Tumuli a effigie

All’inizio del capitolo abbiamo parlato brevemente dei tumuli a effigie, le cui raffigurazioni rappresentavano varie specie animali. Questi si trovano su collinette artificiali o su creste naturali che dominano le valli fluviali e quasi sempre sono raggruppati senza alcuna apparente regolarità. Nella parte meridionale del Wisconsin si calcola ve ne siano almeno 5000 variamente foggiati, anche a forma umana oltre che animale. Vi è, ad esempio, un felino lungo 150 metri e un grande uccello con un’apertura alare di circa 200 metri. In molte di queste effigi sono stati scoperti resti umani sepolti nei punti anatomici principali dell’animale: il cuore, l’anca, il ginocchio, la testa e i lombi. Il simbolismo rituale è evidente e allo stesso tempo oscuro. Forse esistono implicazioni magico-rituali di stampo sciamanico relative alla trasformazione dello stregone che assume sembianze animali (ricordiamo in proposito gli uomini giaguaro connessi alla cultura Calchaquì), come avveniva nell’ambito della cultura magica mesoamericana. Tra le figure di animali ve ne è una molto particolare: si tratta di una grande aquila di sassi. 

La pietra, del resto, fin dalla notte dei tempi è stata lo strumento ideale che ha permesso all’uomo di esprimersi mediante immagini simboliche. Una sorta di linguaggio ermetico che non sempre è stato possibile decifrare. Quando ci troviamo di fronte a queste gigantesche figure scolpite, abbiamo l’impressione che non siano state realizzate dalla mano dell’uomo. Sarà forse per le loro dimensioni, o perché in esse è racchiuso un misterioso quid che le rende atemporali e solenni, e che trasferisce nella struttura materica che le compone una particolare vibrazione che è in grado di proiettare chi le osserva in una dimensione sconosciuta, dove spazio e tempo sono annullati e dove regna il silenzio più assoluto. Mentre le contempliamo, una profonda commozione si impadronisce del nostro essere. La nostalgia ci assale, e si trasforma ben presto in sincera ammirazione per queste sculture megalitiche che vengono da lontano, da un’epoca ormai sepolta nelle sabbie del tempo. La grande aquila non sfugge a questa legge naturale che trasmuta una “semplice” figura in qualcosa di inafferrabile. Il gigantesco rapace risale a 15000 anni fa e la sua apertura alare raggiunge i 40 metri. Per realizzarla, i costruttori hanno ammucchiato migliaia di sassi fino a formare la sagoma dell’aquila. Sorge su un tumulo di forma circolare e vista dall’alto è veramente impressionante: i sassi sono stati disposti uno accanto all’altro in modo da incastrarli tra loro. Le sue origini sono tuttora sconosciute e il popolo che l’ha edificata ha origini antichissime, probabilmente precedenti agli Adena (altra civiltà costruttrice di tumuli) e agli Hopewell. Il lavoro occorso per costruire la grande aquila è immenso è ci dà un’idea delle straordinarie capacità di questa civiltà che in qualche modo ricorda la cultura Olmeca. L’aquila è un soggetto ricorrente. Lo ritroviamo nella civiltà incaica e in altre civiltà analoghe. Il simbolismo legato a questo rapace è estremamente complesso e racchiude tutte le qualità dell’uccello: vista acutissima, volo rapido ed elevato, vita solitaria, determinazione. Nell’antica Roma era considerata simbolo di potere e di potenza e fu utilizzata come stemma della Legione Romana. Anticamente rappresentava lo spirito dell’uomo che si libra in alto e, ancora simbolicamente, la sua vista eccezionale veniva considerata come il dono di vedere oltre i limiti della realtà umana grazie a una particolare percettività. L’esistenza solitaria raffigurava il cammino dell’iniziato e del guerriero, che distaccandosi dai beni materiali e dalla vita in comune, iniziava il suo percorso interiore e iniziatico fatto di sacrifici e di rinunce. Il volo rapido è sinonimo di illuminazione: la capacità di penetrare il senso nascosto delle cose. Inoltre, veniva associato alla rapidità decisionale nelle situazioni difficili. La determinazione, invece, era connessa con la forza interiore dell’iniziato, deciso a proseguire il suo cammino nonostante le difficoltà. La grande aquila come già spiegato, sorge all’interno di un tumulo circolare. Il circolo è la figura apparentemente più semplice e significativa nella storia dell’uomo. Rappresenta l’Universo, la ciclicità della vita e delle stagioni, l’alfa e l’omega (inizio e fine) ed è un simbolo protettivo antichissimo. L’effigie di maggiori dimensioni, invece, sorge nell’Ohio meridionale, precisamente nella contea di Adams, sopra a una ripida collina alta una cinquantina di metri, dove scorre un fiumiciattolo chiamato Brush Creek. La scultura di terra, conosciuta con il nome di Serpent Mound, e della quale riveleremo aspetti inediti, è protetta dall’Ohio Historical Society. Visto dall’alto il corpo del rettile sembra emergere dal terreno snodandosi sinuosamente dopo avere descritto sette profonde curve (un numero dal profondo valore simbolico). La sua bocca è spalancata  e sembra volere inghiottire un altro tumulo della lunghezza di 30 metri, dalla forma ovoidale (forse l’uovo cosmico). E’ interessante notare che il tumulo-serpente non ospita nessuna sepoltura e per questo motivo si differenzia dagli altri. Secondo alcuni ricercatori, il tumulo raffigura a livello simbolico la costellazione  dell’Orsa minore. Una sorta di potente archetipo, capace di richiamare le energie cosmiche e di influenzare il lontano firmamento. Si può rilevare un’analogia con le cripte di molte cattedrali gotiche ove si trovano grotte dolmeniche, centro di culto degli antichi Druidi, poste proprio nelle zone di incrocio delle correnti telluriche, sacre e divine, spesso simboleggiate proprio dall’immagine di un serpente. Anche le sacre
 cavità mitraiche venivano costruite su questi centri energetici e il rettile era spesso rappresentato sugli altari posti centralmente. Il serpente ha sempre rivestito un ruolo di rilievo nella mitologia e nelle religioni di ogni cultura. Lo ritroviamo ai due lati del mondo, dall’antica Grecia all’Australia degli Aborigeni. Per gli indiani nordamericani il serpente era simbolo di potenza. I Cherokee, per esempio, adoravano il serpente a sonagli che i Mohicani e i Delaware ritenevano uno spirito guardiano inviato dagli dèi. Probabilmente, la chiave di lettura connessa con i vari significati racchiusi nel tumulo a effigie che raffigura il serpente, è rinvenibile proprio nelle tradizioni indiane. William F. Roman, noto studioso e vera autorità in questo campo, sostiene che i suoi costruttori intendessero rappresentare, simbolicamente, un eclissi solare, in cui il Sole (tumulo ovale), viene attaccato o divorato dal serpente. L’immagine dell’astro diurno inghiottito da un mostro ricorre in numerose leggende. Gli Irochesi credevano che le eclissi di Sole e di Luna fossero provocate dai Draghi di fuoco che divoravano i due astri. Nella tradizione Cherokee, invece, si narra che il Sole perseguitava il suo popolo con delle malattie che lo decimavano. Per tale ragione, i Cherokee inviarono un enorme serpente dal nome Uktena per divorarlo. Secondo Roman, è significativo il fatto che sia gli Irochesi che i Cherokee occupassero proprio i territori prossimi al Serpent Mound. Ciò che ci preme sottolineare a riguardo, è che la simbologia associata al rettile racchiude delle verità profonde e sorprendenti. In effetti, esso allude molto chiaramente agli “dei serpente”, strettamente collegati ai misteriosi  visitatori venuti dallo spazio e dei quali abbiamo accennato fin dal principio. Avremo modo, in ogni caso, di spiegare in maniera esaustiva quanto affermato in un’altra parte del libro. Il serpente si distingue da tutte le specie animali e incarna quello che potremmo definire “lo psichismo oscuro”, imperscrutabile e misterioso.  Non a caso, nel Camerun del Sud,  per mezzo di un linguaggio simbolico utilizzato durante la caccia, i pigmei configuravano il serpente con un segno tracciato al suolo. Alcuni dei graffiti dell’epoca paleolitica assumono il medesimo significato. In poche parole, questo disegno stilizzato riconduce il rettile alla sua espressione primigenia. Si tratta di una semplice linea, ma una linea vivente e un’astrazione incarnata. La linea non possiede né inizio nè fine, essa si anima ed è suscettibile di qualunque metamorfosi. Il serpente quindi, non rappresenta un archetipo, bensì un complesso archetipale posto analogicamente in intima connessione con la notte primordiale. Per i Toltechi, i Maya e, in seguito, per gli Aztechi, il serpente assume le forme di Quetzalcoatl (che abbiamo incontrato a Teotihuacan e a Chichen Itzà), la divinità piumata, mitico antenato ed eroe civilizzatore. Un paragone con l’Induismo ci permette interessanti conclusioni, infatti, dal punto di vista macrocosmico, il serpente incarna la forza dell’energia Kundalini, conosciuta con il nome di Ananta, il rettile che serra fra le sue spire la base dell’asse del mondo e associato a Vishnu e Shiva. Ananta simboleggia anche lo sviluppo interiore e il riassorbimento ciclico, espressione della stabilità rappresentata pure dalla sua figura di reggitore del mondo. Il circolo, forma perfetta che rievoca ancestrali richiami, è universalmente riconducibile al serpente sotto le spoglie di Uroboros, il rettile che si morde la coda. La circonferenza viene quindi a completare il centro per suggerire l’idea stessa di Dio. L’Uroboros, dunque, è il simbolo della manifestazione e del riassorbimento ciclico (inteso come il solve e coagula degli alchimisti), in unione sessuale con sé stesso, autofecondatore permanente, come indica anche la coda inserita nella bocca. Egli richiama la forma della prima ruota (cerchio) in apparenza immobile, giacché gira su sé stessa, ma il cui movimento  è perpetuo  visto che riconduce eternamente a sé. Uroboros è il promotore della vita e della sua durata. Egli ha creato il tempo come l’esistenza mediante “partenogenesi” (sviluppo dell’uovo senza fecondazione). E ancora, l’Uroboros determina il movimento degli astri. Per questo motivo è senza dubbio la prima personificazione dello Zodiaco, l’antico simbolo di un dio naturale e anche grande divinità cosmografica e geografica. Si tratta della più antica imago mundi che con la sua lingua sinuosa unisce i contrari e le acque primordiali, in mezzo alle quali fluttua il quadrato della Terra (Quaternario). Il tumulo del grande serpente, quale Uroboros, ci ricorda l’eterno ciclico divenire e riaffiora da un passato lontanissimo dal quale si palesano frammenti di una civiltà remota. Le leggende native del Nord America, così come quelle delle prime culture del Vecchio Mondo, parlano di una civiltà che dimorava nel ventre della Madre Terra e da cui sarebbero poi usciti coloro che popolarono la superficie. Esistono ovunque nel mondo strutture scavate nella roccia talmente perfette, da rappresentare ancora oggi un enigma sebbene ognuna di esse, in base al luogo, venga associata a periodi temporali diversi. Eppure tutte presentano le medesime caratteristiche, come se fossero il risultato di un’unica mano. Il serpente è una creatura ctonia (sotterranea) che vive nelle viscere della Terra, e quel popolo sapiente che spesso è associato al serpente potrebbe essere lo stesso che realizzò queste città sotterranee. E’ possibile che la paternità del serpente monolitico, o almeno l’origine del suo culto, non sia da attribuire agli Hopewell (anche secondo il giudizio di molti esperti) e, tanto meno, ad altri costruttori di tumuli. Gli Hopewell se ne appropriarono a scopo rituale, ma esso era forse già lì prima che incominciassero a edificare i tumuli templari. Quasi certamente, come è avvenuto anche per le culture del Vecchio Mondo, gran parte delle loro conoscenze furono acquisite grazie a questa Civiltà Madre e a chi riuscì a custodirne nel tempo l’eredità. Riguardo gli Hopewell e il loro sistema di culto basato sulla connessione tra mondo celeste (e astronomico) e mondo terrestre, è interessante notare che quest’ultimo è rinvenibile anche in altre culture.  Pensiamo alle piramidi Egizie, che incarnano perfettamente il concetto di montagna sacra espresso nei tumuli, soprattutto in quello relativo al serpente monolitico. E’ noto inoltre, che la divinità incarnata dal Faraone era identificabile con Horus, il dio del Sole con le sembianze di un falco. In maniera analoga gli Hopewell  vedevano nell’uomo falco, (del quale sono state scoperte delle rappresentazioni), una divinità solare mediatrice tra gli dei e gli uomini. Anche la relazione tra serpente e uovo cosmogonico,  presente nel complesso del Serpente Mound, è rilevabile a Dendera dove le cosiddette pietre delle serpi rivestono il medesimo significato. Non è facile in tal senso spiegare tali analogie, tuttavia l’universalità del simbolismo appare chiara e non può essere sottovalutata.

Categoria: