Tra i culti di matrice iniziatica che hanno lasciato un segno tangibile nella storia delle antiche civiltà, sono da annoverare i culti misterici relativi a Demetra, Persefone, Dioniso, Orfeo, giacché da questi si è irradiata una forte influenza nell’ambito della cultura classica. Alle pratiche rituali menzionate corrispondono rispettivamente I Misteri Eleusini, i Dionisiaci e gli Orfici. I Misteri di Eleusi rappresentano il più celebre dei culti misterici dell’antichità e prendono il loro nome da Eleusi, una cittadina greca situata a venti chilometri da Atene, di fronte all’isola di Salamina. 

Il suo nome significa arrivo o avvento, con riferimento alle peregrinazioni di Demetra, una delle deità principali di questo culto. In questo luogo, carico di  magiche atmosfere, ancora oggi è possibile ammirare le fascinose vestigia di un tempio fatto edificare da Pericle ad opera dell’architetto Ictino, lo stesso che diede vita all’immortale Partenone. L’edificio templare fu costruito  intorno al VIII-VII secolo a.C. I riti di  Eleusi furono  celebrati per quasi duemila anni, a partire dal 1500 a.C. e si diffusero in tutta l’area mediterranea. Il culto era suddiviso in due livelli: i Piccoli Misteri e i Grandi Misteri e si basava prevalentemente su due divinità, Demetra e Persefone. I primi che rivestivano valenze essoteriche, cioè rivolte ad un maggior numero di partecipanti, consistevano in pratiche purificatorie, tanto pubbliche quanto segrete, dal valore propedeutico e si svolgevano in primavera nel mese denominato Antesterione (febbraio-marzo) ad Agrai, un sobborgo ubicato nei pressi di Atene, non ad Eleusi. Per quanto concerne le pratiche più segrete erano previsti sette mesi di preparazione, trascorsi i quali gli iniziandi partecipavano ad una cerimonia purificatrice detta katharsis, designata sia agli iniziati sia, con differenti procedure, ai non iniziati. I neofiti che superavano la prima fase assumevano l’identità di Mystoi (iniziato ai Misteri).  I Grandi Misteri, invece, erano di tipo esoterico, destinati quindi ad un gruppo ristretto di iniziati, veri adepti ai quali era stato rivelato il fulcro della conoscenza in essi racchiusa. Questi riti, che venivano officiati ad Eleusi nel periodo detto Boedromione, probabilmente in corrispondenza con l’Equinozio d’autunno (settembre-ottobre), erano imprescindibilmente preclusi ai profani e chi vi accedeva era tenuto a non divulgare quanto appreso. Gli adepti erano vincolati da un segreto inviolabile e contravvenendo a tale regola rischiavano di perdere la vita. Si trattava di un segreto incredibilmente  importante, come comprova il velo arcano che da duemila anni ricopre le pratiche iniziatiche eleusine e che non è stato ancora sollevato. Tuttavia viene riportata un’unica eccezione, un atto dissacratorio operato da un gruppo di giovani appartenenti all’aristocrazia ateniese, e tra questi un certo Alcibiade, uno dei protagonisti della Guerra del Peloponneso. Di questa vicenda parla Plutarco (scrittore greco, 45-125 d.C.) nella sua Vita di Alcibiade, e racconta che il ragazzo fu punito severamente e perse tutti i sui beni che vennero confiscati. Un caso isolato, in sostanza, che non si è mai più ripetuto, a sottolineare il patto di inviolabilità che sanciva l’unione tra gli affiliati a questa dottrina occulta. Non dimentichiamo che la parola mistero deriva dal greco mystes, che significa iniziato e quindi i culti misterici non indicano il mistero in senso letterale, ma un culto iniziatico. La parola musticos (da qui il termine mistico), invece, designava quella inesplicabile esperienza per cui l’iniziato veniva messo in contatto con l’emanazione della divinità mediante cerimonie esoteriche che nessuno ha mai voluto o potuto descrivere. Come nel caso dei riti paleolitici dedicati alla Donna Madre, la Magna Mater o Grande Madre, anche i Misteri di Eleusi veneravano un archetipo femmineo incarnato da Demetra e Persefone, Madre e Figlia.

 

Il mito di Demetra e Persefone

 

Demetra era la dea della vegetazione, dei campi e dell’agricoltura. In questa veste incarnava anche il ruolo di protettrice del vivere civile, essendo l’agricoltura una fase più evoluta ed avanzata di civiltà rispetto alla caccia e alla pastorizia. Tale connotazione, dunque, ben si attaglia alla dea che in origine era una divinità terrestre, come si evince anche dal suo nome: Da Mater = Madre Da, dove Da pare rappresentare una forma arcaica di Ge = Terra. Secondo altre interpretazioni, il nome della dea vuole indicare La Madre dell’Orzo e, in ogni caso, questa connotazione non cambia di molto la sua valenza terrigena. Persefone, nota anche come Kore (Cora), figlia di Zeus e di Demetra e moglie di Plutone (o Ade, che con il tempo divenne il nome del regno dei morti), era la sovrana degli Inferi, intimamente connessa con la prova iniziatica più importante e significativa che il neofita doveva compiere: la discesa nel regno delle ombre e la morte simbolica, come vedremo in seguito. Nella genesi del mito Persefone raffigura uno dei tre aspetti legati a Demetra, e in questo ambito Kore va considerata come una emanazione della stessa Demetra, che assieme ad Ecate genera una triade, un triplice aspetto della Dea Madre: Kore = il grano in erba (primavera), Persefone = la spiga matura (estate), Ecate = il grano mietuto (autunno-inverno). In principio il culto associato a Demetra e alle sue muliebri peculiarità era basato sulla fertilità, la prosperità e l’abbondanza del raccolto. Una cerimonia di ordine agricolo che gradualmente si trasformerà in una ritualità che trascende la materia e indica la via verso l’immortalità dell’anima, la morte e la resurrezione racchiuse nell’iter iniziatico e nelle prove che lo accompagnano. Seguendo le tracce del racconto mitologico, apprendiamo che il matrimonio tra Plutone e Persefone non scaturisce da una libera scelta di quest’ultima, infatti la fanciulla viene rapita dal signore dell’Ade follemente innamorato di lei e la conduce con se nel Tartaro (Inferno). Il tutto si compie con  la complicità di Zeus, per così dire, visto che non prende posizione a riguardo e, per non entrare in contrasto con suo fratello Plutone, non acconsente apertamente alle nozze. Nello stesso tempo non nega il suo consenso, affermando che non è in grado di rifiutare e tanto meno di accordare il permesso per questa unione. Demetra, disperata, abbandona Zeus, il suo sposo e l’Olimpo, inizia così a vagabondare sotto le sembianze di una vecchia. La Terra, sacra alla dea della vegetazione, non fruttifica più e inaridisce e Zeus, preoccupato, decide di venire a patti con Demetra. Ogni tentativo risulta vano e alla fine il signore dell’Olimpo affida il delicato compito al più diplomatico degli dèi, il messaggero per eccellenza, Hermes (il Mercurio alato dei Romani) il quale riesce nella missione affidatagli. Plutone lascia che la sua consorte torni da sua madre, le due donne si abbracciano commosse e si riuniscono. Demetra chiede a sua figlia se nel periodo in cui viveva nel regno dei morti ha mai consumato del cibo poiché, se ciò fosse avvenuto, sarebbe potuta restare con lei soltanto due terzi dell’anno, e il rimanente terzo (corrispondente all’inverno) avrebbe soggiornato sottoterra con Plutone. La fanciulla spiega che il suo sposo le ha offerto una melagrana e che lei ne ha assaggiata una piccola porzione. Il destino è ormai segnato. Tuttavia, Demetra è egualmente soddisfatta perché non perderà Persefone in maniera permanente, e a questo punto decide di fare crescere nuovamente i frutti della Terra. Abbiamo volutamente sintetizzato la narrazione per ovvi motivi di spazio e per rendere fruibile a tutti una struttura mitologica altrimenti poco comprensibile, viste le difformi varianti del mito e i risvolti simbolici che lo rivestono. Bisogna aggiungere a tale proposito che Demetra, una volta lasciato l’Olimpo, prima di ricongiungersi con Persefone era stata ospite nella residenza del re di Eleusi, Celeo. Non entreremo nel merito delle altre vicissitudini che qui si paleseranno, ma affronteremo le fasi salienti della vicenda.  Al  figlio di Celeo, il principe Trittolemo, la dea farà dono di un chicco di grano, il primo chicco allora sconosciuto agli uomini. Demetra, in questo modo,regala all’umanità le conoscenza dell’agricoltura e l’insieme di culti a lei dedicati. Dietro il mito si intravede il tessuto simbolico che allude all’alternarsi delle stagioni, alla morte e alla rigenerazione, ai Solstizi e agli Equinozi, ma soprattutto ad un rituale ben preciso che guidava gli adepti alla rivelazione della Verità, la Realtà suprema che culminava nell’incontro con il sublime e nelle visioni estatiche di ordine iniziatico. Cosa avveniva nel corso di tali cerimonie? Come precedentemente esposto, il segreto, impenetrabile e inaccessibile, non consente di denudare le pratiche iniziatiche, tuttavia alcune tracce le rinveniamo nell’opera di Plutraco che in merito scriveva: “L’anima, al momento della morte, prova la stessa sensazione di coloro che sono iniziati ai Grandi Misteri (…). Si tratta dapprima di corse a caso di svolte dolorose, di marce inquietanti e senza fine attraverso le tenebre. Poi, prima della fine, lo sgomento è al culmine; brividi, tremiti, sudore freddo, spavento. Ma subito dopo una luce meravigliosa si presenta davanti agli occhi e si attraversano luoghi puri e praterie che echeggiano di voci e di danze; parole sacre ed apparizioni ispirano il rispetto religioso. Allora l’uomo, ormai perfetto e iniziato, è libero, si muove senza angustia e con il capo cinto da una corona celebra i Misteri; egli vive con gli uomini puri e santi; vede sulla Terra la moltitudine di quelli che non sono iniziati e purificati affondare nei mali, illusa della felicità di laggiù”. Questo spaccato delle prove iniziatiche pone in risalto l’aspetto della visione, l’esperienza estatica ottenuta per mezzo di una bevanda sacra, analogamente alle sostanze psicotrope degli uomini delle caverne, gli sciamani del Paleolitico. Il suo nome rimanda all’essenza stessa del vissuto esoterico, del suggello che ne impediva la diffusione e la divulgazione ai profani: Kikeon. Questa pozione segreta era composta principalmente da orzo, menta e acqua, ma si presume anche l’aggiunta di sostanze psicoattive, magari un alcaloide presente nell’orzo. Come è noto, nel frumento e in altre erbe selvatiche si celano elementi psicotropi molto forti, per esempio una miscela di alcaloidi notevolmente potenti dalla quale si ricava l’Lsd. A Roma, i Misteri Eleusini giungono attorno al III secolo a.C., e tra gli affiliati troviamo personaggi d’eccezione, tra questi il grande Cicerone (106-43 a.C.) e l’imperatore Publio Licinio Gallieno che regno dal 253 al 268 d.C. Cicerone in particolare ci ha lasciato una testimonianza scritta dell’iniziazione, della sua influenza interiore, della rinascita e dell’illuminazione profonda unita a una totale trasmutazione: “Abbiamo conosciuto i principi della vita, e abbiamo ricevuto la dottrina del vivere non solo con letizia, ma anche con una speranza migliore nella morte”. Un inno omerico dedicato a Demetra, invece, così recita: “… A tutti insegnò a celebrare le pure orge (dal greco èrg-do, faccio, eseguo = fare procedere, ritualizzare). / Concesso non è trasgredirle o spiarle, né farne parola. / Tra gli uomini mortali, beato chi giunge a vederle. / Ma chi restò profano, chi parte non v’ebbe, non gode / uguale fato dopo la morte nell’umido buio”.

 

I Misteri Orfici

 

I Misteri Orfici presentano delle similitudini con i culti eleusini e in qualche maniera sono complementari, visto che anche nell’orfismo la discesa agli inferi rappresenta una delle prove più importanti che garantisce la trasformazione dell’iniziando, la sua morte e la sua rinascita. Analizzando il mito, inoltre, si nota l’interazione con uno dei personaggi principali dei Misteri di Eleusi, Persefone. Sarà lei, assieme con Plutone, a permettere che  Orfeo, disceso nell’Ade, riporti indietro la sua sposa, Euridice. Nel mito di Orfeo si fondono elementi di profondo valore misterico-iniziatico e una concezione di ordine filosofico e cosmogonico. Al celebre musico e poeta, apollineo di natura e dionisiaco nella predestinazione, viene attribuita la fondazione dell’Orfismo, religione misterica che cominciò a propagarsi in Grecia e nell’Asia Minore a partire dal VI secolo a.C. La religione orfica era  basata su una dottrina filosofica dai risvolti cosmogonici, tendente ad esaltare le forze spirituali dell’Uomo e la sua propensione a identificarsi con il principio divino immanente. La natura divina dell’Uomo era rappresentata dall’anima immortale, un ulteriore elemento di congiunzione con l’iniziazione eleusina. L’aspetto oscuro, invece, era configurato dal corpo, tomba e prigione dell’anima e dell’essenza imperitura. Secondo tale concezione la vita è una necessità dalla quale l’anima si libera raggiungendo, dopo varie reincarnazioni, attraverso l’iniziazione orfica e un’esistenza ascetica, uno stato di purezza. Oltre alle regole ascetiche che scandivano questo percorso realizzativo  e iniziatico, i riti Orfici contemplavano anche una ritualità più selvaggia, volta a innescare quella condizione di allocoscienza (alterazione della coscienza o esaltazione interiore) indispensabile per poter entrare in contatto con il divino. Nell’ambito dei precetti relativi a questo culto misterico rinveniamo l’unità fondamentale che intercorre tra il Creato, il Creatore e la Creatura (Uomo), concetto che ritroveremo nell’Ermetismo magico: Pan en To Pan (il Tutto nel Tutto). E ancora, l’annullamento di quella separazione che si interpone fra il Creatore e gli esseri viventi da lui generati.  L’Orfismo influirà in maniera determinante sia sulla dottrina pitagorica sia sulla filosofia platonica. L’antagonismo tra il bene e il male, fulcro del pensiero degli orfici, si manifesta contemporaneamente anche nel contesto della dottrina di Zoroastro, della quale ci siamo occupati precedentemente.

 

Il Mito di Orfeo e Euridice

 

Il mito di Orfeo, come tanti altri, nasconde delle chiavi simboliche che celano verità di ordine iniziatico e filosofico. Orfeo, figlio di Calliope, Musa della poesia epica e di Apollo (divinità solare venerata nel santuario greco di Delfi o Delfo), era un abile cantore e poeta. A lui si fa risalire la poesia cantata. Apollo donerà ad Orfeo una lira (o cetra), strumento  fabbricato da Ermes - Hermes o Ermete,
Mercurio per i Romani, Thot per gli Egizi (è colui che accompagnava le anime dei morti nell’Ade). Ermes viene considerato il primo monarca, creatore della parola, la divinità che ha dato vita alle emissioni sonore che presiedono il linguaggio generando il Verbo - inteso anche come spirito che si cela dietro il linguaggio, il Verbo appunto - e inventore della scrittura. Con questo strumento unico, circonfuso di magiche assonanze e con la sua voce melodiosa e inimitabile, Orfeo incantava le belve feroci e le ammansiva, i pesci guizzavano fuori dal mare per poterlo ascoltare, gli alberi piegavano le cime, le pietre lo accompagnavano ovunque rotolando al suo seguito e i fiumi s’arrestavano. Questo abile affabulatore aveva preso parte alla leggendaria spedizione degli Argonauti, appianando con la sua arte trascendente le numerose difficoltà incontrate durante il cammino. Tuttavia, la sua notorietà si deve alla non meno straordinaria impresa che  questo eroe- poeta era riuscito a compiere: la discesa nelle regioni infere. La leggenda racconta che Orfeo si era sposato con Euridice (conosciuta anche come Argiope o Agriope), ma il giorno stesso delle nozze il pastore Aristeo, anch’egli innamorato della splendida fanciulla, aveva cercato di violentarla. Euridice, nel tentativo di fuggire, si era imbattuta in un serpente che con il suo morso le aveva procurato la morte. Quando Orfeo giunse presso la sua amata si rese conto che non vi era più nulla da fare. Disperato, innamorato e determinato a salvarla, si introdusse nel mondo oscuro, l’Ade. Qui, grazie alla sua capacità d’incantamento, domò Caronte, il traghettatore infernale, che lo condusse attraverso le acque dell’Acheronte (il fiume infero) al cospetto di Persefone e Plutone, i signori dell’Oltretomba. I due sovrani, commossi dal suo dolore e dalla sua dedizione verso Euridice, decisero di accontentarlo concedendogli di riportare tra i vivi la giovane moglie. Una sola condizione era stata posta ad Orfeo, quella di non guardare mai la sua sposa finché non fossero usciti dall’Ade. Purtroppo, l’aureo cantore non seppe resistere e non sentendo più  dietro di sé il rumore dei passi della sua compagna, girò il capo e si volse verso di lei. Euridice, divenuta nuovamente un’ombra, si dissolse salutando per sempre l’uomo che amava con tutto il suo cuore. Distrutto, il poeta degli dèi rimase sulle rive dell’Acheronte per sette giorni - numero dalle valenze iniziatiche - e poi si ritirò sul monte Rodope per tre anni (altro numero significativo e non casuale). Durante il suo eremitaggio si dedicò all’istruzione dei giovani svelando i segreti delle divinità dell’Olimpo e dell’Oltretomba. Raccomandava loro di non mangiare carne e di stare lontano dalle donne tanto che fu tacciato di omosessualità. E proprio un gruppo di donne,  delle Menadi (o Baccanti) legate al culto di Dioniso, adirate per i suoi insegnamenti ne determinarono la morte. In preda al furore dionisiaco lo sbranarono e forse lo divorarono. Secondo un’altra versione del mito, quando Orfeo si era isolato sul monte Rodope incontrò le splendide Baccanti della Tracia che cercarono di consolarlo ”La vita ha mille dolcezze, le donne amabili sono tante, abbandonati a noi!”. Ma egli rifiutò le lusinghe e le profferte delle fanciulle. Sdegnate dal suo atteggiamento, nel corso di una festa sacra a Bacco, le belle Baccanti si lanciarono su di lui e lo fecero a pezzi gettando i resti nel fiume Ebro. La sua testa, l’unica parte del corpo rimasta intatta e la sua lira galleggiavano e continuavano l’una a cantare e l’altra ad accompagnare il lamento di Orfeo per il perduto amore. La fine del cantore divino mostra delle analogiecon il mito di Osiride, il dio egizio dalle multiformi connotazioni simboliche. Anche lui viene ucciso in maniera violenta da suo fratello Seth che getta il corpo nelle acque del Nilo. Iside, la sposa di Osiride, riesce a ripescare il cadavere del suo consorte e lo seppellisce in un luogo segreto. Seth però scopre la tomba, e una volta disseppellito Osiride lo taglia a pezzi e disperde i resti per tutto l’Egitto, seppellendone uno in ogni regione. Nel contesto dell’Orfismo rinveniamo interessanti simbologie iniziatiche. Il serpente che morde Euridice incarna le energie sessuali terrigene o telluriche nascoste nel sottosuolo, allusione al dominio di queste da parte dell’iniziato. Chi non le controlla, infatti, soccombe e ne viene annichilito. Le forze sessuali sono il primo elemento connesso con la Piccola Morte, che si manifesta ogni qual volta si raggiunge l’orgasmo. La fusione con il principio femmineo (Euridice) provoca una morte momentanea, il distacco dalla realtà che immette in una realtà separata. La sospensione delle funzioni coscienti è una sospensione delle funzioni vitali. Orfeo,padrone del suono, non riesce a incantare  le forze che sottendono al disfacimento attraverso il passaggio a uno stato vitale differente. Non riesce a strappare Euridice all’ombra, unicamente perché la sua azione è veicolata dal desiderio, non dalla volontà e il desiderio, si sa, uccide l’atto volitivo. La sorte di Euridice, il suo ingresso nell’Ade, la pone fuori del tempo in un non tempo limbico. Questo è il simbolo della morte, il buio che segue alla luce, il seme che riposa nella terra e produce la piantina che un giorno diverrà un albero imponente. 

Categoria: