): “unico sarà presso Hades messaggero perfetto, che non il minor dono darà, senza esserne remunerato”. Indubbiamente qui si allude allo Psicopompo e alla sua carica.
Egli è “messaggero presso Hades” e lo è precisamente in virtù di UNA SPECIALE INIZIAZIONE.
Così appare chiaramente dal primo verso: OION D’EIS AIDEN TETELESMENON ANGELON EINAI. La parola TETELESMENOS significa qui qualcosa di più che “il perfetto”.
Il contesto ci autorizza a pensare ad una consacrazione, prendendo TELEIN nel senso di “iniziazione”.
Era nella natura di certi misteri greci che, in seguito alle iniziazioni in essi ottenute, si entrava in relazione risolutiva con l’Hades (ed è perciò che per gli iniziati la morte “non era il minor dono”). E’ sempre nella magica guida che culminano tutte le azioni del Dio, nella guida al prezioso guadagno. In affetti nella grazia del conducimento si rivela la vera essenza del Dio.
Forse è per questo che Hermes può in modo così convincente apparire davanti a noi, condurci sulle nostre strade, mostrarci tesori aurei in ogni momento.
E’ inoltre interessante riportare ora che secondo alcune tradizioni Eros sarebbe stato effettivamente un figlio di Hermes. Esse non fanno parte della tradizione classica, ma ne formano, accanto ad essa, un’altra più segreta.
Cicerone, che nella sua opera DE NATURA DEORUM (III, 23,60) ce le ha tramandate, nella stessa parte del suo lavoro si richiama in merito a “coloro che studiano gli scritti di carattere più segreto”: QUI INTERIORES SCRUTANTUN ET RECONDITAS LITERAS. Egli enumera semplicemente le differenti varianti mitologiche, distinguendo tra differenti divinità che hanno lo stesso nome.
Il primo Eros sarebbe stato dunque un figlio di Hermes e della prima Artemis, il secondo Eros quello di Hermes e della seconda Afrodite: CUPIDO PRIMUS MERCURIO ET DIANA PRIMA NATUS DICITUR, SECUNDUS MERCURIO ET VENERE SECUNDA.

 

HERMES E I MISTERI

 

Rimane ancora aperto anche il problema di una tradizione risalente a certi misteri, cui l’inno omerico a Hermes allude verso la sua fine.
Sono infatti ancora tanti i problemi insoluti, dietro ai quali si nasconde invitante il mistero di Hermes.
Hermes, quale compagno di Dee, è ben noto anche alla tradizione classica.
Nell’Odissea, Eumeo che vive fuori nei boschi, offre libagioni alle Ninfe e a Hermes, testimoniando in questo modo di un’antichissima relazione tra queste divinità.
L’inno omerico ad Afrodite parla di questa relazione in modo più dettagliato (257 e segg.).
Secondo quanto vi è esposto, le Ninfe, menzionate nell’Odissea prima di Hermes, non sono Dee immortali, ma donne umane. Insieme con esse sono nati alberi che alla fine muoiono con le loro padrone longeve.
Nemmeno le Ninfe delle sorgenti hanno una vita eterna secondo la tradizione classica.
Ma tanto più generosamente offrono i loro doni.
Ai bambini divini o semidivini esse fanno da nutrici. Esse gustano il “cibo immortale degli Dei” e si uniscono a questi per eseguire insieme belle danze corali.
Sono esse – continua l’inno ad Afrodite – “con cui i Sileni e l’uccisore di Argos, dalla magnifica vista, amoreggiano nel fondo di deliziose grotte”.
E’ qui la prima volta che Hermes si presenta in un medesimo piano con i Sileni, questi esseri faunici ed eminentemente fallici.
Mentre però questi sembrano figurare qui solo come complementi e compimenti maschili degli spiriti femminili della natura, Hermes, nella sua relazione con le Ninfe, dà piuttosto l’impressione che queste non siano per lui l’eterno femminile cui egli abbia da servire, bensì l’occasione di cui lui è eternamente signore.
Le tradizioni di carattere più segreto gettano comunque luce sui rapporti di Hermes con la DEA. Hermes avrebbe generato Eros con la prima Artemis, secondo quanto ci riferisce Cicerone, in base a un mitologema perduto. A differenza della nascita cillenea che noi conosciamo dall’Inno, qui egli non è ancora figlio di Zeus. Egli è un figlio di Uranos e di Hemera – del cielo e del chiaro giorno – e, alla vista di una Dea, si eccita priapicamente: MERCURIUS UNUS CAELO PATRE, DIE MATRE NATUS, CUIUS OBSCENIUS EXCITATA NATURA TRADITUR, QUOD ASPECTU PROSERPINAE COMMOTUS SIT. (Cic. De nat.deor.III,22,56).
Tuttavia nella mitologia primordiale Hermes non era un Dio univocamente maschile. Quale sua sorella, figlia di Uranos e di Hemera, è nominata Afrodite. E l’essere primordiale androgino cha da Teofrasto in poi è noto sotto il nome Hermaphroditos ed è concepito come figlio di Hermes e di Afrodite, appare nel culto cipriota della Dea come suo aspetto maschile.
L’essere primordiale Hermes non aveva bisogno dunque di una particolare storia amorosa con Afrodite, per generare con lei Eros: egli lo aveva in sé dall’origine come proprio aspetto femminile.
In Arcadia il Dio era venerato presso sorgenti. Nel Peloponneso gli erano dedicate fontane con pesci sacri – come specie di piscine.
Spesso le erme non si limitavano ad indicare la strada, ma mostravano al viandante la via verso la sorgente più vicina.
La statua di Hermes, nella città Tracia Ainos – una erma antichissima – secondo la tradizione sarebbe stata pescata dal mare. A simili rapporti di Hermes con le acque corrisponde, d’altra parte, il fatto che la DEA, sotto il nome di Hekate, ha lui per amante. Ed anche Esiodo, proprio là dove egli fa l’alto encomio di Hekate, rammenta Hermes insieme con lei (Theog. 444), e questa coppia forma, infatti, una unità coerente.
Tra tutte le forme classiche di quella Dea della mitologia primordiale che ha portato alla luce Hermes, quale prototipo dell’amante segreto, Hekate è quella più “ermetica”.
Quale Angelos, anch’essa doveva essere alata, come il suo alter-ego puramente celeste, Iris.
Anch’essa guida gli spiriti come Hermes ed è raffigurata presso i crocicchi, negli Hekateia costruiti su base triangolare, in una forma altrettanto isolata nel mondo classico, che quella delle erme quadrangolari sulle strade. Esattamente come Hermes, anch’essa riceveva lì sacrifici di focacce e d’incenso a ogni luna nuova. Essa, come lui, protegge le porte e, sempre insieme con lui, porta ricchezza nelle stalle (Theog.444).
Non meno di Hermes, essa è connessa con la fecondità.
Erodoto, lo storiografo greco che attinge direttamente dalla vita religiosa, dice che gli Ateniesi sono stati i primi fra tutti i Greci a prendere in prestito la forma itifallica delle erme dai Pelasgi, i cui usi cultuali sopravvivono nella Samotracia, nei misteri locali. Negli stessi misteri si racconterebbe anche la storia sacra che spiega quella forma (II,51). Con la sua affermazione, Erodoto non è isolato nell’antichità classica.
Un dotto conoscitore della viva religione greca, Callimaco, gli dava per lo meno credito, se non si basava su esperienza propria o su altre testimonianze.
Non ci è pervenuta la sua poesia che incominciava con una domanda rivolta a un’erma itifallica.
Sappiamo soltanto del riassunto rimastoci che il Dio interrogato si richiamava, anziché ai leggendari Pelasgi, ai Tyrseni, e al loro racconto misterico (MISTIKOS LOGOS).
Oltre la forma itifallica la base quadrata delle erme veniva fatta risalire ai misteri di Samotracia.
Nell’Arcadia, dove la “maniera cillenea” era probabilmente quella originaria, si impiegava con particolare preferenza la base quadrata anche per le statue cultuali di altre divinità.
Tra le erme divine arcadiche quella di Zeus TELEIOS, in Tegea, documenta in modo caratteristico il senso archetipico.
“Teleios” significa, infatti, una totalità che comprende in sé la quarta dimensione dell’essere: quale epiteto di Zeus e di Hera esso significa la totalità realizzata con il matrimonio.
E’ proprio questa che essi, la Coppia Prototipica, prefigurano per noi mortali.
Dal punto di vista dei Greci dunque la forma quadrata dell’erma non è qualcosa di strano o sorprendente.
Strano e scandaloso non era, per i Greci, neanche il suo sviluppo itifallico. Esso, certo, non si confaceva agli olimpici, ad eccezione, appunto, di Hermes.
Nell’Attica si veneravano inoltre Dei meno importanti che, sotto quest’aspetto, erano simili all’elespontiaco Priapo, e tra questi una divinità minore assimilata a questo, chiamata TYCHON.
Questo nome significa “colui che colpisce nel segno”, che “ha fortuna”.
Nel caso di Hermes che porta lo stesso appellativo, bisogna dire effettivamente che quest’appellativo “colpisce nel segno”.
Nella sfera dei misteri di Samotracia noi troviamo che Priapo è considerato come figlio di Hermes. Il suo culto era originario dell’Ellesponto in antico suolo frigio.
E costituisce una analogia importante non perché anche Hermes agisce nel suo spirito, quando restituisce la potenza sessuale all’eroe del satirico romanzo buffo di Petronio (Sat.140), ma anche perché in questa connessione viene sottolineata la funzione guida delle anime, propria di Hermes, che viene spiegato così: QUI ANIMAS DUCERE ET REDUCERE SOLET, “che è solito condurre e ricondurre le anime”.
Gli Dei che stanno al centro dei misteri di Samotracia, i Kabiri, secondo Erodoto ed altre testimonianze, sono altrettanto pronunciatamene maschili che le erme.
In un’eloquente raffigurazione vascolare del KABIRION di Tebe, la linea maschile dell’origine della vita parte dal padre KABIROS, continua in suo figlio, il PAIS, passa in PRATOLAOS, il Primo Uomo, per arrivare fino al componente maschile della Prima Coppia: MITOS, l’uomo di nome “Sperma” che rappresenta in generale la moltiplicazione dell’Uno.
Alla mediazione tra gli Dei e gli uomini, tra la sorgente prima delle anime e l’essere animato, si allude qui nella maniera dionisiaca, col cratere di vino che sta davanti al PAIS e al quale PRATALAOS, volta le spalle.
In generale là domina la maniera dionisiaca e il padre stesso, IN TUTTA LA SUA PRESENZA IMPONENTE E’ DIONISO.
Un altro genere di mediazione è quello ermetico: la mediazione per mezzo della guida delle anime e del messaggero.
L’Inno fa risalire la funzione di messaggero di Hermes a un’iniziazione.
Il Dio dei misteri è normalmente anche il primo iniziato: esso ha provato in modo esemplare tutto ciò che i suoi misty devono rivivere.
In Atene la stirpe degli araldi – KERYRE – era una delle principali portatrici dei misteri di Eleusi. Il suo progenitore era Hermes.

 

E HERMES ERA ANCHE COLUI CHE, SECONDO UNA TRADIZIONE, GENERO’ CON DAEIRA – LA COGNATA DELLA DEA DEI MISTERI, DEMETER – ELEUSIS, FONDATORE DEL LUOGO DEI MISTERI (PAUS.I.38.7).

Anche se in Samotracia Hermes non può essere che il primo procreatore, le testimonianze però non lo identificano che col Kabiro giovane, col figlio, di nome KASMILOS.
I più stretti rapporti intercorrevano tra Hermes e i Kabiri nell’isola di IMBROS, nel mare Tracio. Lì esistevano anche “INIZIATI NEI MISTERI DI HERMES”, secondo un’iscrizione.
All’identificazione di Hermes col Kabiro giovane corrisponde quella visione, più tardi esclusiva, secondo cui il messaggero degli Dei già nell’Iliade assume la forma di un giovinetto.
Ma accanto a questa figura, anche l’Hermes barbuto ha un’importanza uguale, anzi, nei tempi arcaici, anche maggiore, specie come Dio della gioventù maschile nelle palestre.
L’esempio classico di questo suo tipo figurativo, l’Hermes di Alkamenes, portava, almeno a Pergamo, come dimostra la sua copia ritrovata in quel luogo, l’iscrizione: “conosci te stesso”.
In questo punto Hermes barbuto doveva forse il ginnosofista riconoscere se stesso nella stessa maniera in cui il giovane Satiro dell’affresco della villa dei Misteri in Pompei riconosce se stesso nella maschera di Sileno?
Anche in altri rapporti Hermes appare un sosia di Sileno.
Pronunciatamente maschile è in ogni modo la sua funzione protettrice che egli esercita nella palestra. Egli sta lì – raffigurato o in forma giovanile o con la barba – come un singolare Eros Kabirico.
Dalla sfera più affine a quella dei misteri, cioè del culto familiare o per lo meno da un culto che aveva luogo nella più stretta intimità della casa greca, ci è pervenuta una singolare notizia.
Essa è la prima menzione letteraria dell’ERMAFRODITO.
Teofrasto illustra il carattere dell’uomo superstizioso nella seguente maniera: “Nel quarto e nel settimo giorno del mese egli fa cuocere vino in casa mentre fuori acquista rami di mirto, incenso e focacce sacrificali e, tornato a casa, incorona, per tutto il giorno, gli HERMAPHRODITI” (Theof.Charact. 16.10).
Forse dunque la presenza in casa dell’Hermafrodito era altrettanto naturale che la presenza di un Hermes e di una Ecate davanti alla casa, nel cortile o presso l’entrata.
Il popolo greco chiamava infatti la coppia di coniugi: TO ANDROGINO, “l’essere androgino”.
I rapporti di Hermes col centro della casa, con la Dea del focolare, sono documentati da un inno omerico a Hestia (XXIX).
All’occasione egli appare lì, in quel più intimo angolo della casa.
Callimaco descrive come il Dio, annerito dal fumo, salta fuori da là per spaventare fanciulle divine (Hymn 3,69).
Dei “più intimi angoli” fanno parte però anche la stanza nuziale, la stanza dal letto: secondo una tradizione di Eubea, Hermes vi regna con EPITALAMITES.
Quando egli sta davanti ad un tempio, nella sua funzione di mediatore tra il mondo degli uomini e quello degli Dei egli è PROPILAIOS e PILAIOS.
Secondo poi lo stesso Pitagora, il Dio sarebbe TAMIAS PSIKON “amministratore delle anime”.
Una iscrizione lo chiama PILIOS e ARMATEUS: “quello della porta” e “vetturino”.
Altri due appellativi, STOFAIOS e STOFEUS lo mostrano in stretta relazione con i cardini della porta.
Nelle feste di Hermes, a Creta, a Samo egli è lo PSICOPOMPO, lo HARMATEUS, il cocchiere delle anime, che le conduce e le riporta sulla via Maestra.
Nella sua unica festa la cui azione sacra, una cerimonia che rende presente la divinità – LA FESTA DEI TANAGRESI – il più bel giovane porta sulle spalle un ARIETE intorno alle mura della città. Egli lo fa per imitare il Dio che, si diceva, così avesse allontanato dalla città un’epidemia simile alla peste.
Il tipo del portatore d’ariete – KRIOPHOROS – in cui Hermes è tante volte ritratto, è una figura molto notevole. Nelle sue linee fondamentali l’epifania con l’ariete e il giro appare inconfondibile ed è inseparabile dalle altre relazioni che intercorrono tra Hermes e l’Ariete.
L’Ariete appartiene in generale ai misteri dei Kabiri. Quando Hermes generò con Rhene – “la pecora” – Saos, eroe fondatore della Samotracia, lo fece certamente in figura di ariete.
Esiste tutt’una serie di gemme che lo raffigurano come ariete, con uno o più – in un caso addirittura con quattro – arieti.
INEQUIVOCABILE E’ ANCHE LA SACRA STORIA DEI MISTERI DELLA MADRE, CUI ALLUDE PAUSANIA (II 3,4 ): CIO’ CHE VI SI RACCONTA DI HERMES, EGLI LO SA MA NON LO VUOL RIFERIRE. HERMES GENERA QUALE ARIETE IL FANCIULLO DIVINO DEI MISTERI CHE – SENZA ESSERE SEMPLICEMENTE IL SOLE – SOMIGLIA AL SOLE NOVELLO E, QUALE FIGLIO DI UN ARIETE – PADRE – E’ EVIDENTEMENTE L’AGNELLO O L’ARIETE CHE HERMES PORTA IN GIRO. COME UN PORTATORE DEL SOLE PORTEREBBE IL SOLE NUOVO. NON PER NIENTE NEL MITO ARIETI D’ORO SONO I DONI DI HERMES. TALI ANIMALI VELLOSI EGLI REGALAVA, COM’E’ NOTO, ALLA CASA DEGLI ATRIDI E A PHRIXOS.
L’antica figura del Dio-Ariete non appare soltanto legata a Hermes, ma anche a suo fratello Apollo che, quale Fanciullo Primordiale, anche lui è un piccolo sole.
Ciò è rivelato anche da una rozza erma con testa d’ariete ritrovata presso GYTHION.
In questa città del Peloponneso meridionale, anche il Dio dalla testa di Ariete degli egiziani Ammon, padre di Hermes THOTH, ebbe un suo tempio.
L’immagine cultuale di APOLLON KARNEIOS dimostra, inoltre, che anche questi aveva lì un culto più antico.
Il suo appellativo deriva da KARNOS parola preellenica per “bestiame” che in Grecia consisteva sempre soprattutto in pecore.
CARNA, che, a Roma, portava la forma femminile del nome Karnos, era una Dea lunare e – come accade per il Sole e la Luna anche in altre mitologie – formava coppia con JANUS in cui i romani probabilmente non a torto vedevano un Dio solare, identificandolo anche con Apollo.
Non senza ragione Hermes era considerato inventore del linguaggio. Fa parte della saggezza ermetica della lingua greca stessa e delle più spiritose trovate casuali, che la parola che designò il più semplice e muto monumento di pietra, ERMA, e da cui proviene il nome del Dio, foneticamente corrisponde al termine latino SERMO, “discorso”, e ogni sua specie di “esplicazione” parlata.

La parola ERMA che in greco non ricorre con questo significato è la base di ERMENEIA, “spiegazione”.
Hermes è ERMENEUS mediatore per mezzo della lingua, e non soltanto in base a questo coincidenza fonetica.
Egli è essenzialmente un generatore e portatore di qualcosa di luminoso, un “illuminatore”, Dio dell’esplicazione, dell’interpretazione e della filosofia Hermetica.
Questo è infatti il grande mistero, che rimane mistero anche se divulgato ed esplicato: l’apparizione di una figura parlante, quasi incarnazione in corpo divino-umano del linguaggio, chiaro, articolato, giocosamente versatile e Arcano.
Hermes, il “ sussurratore” – PSITIRISTÉS – spiritualizza la più calda oscurità animale.
La sua epifania completa l’aspetto silenico dell’origine della vita in cui anche quel lato animalesco si rivela nel mondo degli Dei greci, integrandolo in un’armonia fondamentale e in una totalità perfetta.
HERMES e SILENO, si accordano nella loro natura fallica non solo esteriore.
Il magnifico messaggero degli Dei che Prassitele raffigurò nella celebre statua di Olimpia, portava in braccio il fanciullo Dioniso, come di solito faceva l’“educatore di Dioniso”, il vecchio Sileno.
La ragione per cui anche Hermes poteva assumere questa funzione, ci è diventata comprensibile per mezzo del significato del KRIOPHOROS.
Egli è il predestinato portatore di ogni fanciullo divino (secondo un’antica raffigurazione vascolare egli portò il bambino Dioniso da Sileno: Museo Gregoriano II 26, in Roscher IV 472), proprio nelle sue qualità di portatore d’anime e di fanciulli solari.
La sua relazione con Dioniso appare anche nel fatto che a Lesbo egli era un Dio delle vigne. Sileno o Hermes col piccolo Dioniso sono come variazioni dello stesso tema, due lati della stessa realtà. Ricordiamo, che l’inno omerico di Afrodite menziona Hermes insieme coi Sileni, come amanti delle Ninfe.
Ora su un vaso di Londra del V secolo – si vede tutta una schiera di Sileni dissoluti, in parte itifallici, il cui capo, come l’anziano di un coro di satiri, appare con gli attributi di Hermes: mantello da viaggio e caduceo. Qui non si vedono Ninfe. L’ebbrezza e i recipienti di vino che i Sileni giocosamente maneggiano, li definisce come veneratori semi-animaleschi e semi-divini di Dioniso.
Ma che vuol dire che il Sileno capo rappresenti Hermes? Si crede che la raffigurazione ritragga il coro di un dramma satiresco in una determinata parte: forse nella parte di Hermes messaggero.
Nella dionisiaca festa delle anime, poi, gli ANTHESTERIA, la presenza dei Sileni, veneratori di Dioniso, sarebbe già di per sé la cosa più naturale.
Partendo da questa, noi vediamo nei Sileni stessi ciò che essi rappresentano: l’origine della vita che apertamente fiorisce. Per le anime gli Anthesteria erano giorni aperti, di cui l’ultimo, il quinto, detto CHITROI era addirittura il giorno di Hermes.
In questo giorno anche il costume di Hermes poteva esprimere il senso analogo del SILENISMO E DELLA FUNZIONE DI GUIDA DELLE ANIME.
C’è infine una importantissima raffigurazione di autore ignoto, conosciuta come ANFORA DI BERLINO, ove si trova davanti a noi una singolare coppia: SILENO E HERMES. Tra i due personaggi, la delicata figura di un capriolo allude a quel mondo selvaggio, diventato docile sotto l’incanto dionisiaco, sul cui terreno si sta svolgendo il significativo evento divino.
Nemmeno il minimo indizio di una scena da dramma satiresco! Ma se anche lo fosse, i lineamenti dei visi, la testa animalescamente seria e quella sovrumanamente intelligente, direbbero ugualmente tutto.
Sileno ha la lira e il plettro di Hermes. Questi, invece, dietro a lui, quasi come un suo sosia, ma ben distinto per mezzo del petaso e dei sandali alati, regge in mano il recipiente dionisiaco di Sileno. Essi si sono scambiate le parti, e hanno potuto farlo, perché nelle più intime profondità, in cui anche Hermes è un sacro Kabiro, essi hanno la medesima facoltà: evocare la vita luminosa dei regni incontaminati dello spirito, della natura che essi – ciascuno per proprio conto – contribuiscono a generare.
Questa la melodia del Dio che nelle sue oscillazioni tra il polo Kabirico-silenico e quello dell’eloquente mediatore e psicagogo Hermes è sempre pronto ad aprire.
Di tutti coloro per i quali la vita è un’avventura – avventura amorosa e spirituale – egli è la guida comune KOINOS HERMES!
Per concludere diamo poi uno sguardo al fecondante THOTH, il sacro Mercurio dei testi sacerdotali Egizi.
Originario dell’Alto Egitto, veniva particolarmente adorato a Ermopolis ove assumeva le sembianze di Ibis, il grande uccello del Nilo con il quale si identificò; Thoth fu considerato l’inventore dell’alfabeto, il regolatore dei rituali religiosi e delle attività civili. Era figlio, ma anche segretario e consigliere, di Ra. Era il protettore degli scriba, patrono della storia, conservatore degli archivi divini, inventore dei geroglifici, della matematica, della astronomia, della medicina e araldo degli Dei.
Per questo era raffigurato con la tavolozza ed il pennello degli scribi in mano. Ma la sua signoria sulla scrittura e sulle parole divine fece di lui anche un sapientissimo mago.
A Menfi fu considerato la parola di PTAH, quindi il Verbo con cui il Dio avrebbe creato l’universo; a Eliopoli era la lingua e il cuore di Ra ed a Ermopoli divenne il demiurgo che creava il cosmo con la parola.
Cancelliere nel giudizio divino al quale ogni morto doveva sottoporsi, venne anche considerato una guida per il defunto. Thoth era il Contabile dell’universo, il pastore degli uomini, il veicolo di Conoscenza e il Rivelatore nascosto. Giudice finale che vaglia la verità, i nostri pensieri, le nostre parole, presiede alla pesatura del cuore e determina chi può essere ammesso al Regno di Orione. Era il Dio dell’Equilibrio e rappresentato come Maestro dell’Equilibrio. Era lo Scriba degli Dei, il Dio della musica e della medicina.
Oltre che scrivano, Thoth fu considerato messaggero e Supremo Mago, e più tardi assimilato a Mercurio Trismegisto e Merlino, lasciandoci preziosi Libri Sacerdotali negli scrigni dei quali depositò l’Arcana Conoscenza della Magia e dell’incanto che nascose sigillandola nella mitica Avalon degli iniziati per affidarla agli Eroi più degni.
Egli ha la controparte femminile nella Dea Seshat, conosciuta come “ Signora della Casa dei Libri”, indicante che anche lei si prendeva cura della biblioteca, delle scritture e delle pergamene.
Lo stesso Ermete Trismegisto, l’Ermete tre volte Grandissimo, il saggio dei saggi, l’insuperabile Grande Mago, per saggezza si deve con ogni probabilità identificare con il Dio egizio Thoth, il vero Padre degli iniziati figli di Ermete e dei Libri più Ascosi scritti dalla notte dei tempi con l’Aureo Inchiostro delle Imperiture Stelle di Orione.

 

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