Dopo la pubblicazione degli atti del convegno napoletano del giugno 2014 per la storica rivista Vie della Tradizione, in occasione del quarantennale della scomparsa di Julius Evola, in cui del filosofo romano si è voluto approfondire l’approccio magico – esoterico, particolarmente connesso all’importante esperienza di Ur, un accesso dibattito si è prontamente riattivato circa la vera natura dei suoi insegnamenti. Tali analisi, a nostro modesto parere, potrebbero risultare alquanto fruttuose e stimolanti, se ognuno degli analisti interessanti assumesse con profonda onestà intellettuale il vero intento di approfondire un dato aspetto del pensiero evoliano, pur riconoscendone la multiformità, la grande capacità di essere illuminate in dimensioni solo apparentemente diversificate tra loro, in un’organica ed armonia unitarietà, in cui il gerarchico riferimento tradizionale venga rigorosamente rispettato[1]

Dispiace, però, constatare la triste consuetudine che si caratterizza nell’assolutizzazione di detti approfondimenti, in cui una volontà esplicitamente settaria ricerca di Evola sempre e solo gli insegnamenti, a vario titolo, che possono o meno suffragare un dato orientamento personale o di gruppo, omettendo, spesso anche sfacciatamente, i riferimenti di diversa natura oppure snaturandoli completamente: tutto ciò è afferente  all’increscioso intento di voler arruolare il tradizionalista romano per scopi assolutamente di nicchia privata, facendolo assurgere, abusivamente, a testimone e giustificazione del proprio orientamento pseudo-tradizionale o politico.

Per codeste motivazioni, nel nostro piccolo, è nostra intenzione, in questo scritto, riconsegnare la figura di Julius Evola alla sua libera integrità, in cui la dimensione esoterica possa magistralmente illuminare sia la sfera metapolitica sia i riferimenti di natura socio-politica. Per attuare tutto ciò, è d’uopo attuare delle nette e chiare “liberazioni”, da interessate attribuzioni, per poi concludere con sintetiche considerazioni circa il proprio rapporto con il Politico. Le tre “liberazioni” in questione sono di natura assolutamente radicale, al di là di qualsivoglia fantasmagoria, Evola, infatti, 1 – non ha mai riconosciuto alla massoneria una dignità di regolarità iniziatica, 2 – non ha mai riconosciuto al Cristianesimo la validità di una tradizione regolare, 3 – non ha mai aderito ad una visione neopagana del Sacro!

Procedendo per ordine, al cortese lettore di EreticaMente, in questa prima parte, rammentiamo quanto in più occasioni Evola abbia espresso come, secondo la propria disamina, la Massoneria non rappresentasse affatto un Ordine Iniziatico, contravvenendo all’opinione di un Gùenon, ma la perfetta parodia di un tale Ordine, quale residuo speculativo di arcaiche congreghe iniziatiche, in cui il libero pensiero, la volgarizzazione modernista ed un’impostazione rituale giudaico-cristiana hanno prevalso rispetto ad ancestrali impostazioni di natura tradizionale. Nello specifico, segnaliamo in una celebre polemica tra Evola e L. Benoist, recensore de Il Mistero del Graal su Etudes Traditionnelles, nella quale il tradizionalista italiano non si tirò indietro nell’esprimere il suo giudizio, a cui noi aderiamo incondizionatamente, sulla Massoneria, quale un “sincretismo pseudo-iniziatico”. Sempre in riferimento al Mistero del Graal, vi appare un’appendice che rappresenta un vero manifesto evoliano sul percorso latomistico, che chi si diletta in carpiati e salti mortali vari per accostare Evola alla dimensione muratoria, dovrebbe imparare a memoria: “… a partire dal XVIII secolo sorgono appunto gruppi, affiancanti le cosiddette sociétes de pensée, i quali ostentano un carattere iniziatico, mentre si danno più o meno direttamente a quest’opera rivoluzionaria e “riformistica” di “illuminismo” e di razionalismo. Alcuni di tali gruppi erano effettivamente la continuazione di organizzazione precedenti di tipo regolare e tradizionale. Così a tale riguardo devesi pensare ad un processo di involuzione spintosi fino ad un punto nel quale, per via del ritirarsi del principio animatore originario di queste organizzazioni, potè realizzarsi una vera e propria inversione di polarità: influenze di tutt’altro ordine andarono ad inserirsi e ad agire in organismi, che più o meno rappresentavano il cadavere o la sopravvivenza automatica di quel che essi in precedenza erano stati, utilizzandone e volgendone le forze in una direzione opposta a quella che era stata la propria normalmente e tradizionalmente”[2]. Tali sono i caratteri di riconoscimento indicati da Evola, anche verso chi pretende vanamente o si illude di conservare un carattere tradizionale ed operativo, ma verso cui alcune cartine di tornasole sono indispensabili per smascherarne la vera natura antitradizionale.

Segnaliamo, in merito, due riflessioni importanti e di natura assolutamente opposta. In primis,  ci riferiamo al testo al quanto interessato a firma di Fabio Venzi, Gran Maestro della Gran Loggia Regolare d’Italia – «Julius Evola e la Libera Muratoria – Una verità scomoda», ed. Settimo Sigillo, in cui la presunta scomoda verità sarebbe rappresentata da tutto il presunto debito che si ascriverebbe ad Evola rispetto ad Arturo Reghini ed alla sua appartenenza massonica. Alcune precisazioni vanno assolutamente poste in essere, rispetto a tale palese distorsione dei fatti. In un testo, in cui si ricercano le radici del pensiero metafisico evoliano, il fatto che, oltre Guènon, personalità essenziali per la formazione esoterica del pensatore romano, quali Giovanni Colazza e Ercole Quadrelli, non vengano mai citate rappresenta già un dato sospetto. Evola, inoltre, che riconobbe il suo debito verso Reghini[3] ne Il Cammino del Cinabro, aveva già intuito il proprio indirizzo spirituale sin dal 1917 in trincea quando aveva iniziato ad impostare i suoi scritti sull’Individuo Assoluto e l’idealismo magico, che nulla presentano di filosofico, in un accezione moderna del termine, prima di conoscere il pitagorico fiorentino, intrattenendo intensi rapporti col mondo dell’ermetismo italico, e come si può anche evincere dal saggio apparso su Ultra nel 1926 dedicato ai Misteri di Mithra o il suo testo sui Tantra, in cui una data visione sapienziale era già ben consolidata. Nella sua autobiografia, il filosofo romano ha giustamente riconosciuto quanto la figura di Reghini sia stata importante nella sua maturazione, come lo è stata la magistrale personalità di Renè Guénon, ma esprimendo l’originalità del suo percorso: non si deve dimenticare come nonostante le opinioni di Guènon, Evola mantenne negli anni i suoi giudizi positivi su personaggi come Meyrink o Kremmerz. Non dimentichiamo, inoltre le invettive di Evola contro Reghini e contro il Grande Oriente in “Diffida contro Ignis”[4] o in alcuni saggi apparsi su Regime Fascista, a seguito della disputa intorno alla pubblicazione di Imperialismo Pagano. E’ davvero esilarante il fatto che nell’ultimo capitolo del testo, dedicato a Evola quale ultimo mago, non si faccia alcuna menzione degli acclarati  – da noi e da ricercatori più qualificati di noi –  contatti con la Fratellanza di Myriam, di Giovanni Bonabitacola, di Lombardi, di Padre Olivia. In merito, reputiamo che lo speciale di Vie della Tradizione ed il nuovo testo dell’amico Gianfranco De Turris “Un filosofo in guerra” abbiano concorso a rimettere il tutto nel giusto e doveroso guado.

Al contrario, al convegno romano del 29 Novembre 2014 “L’eredità di Evola”, il prof. Claudio Bonvecchio, gran oratore del Grande Oriente, con grandissima onestà intellettuale e con un’analisi assolutamente precisa e calzante[5], ha evidenziato una semplice ovvietà: Evola, vista l’acclarata decadenza dell’ordine latomistico, non poteva che essere anti – massonico … noi aggiungiamo, molto semplice e chiaro! Nell’ottica della palingenesi animica come intesa da Evola, una severa critica è sempre stata rivolta ad una vuota cerimonialità, non contemplate un preciso processo maieutico di conversione interiore, quale sperimentazione non virtuale di precisi stati di coscienza. Ciò può far comprendere quanto il rito fosse per Evola atto magico di trasmutazione dinamica e non un formalismo svuotato da ogni significato: “Esiste un livello da cui risulta per evidenza immediata che i miti misteriosofici sono essenzialmente trascrizioni allusive di una serie di stati di coscienza lungo la via della autorealizzazione. Le varie gesta e le varie vicende degli eroi mitici non sono finzioni poetiche, ma delle realtà – sono atti ben determinati dell’essere interiore che lampeggiano uniformemente in chiunque volga verso la direzione dell’iniziazione, verso la direzione, cioè, di un compimento di là dallo stato umano di esistenza. Non si tratta affatto di idee allegorizzate, ma di esperienze”[6]. Ciò pone l’idea qui esposta assolutamente lontano dall’iniziazione virtuale massonica, così come desunta da un Guènon, ed in netta antitesi dimensionale rispetto al pressappochismo di certo neopaganesimo – approfondiremo il tema nella terza parte di tale saggio –, che ad Evola ed alla Tradizione arcaica, affibbiamo contiguità con suppliche, preghiere e cerimonie maldestramente ricostruite (se non inventate di sana pianta) del tutto inappropriate.

Oltre a tutto ciò, in una splendida introduzione al testo di Bernand Fay sulla Massoneria[7], è lapalissiana la convinzione evoliana di quanto l’istituzione muratoria abbia rappresentato uno degli strumenti più efficaci di destrutturazione della Tradizione Occidentale, quale motore occulto delle Rivoluzioni ispirate dagli immortali principi dell’89. E’ comprensibile, infine, che riviste storiche di natura guenoniana e muratoria perdano ancora il proprio tempo a polemizzare contro il pensiero di Julius Evola, avendo lo stesso chiaramente destrutturato un modus agendi assolutamente contrario allo spirito tradizionale; non è tollerabile, invece, che per motivi non troppo limpidi ambienti di medesima natura tentino di far passare un grande tradizionalista per quello che non è mai stato o attribuendogli vicinanze che non ha mai, in vita, gradito avere. Di tutto ciò se ne facciano una ragione, non tanto i numerosi ed onesti liberi muratori che perseguono la via che hanno prescelto coscientemente per se stessi (ne conosciamo di autorevoli e dinanzi a cui bisogna inchinarsi per l’etica, la rispettabilità e la profondità d’animo), pur in dissonanza con la nostra e con Evola, quanto gli ex-evolomani che ben si son distribuiti tra loggia e sacrestia, nascondendo dietro una taroccata toga romana un grembiulino o un rosario.

Nella seconda parte, tematizzeremo circa la seconda “liberazione”.

[1]Per “gerarchico riferimento” tradizionale intendiamo la platonica ripartizione dimensionale, tramite cui la sfera sapienziale e sacrale sovraintende quella metapolitica e politica, e quest’ultima la dimensione prettamente economicistica, proprio come la trifunzionalità nel mondo indoeuropeo si manifestava chiaramente.

[2] J. Evola, La massoneria moderna come inversione del ghibellinismo, in appendice a Il Mistero del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma.

[3] Anche su Reghini quale rappresentante della Massoneria si dovrebbe attuare un’analisi senza preconcetti, per due ordini di motivi: il nostro si pose sempre in una posizione di rettificazione dell’istituto muratorio e non di mera e agiografica adesione; le ultime ricerche documentarie testimoniano, inoltre, come negli ultimi anni di vita il Reghini sia stato ammesso nell’ambito della Fratellanza di Myriam, al Circolo Virgiliano di Roma, in cui la doppia appartenenza massonica ed ermetica non era espressamente consentita.

[4] Evola nel testo pose in essere una precisa distinzione tra Grande Oriente massonico e Grande Oriente Egizio, acclarando una netta separazione – come conferma saggiamente anche da Paolo Galiano nella seconda edizione di “Roma prima di Roma” per Simmetria – , in cui il riferimento di frangia e di natura magico –nilense, anche se solo in alcuni periodi assunse veste formale massonica, si è da sempre differenziato nella visione del mondo e nella ritualità, non di natura giudaico – cristiana, rispetto alla muratoria generalmente intesa. Non è casuale, infatti, la vicinanza, non l’appartenenza quale sodale, di Evola a personaggi come Gaspare Cannizzo, Gastone Ventura nella linea misraimita autentica, oltre alla già citata frequentazioni degli ambienti cosidetti “kremmerziani”.

[5] L’interessante relazione del prof. Bonvecchio al convegno è visualizzabile su Youtube.

[6] J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Roma 2010, pp. 292-93.

[7] B. Fay, La Massoneria e la rivoluzione intellettuale del Settecento, Edizioni di Ar, Padova.

Luca Valentini

(Tratto da ereticamente.net che ringraziamo sentitamente per la gentile collaborazione)

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