Stralci di alcune lettere scritte dal Kremmerz alla figlia e al genero
Prima parte

1a (Alla figlia) - 10 novembre 1911

...Della mia salute non preoccuparti. Sono io che mi preoccupo di voi tre, perché mi comincia a vincere tale una stanchezza morale che mi sento invecchiato di altri cinquant'anni. Abbi fede, prega Dio, prega sempre Dio. Egli può tutto. Egli tutto dà e tutto toglie. Egli è il padrone della pace e del dolore. Non aprire mai la bocca per maledire e perdona sempre, perché tutti abbiamo a nostra volta da essere perdonati di qualche cosa. Studia il più e il meglio che puoi: nella intelligenza delle cose del mondo spesso si trova la fonte di quella filosofia che ci fa disprezzare il martirio e ritrovare nel dolore la pace... 

2a (Alla figlia) - 24 dicembre 1911

Ti scrivo la notte di Natale, mentre mamma e Adele dormono e la febbre, che mi piglia ogni sera, sta per venire. Il mio silenzio ti ha fatto credere che io dimentichi gli assenti? Hai torto. Ho il diritto di ritenere che tu non lo pensi e non lo senti. Gli è che posso fare per te molto poco o niente; la mia fibra resistente è stata troppo abusata, ho dovuto lottare contro la stupidità umana e contro la vita per sé stessa amara e a 50 anni — quando a 57 e a 60 i nostri ufficiali superiori fanno una guerra penosa in Africa — io mi sento come un limone premuto, mi piego su me stesso e vedo, per questa esistenza, l'ideale unico di vedere i miei tre figli con l'avvenire assicurato e felice e il mio nome amato come dispensatore di bene. Invece... le necessità createmi dalla stoltezza delle persone che tu conosci mi fanno debitore di amici e di nemici; quei poteri guaritivi che avevo miracolosi son deviati e la stanchezza mi assale perché ora ogni sforzo mi pare tardivo ed inane. ...Tu mi conosci nell'intimità di figlia, e la mia vita ti serva da ammaestramento; io sono esaurito per aver troppo voluto fare il bene; a me non ho mai pensato. Quindi il consiglio che ti mando è semplice: ama il tuo sposo e sorreggilo; non lottare contro le opinioni locali; rispetta i costumi della tua nuova cerchia e non destare né invidia né gelosia. Frena la tua bocca e limita i tuoi desideri, perché la vita è denaro, e tuo padre che aveva il dono di fabbricarne non vi è riuscito; quindi la vita pel denaro è amarissima quando i bisogni non si limitano allo stretto necessario. Il giorno in cui tuo marito ha cento lire, conservale; non essere sciocca. Così egli sarà contento di te. Ma soprattutto non crearti gelosie ...

3a (Alla figlia) - 15 ottobre 1912

... Ti sei lamentata che a lui (al di lei fratello) ho scritto spesso in questi ultimi tempi, ma le mie lettere hanno avuto lo scopo di dissuaderlo dalle sue pratiche di negromante, dal lotto e dalla vana speranza che gli piova la dottrina dal cielo. Quali i risultati? Li hai visti. Per poco non mi fa delle lezioni di scienze occulte. Carissima figlia, tu per sentimento mi hai voluto bene e mi vuoi bene, ma di te non ho avuto a lodarmi nella compagine della mia famiglia che avessi contribuito in certo modo a rendermi più piena la vita spinosa. Hai guardato le cose da un punto di vista così femminile che non hai contribuito a migliorare né la mia posizione né quella della tua nuova famiglia. Questo non è un rimprovero, ma una constatazione di fatto... Ad un anno di intervallo dal tuo matrimonio io non sono più riconoscibile. Ho lottato tanto, ma ora non lotto più, mi rassegno. Ecco perché non ti scrivo... finisce che tutto si discute in famiglia e tutto diventa fonte di amarezze; anche se vinco al lotto nessuno deve saperlo perché tua madre se vede perdere grida, se vede vincere dice che certamente ho la fata o ho qualche ragazza nascosta. Così non mi resta altro che far lo scolaro...

4a (Al genero) - Beausoleil, 28 ottobre 1912

... Devi sapere che io riesco in tutto quello che mi propongo, meno che per le persone di famiglia.

5a (Al genero) - 31 marzo 1914

... Il difetto del tuo carattere è di preoccuparti di tutto, delle cose piccole più che delle grandi e non hai fede in te stesso. Credi che gli altri valgano più di te o non rifletti che questo maggior valore che vedi in essi è il risultato della loro relativa libertà di spirito. Per esempio, tu sei occupato dalle 8 alle 21, ma dopo quest'ora, mangiando e dormendo, tu continui a vivere nel tuo ufficio. Gli altri al tuo posto dimenticherebbero dopo quell'ora ogni cosa e penserebbero a sé stessi. Così tu non sei mai tuo...

6a (Al genero) - 30 ottobre 1914

... Il mezzo di guarire è di essere certo della guarigione, da qualunque parte arrivi. Vi possono essere aiuti che le persone più spregevoli apparentemente possono darti e che tu rifiuti per sistema. Comprendi quello che ti dico? Rivolgiti a un medico amico, anche se professionalmente tu non lo onori della tua stima e ascoltalo quando ti senti di consultarlo. Il Dio della medicina parla per tutte le bocche. Considera il medico in quel momento che gli parli come un medium, come una sibilla, per la bocca del quale il dio della medicina ti può dare un responso. I Caldei, quando vedevano un ammalato che non guariva, lo esponevano al pubblico e tutti i visitatori gli dicevano la loro opinione; il meno savio tra essi poteva dare il segreto di guarirlo, appunto perché il grande Kons poteva sceglierlo come portavoce. Quando tu domandi al medico o chicchessia il consiglio o il rimedio non accettare ad occhi chiusi la risposta se la risposta che ricevi non è accettata dal tuo IO interiore. Ti dico questo perché tu capisca che il rimedio suggeritoti da un medico non è buono se non quando ti viene interiormente la convinzione che quello è. Non perché tu debba analizzare o discutere il consiglio con un ragionamento più o meno scientifico, ma ti devi sentire disposto simpaticamente verso il rimedio che ti è suggerito. Se fai così, tra cento consigli sarai al caso di scegliere il buono e il migliore...

7a (Alla figlia) - 31 luglio 1917

... Nella tua bella lettera tu mi dici che nella mia io trasfondevo la mia bontà. Questa bontà è stata la rovina della mia vita e della vostra e non voglio nemmeno sentirne parlare. Forse la conservo come si conservano i vizi e le abitudini vecchie, ma neanche ora ho a lodarmene. Quello che devi vedere oggi in me è la rassegnazione. Sono un rassegnato, ecco tutto. Aspetto quello che Dio mi manda come la fatalità di tutta la mia vita. Aspetto la conclusione amara o dolce, dolorosa o allegra, purché questa vita finisca in un modo o nell'altro... Nelle attuali condizioni di cose ogni illusione ulteriore non è possibile. È impossibile muoversi, impossibile restare (a Beausoleil). Impossibile che mamma conviva con una di voi, impossibile Bari impossibile altrove. Capisci che ciò che mi lega è mamma e Michele; per essi sono obbligato ad aver una casa, una residenza, un legame alla terra. Ma non parliamone più. Così è e così resta. Parliamo di tuo padre: io non assumo il tono tragico dei profeti d'Israele, io sono rassegnato alla fine. Pace non ho trovato in tutta la mia vita, la bontà che tu mi lodi, causa dei miei e vostri dolori, è nient'altro che rassegnazione al fato. Raccolgo le ortiche che non ho avuto il coraggio di sradicare. Tu non hai letto i Viaggi in Oriente di De Vogne. Vi è un siriano chiamato Vangheli che racconta tutta la sua vita avventurosa: da seminarista diventa guerriero, da guerriero pescatore di spugne, poi schiavo di un principe egiziano, poi mercante, poi cancelliere di un tribunale turco, alla fine commediante di una compagnia di saltimbanchi. Diventato vecchio si domanda: ma perché ci arrabattiamo tanto per tutta la vita? Quale è il segreto dell'anima umana? Crede che gli occidentali lo conoscano e ne domanda all'autore del libro, il quale gli dice che gli occidentali neanche lo sanno e De Vogne si fa promettere da Vangheli che se lo dovesse trovare, si ricordasse di comunicarglielo. Vangheli parte e si va a far monaco. De Vogne torna dopo tempo e va a cercare dell'amico, ma trova che era morto lasciandogli detto di leggere sulla tomba la parola dell'enigma. De Vogne legge: "Eureka", parola greca che significa: ho trovato. Aveva trovato l'enigma risoluto naturalmente nella tomba. Non essere come tua madre paurosa di questa parola. La tomba non ha niente di tragico, anzi ha l'accento comico della derisione: i morti chiudono il libro e se ne ridono del mondo. Con questo non voglio dirti che desidero morire: io non sono un cristiano della paolotteria e ho ancora la speranza di mangiare molte pizze al patrio pomodoro; ma chi sa, potrebbe essere una soluzione anche quella della tomba. ... Ti assicuro che il prolungamento di questa mia agonia è un orrore. Alla età che ho qualsiasi medicamento è una prolungazione delle pene: nato libero, dovevo conservarmi libero malgrado tutto, e invece mi sono lasciato - per la famosa bontà - legare con lo spago come una soppressata. Eccoti, cara figlia, che ti ho scritto di tutte le mie pene, più profonde di quelle che paiono, perché passata la cinquantina scema il vigore del corpo per aiutare la fede nel raggiungere la mèta con l'azione. Ricordati che il maggior dolore di una coscienza è di veder distrutta per volontà di chi non sa tutto il lavorio di una vita.

8a (Al genero) - 5 settembre 1919

...Nella vita vi sono delle necessità a cui bisogna far tanto di cappello; l'amore materno è una di queste necessità morali a cui, opponendosi, bisognerebbe avere un non so che di feroce in sé, da non impressionarsi dei dolori altrui, specialmente quando questo "altrui" rappresenta il nostro affetto concreto di marito e di padre.

9a (Alla figlia) - 24 gennaio 1920

... mi hai sentito predicare sempre che solo il denaro, accoppiato al senso di padronanza della vita sociale, può rendere meno travagliata la vita di famiglia, oppure bisogna essere soli e fare la vita del romito. Se vai a teatro, divertiti e non pensare a noi; non pensare al passato: il passato non torna più. L'anno venturo compirò sessant'anni - non ci facciamo illusioni - Napoli la vedrò sulle cartoline illustrate... Qui le giornate passano come baleni. Mi levo la mattina alle 7 e la sera si fa tardi. Mamma è l'unica compagna: i suoi brontolii cominciano la mattina e finiscono a notte inoltrata. Ma se non avessi neanche questa consolazione delle sue nervosità verbali che farei?...

(Tratto dall’opera “Il Sole Arcano” di Pier Luca Pierini R. (Ed. Rebis, seconda ediz. 2012), con il permesso dell’Editore)

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