Di Giuseppe Francesco Borri, Milanese, noto alchimista della prima metà del 1600, riportiamo alcuni cenni riferiti da Jollivet-Castelot nella sua «Storia dell'Alchimia». Di lui trascriviamo l'Orologio Chimico, e lo trascriviamo con tutte le originali e curiosissime sgrammaticature, affinché il lettore abbia una idea di come i Maestri dell'Arte amavano ri-velare ai loro discepoli i segreti dell'operazione trasmutatoria.

• Giuseppe Francesco Borri nacque a Milano il 4 maggio del 1627. Compì gli studi a Roma, nel seminario dei gesuiti e poi fu ammesso in Vaticano. In seguito si consacrò alla medicina e alla chimica, ma menò in pari tempo vita sregolatissima. Nel 1654, dando egli scandalo, la polizia lo perseguitò; allora finse di correggersi della vita dissoluta. 

L'anno dopo, essendosi stabilita a Roma, Cristina Alessandra, ex-regina di Svezia, figlia di Gustavo Adolfo (nata nel 1626; regina dal 1632 al 1654, morta nel 1689), protettrice dei letterati, degli artisti e degli scienziati, e soprattutto degli alchimisti, comeché seguace ella stessa delle dot-trine e delle pratiche spagiriche, il nostro gesuita le si presentò ed eseguì una trasmutazione. Se non che, essendo morto il pontefice Innocenzo X ed essendo stato innalzato al soglio pontificio Alessandro VII (nel 1655), nemico acerrimo dei novatori, nel cui numero si trovava il Borri, costui, per sfuggire all'occhio vigile del Sant'Uffizio, risolve d'abbandonar Roma.

A tal fine si travestì da pellegrino, per non destar sospetti, e chiese ricetto per una notte al marchese Massimiliano Palombara, noto alchimista romano, il quale possedeva una villa sull'Esquilino. Accolto benignamente, il Borri eseguì nottetempo una trasmutazione nel laboratorio del marchese, al quale lasciò delle note alchimiche che, nel 1680, l’aristocratico romano fece in parte dipingere e in parte incidere nel casino della villa; poi s'involò e si recò a Milano, dove diffuse le sue idee religiose e dove trovò molti seguaci.

La Santa Sede però non dormiva, e il 5 gennaio 1661 lo condannò, quale eretico, a essere bruciato vivo. Egli però se n'era, in antecedenza, fuggito a Strasburgo (1660). Da quella città si recò ad Amsterdam (1662-63) e ad Amburgo (1664?), dove ebbe sovvenzioni cospicue dalla regina Cristina, che in quel tempo si trovava colà a diporto, e a Copenaghen (1669?), dove fu finanziato dal re Federico III, che morì il 9 febbraio 1670. Odiato da' cortigiani di quel re, il gesuita milanese risolse di lasciare la Danimarca e di recarsi in Turchia. A tal fine si avviò per la Moravia, ma a Goldingen il governatore, dubitando di lui, lo fece imprigionare.

Nel 1672 l'imperatore d'Austria lo fece consegnare al pontefice, allora Clemente X, che lo chiuse in una cella del Sant'Uffizio. A Borri furono fatti abiurare i propri “errori”, cioè il suo libero pensiero, é fu fatta fare pubblica penitenza. Qualche anno dopo il duca d'Estrées, ambasciatore di Francia, ottenne che il gesuita fosse trasferito a Castel Sant'Angelo, dove gli fu concesso anche d'impiantare un laboratorio. Egli morì in quel carcere il 10 agosto 1695.

Borri pubblicò: Gentis Burrorum notitia, opera anonima, Strasburgo, 1660; De vini generatione in acetum, decisio experimentalis; Epistolae duae ad Th. Bartholinum, de ortu celebri et usu medico, necnon de artificio oculorum humores restituendi, Copenaghen, 1669; Istruzioni politiche date al re di
Danimarca
, 1681; e i suoi nemici diedero alle stampe dieci lettere sue; in un libro intitolato: La chiave del gabinetto del cavaliere G. F. Borri, col favore della quale si vedono varie lettere scientifiche, chimiche e curiosissime, con varie istruzioni politiche e altre Cose degne di curiosità e molti segreti bellissimi, Colonia, Marteau, 1681, piccolo in .12°. La prima e la seconda di queste lettere "nelle quali pare che l'abate di Villars abbia dato il sunto nel suo Conte di Gabalì (o Conversazione sulle scienze segrete) trattano degli elementi; nelle sette seguenti si parla della Grand'Opera, della congelazione del mercurio e d'alcuni segreti metallurgici e cosmetici; l'ultima ha per oggetto l'anima degli animali.

Sono precedute da una lettera anonima, indirizzata al Borri, loro presunto autore. Per gli scritti alchimici lasciati dal Borri al marchese di Palombara (ben poca cosa, invero), si consulti il libro di Francesco Cancellieri: Dissertazioni epistolari di G. B. Visconti e Filippo Waquier de la Barthe sopra la statua del Discobolo scoperta nella Villa Palombara, ecc. pubblicato a Roma nel 1806 per cura d'Antonio Fulgoni (Vedi pag. 40 e segg.).

Della villa Palombara non rimane' più vestigio; solo è stata conservata l'intelaiatura marmorea d'una porticina d'accesso, ch'ora s'ammira nel giardino pubblico di piazza Vittorio Emanuele, a Roma. Essa porta incisi vari segni alchimici e alcuni versi dell'infelice Borri. (Vedi « La porta ermetica » di Giuliano Kremmerz - I^ volume della Piccola Biblioteca Esoterica).

 

*V. S. pigli una tazza dì ferro nuova e la faccia roventare sopra un tre piede di ferro, e vi metti dentro due libre di Piombo sul quale squagliato V. S. getti a poco a poco Salnitro buono polverizzato, e lo lasci fondere, e lo lascerà così squagliato senza levare, né dal vaso, né dal piombo, finché il Salnitro sia consumato, almeno la metà che vi si accenda il fuoco, ciò non nuoce all'opra, perché quanto più il Salnitro sarà cotto, tanto più l'olio sarà forte. Lasci poi raffreddare tutto, e separi il Salnitro dal piombo, e lo metti, macinato bene, sul marmo nella cantina, e si dissolverà in liquore, che V. S. metterà in una cucurbita, e poco a poco sovra il doppio di buono spirito di vino distillato a fuoco lento, e macini quanto rimarrà in corpo al fondo della Cucurbita e lo dissolverà sul marmo, come ho detto, lo rimetti nella cucurbita e lo spirito di vino sovra, e reiteri queste dissoluzioni finché il Salnitro rimanga al fondo della Cucurbita risoluto in olio, che non si congeli più e avrà il balsamo fino.

Faccia poi acqua forte di Salnitro, vitriolo seccato ed allume di Rocca, metti nel recipiente prima di giugnerlo alla Cucurbita limatura d'acciaro, verde Rame ed antimonio, il tutto macinato da mezz'oncia di turia e di di cinabro, od un'oncia secondo la quantità dell'acqua forte, che si vuol estrarre: rimetti quest'acqua ripiena di queste droghe sulle feccie polverizzate e la ripassi per un'altra fiata.

Dissolvi un'oncia di argento in tre oncie di quest'acqua e distilli goccia a goccia su questa dissoluzione un'oncia del detto olio, o balsamo di nitro in un vaso fatto come gli orologi a polvere, che non deve essere pieno per lo più che la metà, ne metti in un altro simile, ma che abbia la bocca poco più larga che quella di sotto, od in un vaso col collo lungo che chiuderà, od otturerà ermeticamente, che se fa in fiaschi come prima, che la giuntura sia lutata bene, metta il vaso in due fiaschi nelle ceneri calde e l'altezza di cinque diti e più basso della materia.

Si fisserà ogni giorno un danaro d'argento in oro, e quando tutto sarà fissato di giorno in giorno, l'acqua forte che prima era verde come smeraldo rimarrà chiara come acqua di fonte.

V. S. lascierà raffreddare tutto e separi, poi l'olio dall'acqua, ed avrà l'argento fissato in oro perfettissimo, e l'oglio potrà sempre servire. Chè se vuoi far l'argento, faccia sublimare nell'arena arsenico, un peso eguale di sale decrepitato, e piglia la materia mezzana. e cristallina che si sublima, rigettando la farina sottile che va in alto del capello cieco, e le feccie che rimangono al fondo, si risublimi l'umor cristallino, e reiteri tante fiate che non si sublimi più. Calcini poi argento con mercurio, col quale V. S. l'amalgamerà, e reiteri tante fiate, che l'acqua, nella quale lava l'argento doppo che il Mercurio ne è scacciato dal fuoco, esci netta e chiara, come vi è stata messa.

Macini bene queste due cose assieme, 4 parti di arsenico e 1 di argento amalgamato con Mercurio depurato; sublimi tutto finché non salga niente. Tal sublimazione si fa comodamente in un vaso corcato di lato, e rivolgendo sotto quanto è sublìmato sopra e così si evita di rompere vari vasi che si dovrebbero fragnere, perché essendo la materia sublimata, vi si attacca troppo forte. Metta questa ultima materia che è come pietra, doppo che sarà ben macinata in una vescica di porco, e la lasci in digestione nel bagno finché si sia tutta ridotta in oglio fisso, il che si conoscerà alla trasparenza della vescica.

Pigli una parte di quest'oglio e 4 parti dí Mercurio, ed un poco più, e metti tutto in un crociuolo, metti l'oglio quando il Mercurio bollisce, poi continuando il fuoco di fusione doppo per cinque ore, finché la materia sia dura, il tutto si riduce in una massa di materia impura, che si attacca al crociuolo, il quale si frange, e si leva la detta materia, la quale si mette alla copella di piombo, e ne esce il più bello e più perfetto argento del mondo.•

(Dalla chiave del Gabinetto di Giuseppe Francesco Borri)

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