Sulle tracce della Sapienza: a lezione da Angelo Tonelli – Parte quarta:

DIONISO, IL DIO DELLA SAPIENZA: LA VISIONE SUPREMA

a cura di Luca Valentini

Venerdì 17 Luglio alle ore 18.30 presso l’Atelier Nuova Eleusis, in via dei Giardini 14 a Sarzana (SP), si è svolto il quarto degli incontri settimanali denominati “I venerdì di Eleusis: sulle tracce della sapienza greca”, seminari di Angelo Tonelli dedicati alla Sapienza Greca, che in questa occasione ha continuato la disamina sui Misteri Eleusini e sul Dio Supremo ad essi strettamente correlato, Dioniso.

L’iniziazione ad Eleusi e secondo la via dionisiaca è concepita come una vera e propria illuminazione del Nous, come un’autentica folgorazione tramite cui il myste riceveva un’impronta visiva ed intuitiva, come riportato dal Frammento 15 de De Philosophia di Aristotele e confermato da Psello: “…L’insegnamento e l’iniziazione. Il primo arriva agli uomini attraverso l’udito, la seconda perché il Nous stesso subisce l’illuminazione; ciò fu anche definito misterico da Aristotele e simile alle iniziazioni eleusine: nel corso di esse l’iniziato riceveva un’impronta dalle visioni e non un insegnamento” (Michele Psello, schol. In Io. Climac., VI 171, CMAG VI). Angelo Tonelli, in merito, ha evidenziato la differenza d’impostazione e di prospettiva rispetto ad un percorso di formazione intellettuale, di razionale e non esperienziale Paidèia. Nel processo misterico il Nous doveva essere inteso quasi come un vero e proprio organo d’intellezione, d’ispirazione che presupponeva una diretta esperienza, volta al superamento della dimensione emozionale: in ciò la vastità vitalistica del Dionisismo si completava con la dimensione della “misura”, che si incarnava numenicamente in Apollo.

Nel percorso misterico vi erano, secondo Teone di Smirne (Theon Smyrn, De math. Util., pp. 14-15 Hiller), cinque gradi di spiritualizzazione: la purificazione, la trasmissione, l’Epopteìa, l’imposizione delle corone come compimento della Epopteìa e la Beatitudine Divina, intesa come amore convivenza coi Numi. E’ importante evidenziare come colui che avesse ricevuto l’iniziazione acquisisse anche la potestà di iniziare a sua volta altri prescelti per la Suprema Visione. In tale accesso vi era, secondo Plutarco, una fase propedeutica di catarsi psico-corporea, a cui subentrava un’ulteriore fase di silenzio interiore, affinchè la visione della Grande Luce, simboleggiata dall’apertura del santuario e dalla presenze di numerose torce, rappresentasse l’epifania del Divino, come processo illuminativo e trasfigurante dell’individuo: “…Gli iniziati dapprima si radunano e si spintonano tra di loro con tumulto e grida. Ma quando si agiscono e si mostrano i sacri rituali, allora prestano attenzione, con timore, in silenzio…chi è andato dentro e ha visto una grande luce, come quando si apre un santuario, assume un atteggiamento diverso, e tace stupito”(Plut. De prof. in virtut., X, 81d-e).

In tutto ciò si manifesta la similitudine – segnalata prima da Plutarco e successivamente anche da Arturo Reghini, tra il semantema ed il significato delle parole “morire” e “iniziare” (τελευτάν e τελείσθαι), in cui si esplicita la cosiddetta seconda nascita spirituale, secondo la quale non ci si ridesta interiormente, senza una preliminare morte a se stessi ed alle dominazione del tiranno delle abitudini e degli istinti. Si realizza il passaggio dalla dimensione emotiva, Thumos, ad una pacificazione animica, stimolata da una precisa e studiata alternanza di luce e buio, dal rito della intronizzazione degli iniziandi, in cui viene sperimentata la prima catabasi, tramite l’utilizzo di strumenti di voluta frenesia come la danza, che favoriscono la visione, l’intuizione, la folgorazione, a cui il filologo ligure aveva precedentemente accennato. E’ un toccare ed un vedere il Divino tramite il rito, tramite gli oggetti sacri ad esso associati, che realizza una forma di conoscenza diretta dell’anima senza intermediazione. Tale viatico di catabasi e di anabasi, come descritto anche nel Fedone di Platone, è una fase di tremore, di destrutturazione e di destabilizzazione cosciente dell’ego.

Per inciso, è importante evidenziare come per Tonelli, parafrasando un commento di Giorgio Colli ad Aristotele, il toccamento fosse stato il termine ultimo della filosofia, intesa da Platone in poi, come ricordo scritto e ragionamento della Sapienza, come esercizio spirituale (Hadot): la filosofia antica tutta, quella aristotelica in particolare (Metafisica), come un necessario e preliminare approccio amoroso al percorso iniziatico.

Ad Eleusi, come riportato da Colli in riferimento al Fedro di Platone, la visione e la pratica misterica risultava integra e felice, tramite la purezza del corpo ed una catarsi di natura prettamente orfica. L’esperienza misterica si esplicitava come la preparazione alla conoscenza delle Idee Supreme espresse da Platone, che allegoricamente si esprime nel Mito della Caverna, che presenta la gradualità sapienziale tipica dell’iniziazione eleusina e dionisiaca. E’ d’uopo specificare che la purificazione del corpo poteva essere concepita duplicemente, sia come liberazione dal ciclo delle generazioni nel riferimento orfico del corpo come prigione carnale, sia come componente illusoria non da abbandonare o umiliare, ma come riconvertile verso il Sacro, attuando ciò che gli alchimisti avrebbero potuto denominare la trasmutazione graduale del Fisso nel Volatile, col successivo compimento dell’Opera, tramite il ritorno del Volatile al Fisso purificato.

Nel solco tracciato, Tonelli ci rammenta, grazie a Pindaro, come i Misteri conferissero la Beatitudine, la buona sorte: “Felici tutti per avere ricevuto in sorte le iniziazioni che sciolgono gli affanni”(Pind. Fr. 131° Snell – Maehler). Lo Ierofante che taglia la spiga di Demetra in silenzio compie il sacrificio dell’Uno per la sua manifestazione nella molteplicità, in cui la liberazione deve essere intesa la capacità di ritrovare la centralità nel flusso della Physis.

Nell’Inno a Demetra, si ritrova la donazione della gioia e del più che vita nel fase del post – mortem, in cui il concetto di memoria diviene fondamentale, come effettiva ritorno alla radice divino dell’Uomo: “Felice chi possiede, fra gli uomini, la visione di questi Mysteria; chi non è iniziato ai santi riti non avrà lo stesso destino quando soggiornerà, da morto, nelle umide tenebre”. E’ la via, la sorgente di Mnemosyne come indicato nelle Lamine d’Oro Orfiche: “Sono figlio di Terra e di Cielo stellato e Asterio è il mio nome. Ardo di sete, lasciate che io beva alla sorgente”(LO IA 3).

In tutto ciò, secondo Angelo Tonelli, la divinità di Dioniso ricopriva una centralità essenziale, come autentico radice cardiaca dell’intera esperienza misterica ed eleusina: Dioniso come Nume tutelare del Teatro, in tale ottica, non risulta esser stata una semplice casualità. Egli era Iakchos, nelle Rane di Aristofane “…che ami le danze, sii mio accompagnatore”(397 – 403), è la compresenza nel Mistero, secondo Giorgio Colli, di Pathos e Conoscenza.

Ringraziamo vivamente, infine, Angelo Tonelli che ha permesso, in conclusione, al sottoscritto di leggere il mio saggio “Il ciclo delle generazioni e la palingenesi animica nella misteriosofia antica”, apparso anni fa su Vie della Tradizione, e che i lettori possono ritrovare sul sito di Ereticamente, in versione sintetica, sotto il i titolo di “Quando ad Eleusi, Dioniso rinasceva in Apollo”.

(Tratto da ereticamente.net che ringraziamo sentitamente)

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