di Stefano Mayorca

All’interno della concezione pitagorica il tempo è preesistente e si ripete ciclicamente. Nell’ottica dei Pitagorici, infatti, si innestava il convincimento che l’origine dell’anima fosse divina. Proveniente da un Mondo Superiore, essa doveva espiare i peccati perpetrati nelle precedenti vite vissute. 

L’anima, imprigionata nella materia greve del corpo, si doveva purificare ed espurgare, allo scopo di esaurire il male commesso attraverso la metempsicosi, un ciclo di rinascite che si doveva perpetuare fino a quando la purificazione non veniva completata, liberando l’anima dal ciclo stesso. La dottrina concernente il ciclo universale e l’eterno ciclico divenire (il ritorno degli accadimenti), nelle fonti documentali, viene attribuita allo stesso Pitagora. Questo significa che non esistono ingerenze da parte di altre culture nella teoria del sommo sapiente. Tuttavia, Porfirio, nella “Vita di Pitagora”, parla di una tradizione remota che contempla nel suo sistema dottrinario i tre postulati principali della filosofia pitagorica. Il primo è connesso con l’immortalità dell’anima e con la sua trasmigrazione da un corpo a un altro. Il secondo asserisce che nel corso di determinati periodi si ripresentano avvenimenti già vissuti. Il terzo afferma che non esiste nulla di nuovo sotto il cielo e che le cose si ripetono ciclicamente. Nel pensiero Presocratico, il tempo è posto sotto l’egida dell’Eternità, della sostanza o materia primordiale che permane immutabile, nonostante mutino le modalità che la rivestono. Il termine volto a spiegare questa concezione è Physis (Natura). Essa rappresenta il principio da cui provengono e si sostanziano tutte le cose. Talete identifica la materia primigenia nell’elemento acqueo, mentre per Anassimandro è l’Infinito. Anassimene, invece, la pensa come elemento aereo (Aria) o soffio vitale. Eraclito, dal canto suo, la impersona nel Fuoco, elemento che conferisce la vita a ogni cosa e al contempo può distruggere tutto. Ora, la materia possiede una peculiarità ben definita, giacché non essendo mossa da una causa esterna - che risulterebbe costerna - racchiude in sé la medesima ragione del proprio movimento, del suo divenire. Il movimento, in ogni caso, comporta di per sé un prima e un poi, una successione temporale, in una parola. Da questa valutazione si evince che il tempo esiste eternamente, interagisce con la materia e con essa diviene per giungere assieme ad un punto fisso dell’evoluzione. Si tratta del punto di partenza, che si ripete sempre uguale, e da cui ineluttabilmente e nuovamente si diparte lo stesso ciclo per l’eternità.

 

La concezione cosmogonica di Empedocle

 

Un rinnovato impulso connesso con la speculazione cosmogonica fu elaborato da Empedocle, il quale sostituì alla Sostanza unica dei Presocratici la molteplicità degli elementi originari o quattro elementi: Fuoco, Aria, Acqua e Terra. Elementi che non soggiacevano ne ad un inizio e tanto meno a una fine. Essi, secondo il concetto espresso da Empedocle, erano in commistione tra loro in una sorta di interscambio ciclico eterno. La loro unità, da questo punto di vista, concretava l’unità dell’Essere. Anassagora di Clazomene (Asia Minore), rifacendosi alla dottrina di Parmenide, affermava che: ” solamente ciò che è, “E’”, mentre il non essere “non è”, e perciò dal nulla non si crea nulla”. Alla stregua di Empedocle, Anassagora era convinto che nessuna cosa nasce o scaturisce dal niente, o perisce, nel senso che svanisce nel nulla. Tutto, insomma, è frutto di una composizione materiale preesistente. Ogni cosa, in pratica, viene riciclata dando vita a un nuovo materiale. Scriveva Vladimir Horowitz: “Il mio futuro è nel passato e il mio passato è il mio presente”. Erman Hesse, diceva: “Anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno”. Pietro Metastasio, riguardo al tempo così si pronunciava: “La vita si misura dalle opere e non dai giorni”. Claude-Adrien Helvetius era solito affermare: “Si vive solo il tempo in cui si ama” e Charles Baudelaire: “C’è solo un modo di dimenticare il tempo: impiegarlo”. Albert Einstein, invece: “Non penso al futuro, arriva così presto”. Cesare Pavese soleva dire: “A che serve passare dei giorni se non si ricordano?”. In un proverbio africano viene espresso questo pensiero: “Il passato rivive ogni giorno perché non è mai passato”. Aristotele era convinto che: “Si decide in fretta di essere amici, ma l’amicizia è un frutto che matura lentamente”. Friedrich Schiller scriveva: “Un sorriso non dura che un istante, ma nel ricordo può essere eterno”. Ecco, le lancette dell’orologio temporale e interiore si approssimano verso la fine e noi dobbiamo terminare, ma come? Raccomandando a tutti di vivere, vivere intensamente, appassionatamente, affinché il tempo vissuto non sia mai sprecato, ma utilizzato, con amore. Amore in tutto ciò che se si fa, in quello che abbiamo dentro e non riusciamo ad estrarre, perché è così intimo da risultare inesprimibile. Il tempo, ammaliatore, affabulatore e ingannatore, ci tenta con le sue sottili strategie. Noi, però, nel ricordo mai passato e nel presente ancora futuro, viviamo e amiamo. Il resto si vedrà, quando il nostro, di tempo, sarà scaduto.

 

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