Esistono o no delle forze interne nell'uomo? Esistono o no delle facoltà occulte nell'uomo? Ebbene, allora bisogna coltivarle, bisogna, esercitarle. Esse devono essere esercitate con metodo, cioè mediante un allenamento progressivo e graduale. Questa proprietà, la hanno tutti gli uomini. Però se noi dicessimo che tutti, la possediamo nello stesso modo, diremmo cosa inesatta. Così noi, per es., non possiamo dire che tutti gli uomini sollevano un peso di 120 chili, perché vi è chi ne è capace e chi — la generalità — solleva un peso molto inferiore. Dunque gli uomini sono differentemente dotati di forza psichica. Questa è la loro eredità, per la quale non si deve intendere quella avuta dal babbo o dalla mamma, perché quest'ultima eredità ha carattere secondario. Il bambino che nasce, ha il proprio nucleo vitale dotato di forza psichica, nucleo che gli viene dalle umanazioni anteriori, cioè nucleo che è l'eredità avuta da se stesso, la quale varia a seconda delle prove anteriormente subite o della volontà più o meno esercitata.

A questa eredità propria si unisce, in piccola misura, la forza psichica proveniente dal padre e dalla madre; cioè in una quantità tale che non è capace di modificare sostanzialmente la tonalità del nucleo vitale. Se così non fosse, come si spiegherebbe allora, per es. che: da due genitori spregiudicati nasce talvolta un bambino religioso, un bambino – cioè – che ha spiccate tendenze morali assolutamente diverse da quelle dei genitori? Ed, egli le sue tendenze le sviluppa malgrado l'opposizione dei suoi educatori. Nell'essere umano, al di dentro della forma carnale, vi è dunque il nucleo vitale, che è il sostrato delle vite anteriori. In questo nucleo che noi dobbiamo perfezionare, che dobbiamo coltivare, educare. Questo nucleo è l'anima, anima che gli antichi variamente simbolizzavano: gli Egizi la rappresentavano mediante un uccello, i cristiani a mezzo di un pesce. Perché del pesce? Perché il pesce sale dal fondo del mare alla superficie dell'acqua e poi di nuovo discende dalla superficie al fondo. L'Ictus, il pesce, è il simbolo del Cristo, cioè del Verbo incarnato negli uomini. Un recente libro di Conan Doyle parla dell'ictus e dei primi cristiani e, eccezionalmente alle altre opere di tale autore, è una opera di fede che principia bene e termina male. Gesù scelse per discepoli dei sensitivi, cioè degli uomini dotati di qualità medianiche, e questo lo fece perché si potessero mettere in relazione, in comunicazione col Cristo, cioè col principio vitale dell'Universo. I discepoli di Gesù si disse fossero dei pescatori: non pescatori di pesci ma di uomini. Vero è che qualcuno di loro era veramente pescatore di mestiere. Gesù, dunque, scelse due discepoli: Pietro ed Andrea, e poi altri due, Giacomo e Giovanni, e poi gli altri fino a dodici. L'uomo è dotato, dunque, di un nucleo vitale che ha delle proprietà: di queste proprietà si sono occupati e si occupano le scuole ufficiali di psicologia, ma con risultati bambineschi e da far ridere. Difatti gli esperimenti di psichismo che si eseguono nelle Università, sono eseguiti oggettivamente, cioè esteriormente all'essere umano. Essi, inoltre, sono indicati quali prove di assiomi premessi, che hanno per base la filosofia e non la pratica. Sì che lo studio della psiche umana non ha fatto — ufficialmente — che lievi progressi, mentre è uno studio antichissimo che venne coltivato nelle università templari, nelle Accademie medioevali, e che lo è nelle società esoteriche del giorno d'oggi. Tale studio è, però, da queste ultime seguito con un metodo diverso da quello della scienza ufficiale, cioè con metodo soggettivo, vale a dire che lo studioso studia se stesso. Dopo di noi, la scienza ufficiale s'impadronirà del nostro metodo, ma non potrà trovare la chiave.

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La nostra SCHOLA è piccola, cioè a dire che non ha l'estensione di un culto, di una religione; non ha grandi pretese, ed è insegnamento che si svolge terra terra. Ha pochi seguaci che sono indirizzati, con metodo speciale e diverso da quello magnetico o da quello ipnotico, a svolgere ed a perfezionare le proprietà latenti dell'anima loro. Gl'inglesi ed in parte i francesi, hanno un fondo mistico che manca a noi italiani. Noi italiani siamo scettici e positivisti: e questo sia perché i nostri antenati sono stati più vicini agli apostoli, sia perché i nostri padri hanno veduto, e perché noi vediamo, quanto avviene nella sede del papato. Perciò la nostra schola non è mistica, ma eminentemente positivista: io sono incredente. La SCHOLA è scientificamente materialista, perché i discepoli sono posti in grado di toccare con mano ciò che io affermo. Io non vi dico: credete, vi dico: esperimentate, e poscia persuadetevi voi stessi che ciò che vi ho affermato è la verità. La nostra pratica ha uno scopo; gli scopi che si possono proporre sono diversi: le ricchezze, la gloria, la soddisfazione dei propri desideri... Una scuola americana insegna a riuscire negli affari, mentre io ritengo che l'unico scopo che ci dobbiamo proporre sia quello della guarigione degl'infermi. La nostra SCHOLA è poco conosciuta, perché in Italia poche persone si occupano di tale studio. Non è da mettere a confronto, per es., con lo spiritismo, che ha molti e ferventi seguaci in America ed in Francia e che si fa una immensa rèclame. Così fa Leon Dénis in Francia con le sue pubblicazioni. Tenete presente però che tutto sta in una cosa sola: la facoltà evolutiva dell'uomo. Tutto ciò che attornia questa, tutto il contorno, non è che poesia. Belle son le « Lettere di un morto tuttora vivente » del Barker (Torino, Bocca 1917) che contengono anche delle verità, ma il resto non è che poesia, troppa poesia. Chi sa che cosa saremo noi dopo morti? Nessuno può dirlo. A tutti piacciono le belle descrizioni dei piani del paradiso del Leadbeater, ma in esse non vi è che i-deo-lo-gia; di positivo non vi è nulla. Perciò io non vi dico che cosa saremo dopo morti: passeremo in un altro piano per tornare nuovamente quaggiù con l'eredità nostra, cioè col nucleo vitale evoluto o no, a seconda che avremo o non avremo lavorato. Le anime evolute possono sapere ciò che furono nelle precedenti umanazioni. Per poter riuscire nella nostra SCHOLA occorre che il discepolo possegga queste tre doti:

disinteresse - certezza – indifferenza

Il disinteresse è quella .qualità per la quale uno opera senza egoismo, cioè impersonalmente, anonimamente: in altre parole un discepolo se guarisce un infermo, non lo deve fare per interesse personale; egli non deve dire: « l'ho guarito io »; questo sarebbe operare per egoismo. L'opera sua deve essere innominata: egli deve riferir tutto alla potenza della Catena, o meglio, alle forze guaritive della Fratellanza. Egli non deve neanche dar vanto di una guarigione alla catena, perché gli aiuti che un operante riceve, non si sa da qual parte vengano. Se, per es., un tale ha un dolore e si rivolge ad un praticante, questi può darsi che gli consigli, per guarire, di leggere un dato salmo davidico. Prima però che il malato metta in pratica il consiglio, può darsi che un medico si rechi a casa sua; e allora, forse, la moglie del malato potrebbe dire al dottore che un amico ha consigliato, « per guarire », la lettura di un salmo. A tali parole il dottore che è scettico, si fa una risata e dice al malato che il rimedio consigliato è cosa da sciocco. Egli, invece, gli consiglia di prendere 2 milligrammi di stramonio: il malato li prende e guarisce. In questo caso come può il Fratello asserire di essere stato lui a guarire il malato? La cosa non si può mai provare: la prova nasce nella coscienza di chi è stato guarito. Tutto il vanto della guarigione sarà del medico. Ma, indagando, chi è certo che al medico un'entità benefica non abbia sussurrato all'orecchio il rimedio dello stramonio? Anche questo non si può provare. Dunque sarebbe dannoso dar vanto a sé ed alla catena: chi crederebbe all'assertore? D'altra parte è certo che il miriamico influì indirettamente sul medico curante. In quanto al malato, sarebbe ugualmente guarito se avesse prestato fede al Fratello che lo consigliò. Il discepolo di Miriam, dunque, non deve operare per egoismo, ma disinteressatamente, vale a dire nella convinzione di non essere altro che uno strumento nelle mani di una forza benefica potente. Egli non deve atteggiarsi a medico. Poi bisogna che egli abbia la certezza di guarire, cioè che abbia la sicurezza che — coi mezzi che possiede — riuscirà a equilibrare il malato. Il Fratello che nel dedicarsi ad una cura dubita e tentenna, non guarirà mai nessuno. La certezza del proprio potere nasce a poco a poco: prima si opera il piccolo miracolo e poi il grande. La certezza è simile alla fede religiosa che è dovuta allo sbrigliarsi della immaginazione. Da noi, invece, l'operatore deve restare calmo. La condizione da lui richiesta è la tranquillità della mente e la purità del cuore. Il semplice che non si lascia impressionare dal male, lo guarisce. Da noi la certezza o la sicurezza — invece che sulla fede — è basata sulle prove palmari precedentemente ottenute. In matematica due più due fanno quattro: noi tutti, questo lo sappiamo ed abbiamo anche la perfetta sicurezza che mai, addizionando due con due, otterremo una somma differente da quattro. Chi ci ha instillato nella mente la sicurezza di un tale risultato? La prova da noi precedentemente eseguita della contazione di due più due per mezzo delle dita della mano. Oltre a ciò, ci hanno più che mai fatti sicuri del risultato, le riprove delle addizioni da noi stessi fatte. Ugualmente avviene per le guarigioni: i risultati ottenuti, o da noi o dagli altri scolari in catena con noi, ce ne porgono la irrefragabile attestazione. Noi, dopo gli esperimenti fatti su noi stessi, acquistiamo la certezza che con quegli stessi mezzi, con quelle stesse nostre facoltà, produrremmo immancabilmente la guarigione in altri, come la otterremmo su di noi. Da ultimo il nostro discepolo deve essere indifferente, cioè non-curante delle derisioni, degli scherni che gli possono provenire dal pubblico profano che non capisce nulla, e critica tutto. Noi dobbiamo riderci delle beffe e delle canzonature profane. Noi facciamo della pratica, non della teoria. Nelle università, nelle scuole di psicologia, si fanno delle premesse astratte che si corroborano con esperimenti adatti a dette premesse; da noi, invece, avviene tutto il contrario: si fanno esperimenti positivi, materiali, e — dopo che i discepoli hanno consacrato la loro riuscita — si passa a fare la teoria. I nostri esperimenti possono essere dedicati a vari scopi: per es. all'allenamento della volontà o a prove sulle percezioni.

a) DELLA VOLONTA' — tutti noi abbiamo una volontà, ma non tutti quando la vogliamo mettere in pratica, in azione, riusciamo ad ottenere ciò che ci proponiamo. Generalmente i sensi la vincono sulla volontà. La volontà può essere provata mediante esercizi inibitori: il vietarsi di fare una cosa, di bere una bevanda, di mangiare un cibo, di compiere un'azione. Quest'allenamento dà risultati di massimo interesse: produce effetti che si possono paragonare a miracoli, ma che pure non sono tali, essendo conseguenze naturali dell'allenamento. Mediante tale allenamento si può riuscire a bere dell'acqua ed a sentire il sapore del vino. Si tratta dunque di educare la volontà.

b) DELLE PERCEZIONI ESTERIORI — Mediante la volontà o l'autosuggestione, io per es., uscendo da un luogo caldo, d'inverno, POSSO evitare una malattia, comandando al mio corpo di non sentire freddo. Per ciò conseguire, basta che io dica: USCENDO NON SENTIRO' FREDDO. E non lo sentirò effettivamente, e se la volontà è forte, giungerò perfino a sudare, malgrado il gran freddo. Così d'estate potrò sentire freddo. Noi possiamo eseguire tantissimi esercizi facili: occorre però che la volontà venga esercitata sempre, in tutti i momenti della vita.

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Cosa sono le operazioni di circolo? Più è il numero degli esperimentatori, animati dalla stessa fede, tendenti allo stesso scopo, collegati da un'affettuosa relazione (che è effettivamente uno stato di impadronimento di uno dell'altro) che si mettono in circolo tenendosi per le mani, più si sviluppa fra loro una corrente nervea che è la risultante della potenzialità di tutti i singoli componenti la catena o circolo; è chiaro che, se uno dei discepoli, con la sua forza psichica sviluppata può dare un certo fenomeno, tutti i discepoli produrranno una corrente molto più potente di un solo elemento. Tale corrente sarà composta dalle correnti parziali che neutralizzerà e tonificherà. Questa corrente può produrre fenomeni importanti: per es., se noi costituiamo una catena e in mezzo a noi poniamo un sensitivo, se tutti ci mettiamo tacitamente d'accordo meno che lui, e a un dato momento, a un segnale prestabilito (per es., l'agitare di un fazzoletto), pensiamo tutti di sentire un cattivo odore, il sensitivo lo sentirà effettivamente: egli, cioè, sentirà ciò che le nostre menti vogliono che gli senta, e lo dirà. Questo esperimento è l'A. B. C. dello psichismo. Proseguendo negli esperimenti, potremo ottenere dei risultati meravigliosi, i quali collimano con quelli magnetici, pur non essendo ad essi identici. Queste operazioni di circolo sono rafforzate dalle pratiche magiche, le quali sono tradizionali nella nostra schola. Esse raccolgono, dinamizzate come furono, il pensiero di centinaia di migliaia di generazioni. Un segno è un pensiero vitalizzato che richiama l'aiuto e la presenza di esseri invisibili, i quali aiutano nelle guarigioni.

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La nostra Scuola è piccola, e non intende fare grandi cose: non intende porsi a raffronto delle grandi scuole scientifiche. Però vuole essere distinta dalle altre. Noi non possiamo abbordare i grandi problemi sociali, quali quelli della vita e della morte, perché essi esorbitano troppo dal nostro limitato compito. Pure molti problemi difficili si presenteranno ai discepoli: voi avrete delle prove materiali, dei fatti dei quali non saprete rintracciare le cause. Pure dovete da voi stessi studiare tali problemi e procurare di risolverli. Noi faremo la nostra strada; poi, a suo tempo, verranno dei Maestri, cioè degli esseri più avanzati di noi, da altri mondi, e ci guideranno.

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