Specchio incantato della Divina Imago

Nella notte più lunga dello spirito che anela alla luce, è riposto il divino incanto dell’anima sublimata nell’Invisibile. Le orde di tenebra che tentano di ghermire la luce sono in agguato nell’ombra, tra l’Alto e il Basso, tra l’umbratile limo e la terra radiosa.  “Vi sono in cielo e in Terra assai più cose, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Con queste parole, pronunciate dal principe Amleto nell’opera omonima, scaturita dall’impareggiabile genio William Shakespeare, l’autore conferisce al suo personaggio corpo, materia e spirito. Una sorta di alchimia vivificante volta a rendere manifesta la figura del protagonista. Parole profonde, espressione intima di un sapere che allude, in maniera incontrovertibile, a una dimensione parallela simile alla superficie riflettente di uno specchio, in cui tutti i raggi convergono insieme, allo scopo di concretare l’immagine speculare: l’imago, il doppio.

Un accesso segreto che conduce in una dimensione sconosciuta e impalpabile, ma non per questo meno reale e tangibile della nostra quotidianità: essa è la Realtà. Il ruolo dello specchio, all’interno del pensiero esoterico, mistico e religioso, ha origini lontanissime, nebulose e non facilmente esplicabili. Nel suo arcano fascino è celato il potere di pervenire alla visione di ciò che normalmente non è possibile scorgere, ma solo immaginare. In tal senso, lo specchio diviene il simbolo della conoscenza e della verità. Ci offre una ineffabile testimonianza dell’invisibile, dandoci la possibilità di verificare quanto è negato ai naturali e limitati sensi umani.

Nella sua luce irradiante ed arcana, si rincorre con fulgida luccicanza il segno dell’ineffabile mistero che circonda l’essere nascosto, l’essenza stessa del bagliore aureo che intesse l’esistenza velata, il senso del profondo, profondo Tutto. Il tema dello specchio, quale strumento sapienziale, è presente anche nell’ambito della tradizione cristiana e nelle parole di San Paolo che così scriveva: “Noi tutti, che a viso scoperto riflettiamo come uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine” (II cor 3.18).

 Il Portale dimensionale

Nel contesto ermetico, lo specchio assume valenze e connotazioni più vaste, come testimonia l’opera “Ars Magna. Lucis et Umbrae, scritta nel 1646 dall’alchimista Padre Athanasius Kircher il quale ci informa che: “Tutte le cose create, altro non sono che specchio in cui si riflettono, per noi, i raggi della sapienza divina…”. Nella sua specularità, possiamo ritrovare l’autentica essenza-influenza del soprannaturale che interviene nella composizione dell’immagine, alla stregua di una concezione virtuale che sfrutta il fertile terreno del riflesso, quale spazio atto a comunicare con i comuni  mortali.

Nell’esegesi simbolica proposta da Kircher, inoltre, l’osservazione della luce divina mediante la rifrazione speculare è utilizzata quale mezzo volto ad attenuarne la potenza allo scopo di penetrarne e conoscerne l’essenza, il contenuto: “Dio è la fonte della luce, l’Angelo, lo specchio della prima luce, l’uomo il secondo specchio”. Lo specchio, pertanto, è paragonabile a una soglia  - come il portale delle grandi cattedrali – che permette di interagire e comunicare con altri spazi, con l’universo, necessariamente, negato al profano. Questo varco simbolico introduce l’iniziato nel regno silente delle cause, nel tempio dei misteri. Tale concetto è ben espresso nell’opera Lo specchio Maggiore del domenicano francese Vincent de Beauvais (XIII secolo) “La natura nel suo complesso esprime la ricchezza della creazione esplicatasi a partire dall’immaterialità degli Angeli della luce, per definirsi nel mondo sensibile, negli elementi e nei corpi della terra, tra cui i metalli e  le pietre, in ogni genere di piante e di animali.

È, infine, nell’uomo dotato di anima, che Dio ha voluto fosse il signore della natura”. Il riferimento all’immanente, sotto forma di sostanza unica che permea ogni cosa è palese. Essa confluisce nell’uomo, il vero tempio nel quale avvengono le trasmutazioni interiori. Ma, l’allegoria dello specchio contiene al suo interno anche delle connotazioni negative, in base all’assunto che in natura ciascuna cosa possiede un suo contrario, Per esempio, se esaminiamo alcune raffigurazioni del Dottor Faust, colto nell’atto di stipulare il patto con il diavolo, l’ermetista si serve dello specchio quale strumento volto a metterlo in comunicazione con le forze oscure. Non a caso, nell’emblematica acquaforte di Rembrandt - autore della famigerata e misteriosa Ronda di notte – il Faust è raffigurato mentre osserva il testo del contratto attraverso uno specchio sorretto dal demonio, sul quale si riverbera una luce accecante, insostenibile dall’occhio umano. Faust, inoltre, è rappresentato proprio nel momento in cui sta compiendo una sorta di rituale magico, nel quale il famoso circolo evocativo non si trova a terra, bensì fiammeggiante tra le vetrate dell’occultum. All’interno del cerchio, nella parte centrale,  sono iscritte parole imperscrutabili: “Adam, Tet, Dageram” e sulla parte esterna: “Amrtet, Algar, Algastna”, mentre a fianco dello stesso, riflessa in un secondo specchio, si muove una mano il cui indice mostra una parziale interpretazione di quei caratteri arcani che esulano da qualunque spiegazione ragionevole. Hieronymus Bosch, il pittore
 fiammingo – con ogni probabilità iniziato all’arte dei misteri – nel celeberrimo dipinto “I sette vizi capitali” ripropone il tema dello specchio quale strumento di forze ottenebranti. In un particolare dell’opera, infatti, appare una donna di spalle che si specchia in una superficie riflettente sostenuta dal demonio.

 L’ombra e lo spettro: visioni nello specchio

Il noto psichiatra Pietre Janet, uno dei maestri della scuola della Salpetrière, nelle sue indagini orientate tra psicopatologia e modelli magici e religiosi, fa riferimento ad alcuni frammenti memoriali, accompagnati da immagini indotte mediante l’autoipnosi eseguita attraverso lo specchio. Una conferma di cui il mondo riflesso sia parte integrante delle origini umane e dei suoi modelli archetipi. La teoria dell’autoipnosi e dell’autosuggestione è presente anche nelle pratiche degli sciamani Tungusi, all’interno delle quali, lo specchio assume valenze incognite e diviene lo strumento primario dei loro rituali.

Nell’ambito de Giudaismo medievale e dell’Islam, invece, lo specchio era considerato alla stregua di un elemento catalizzante, capace di trattenere lo spirito del defunto intrappolandolo in una realtà parallela. In qualche modo, la lastra riflettente captava, cristallizzandolo, lo spirito che era in procinto di partire. Per questo motivo, e allo scopo di facilitare il transito dell’anima nell’oltretomba, secondo la tradizione era necessario capovolgere lo specchio nell’abitazione dove era avvenuto il lutto. In questo modo, lo spettro non era più incatenato alla dimensione riflessa. E’ interessante notare in tal senso, che la parola spectrum (spettro) e speculum (specchio), hanno una radice in comune. Anche nel caso del Giudaismo e dell’Islamismo si fa riferimento a un passaggio, un trasferimento.

Questo ci porta alla mente luoghi arcani, che racchiudono una complessa matrice simbolica e che rappresentano un ponte fra la nostra realtà e la controparte dimensionale. La Porta Ermetica di piazza Vittorio, a Roma, è uno di questi. Essa riesce ad esprimere in modo sorprendente il concetto di specularità e allude, in parte, alle metamorfosi o al superamento della soglia, mediante la quale l’iniziato può accedere al corpus sapienziale, onde pervenire alla conoscenza della sua identità più recondita, celata. Tra le iscrizioni che sono incise sulla porta dei cieli, una è particolarmente allusiva: “Il Tau, i circoli, la croce, i mondi, non soltanto il mondo presiedono”. G. Gichtel a proposito dell’imago riflessa così scriveva: “Al sopraggiungere dell’aurora, il giorno si separa dalla notte,e di ciascuno è visibile la natura e la forza,; perché senza opposizione, e nulla si può distinguere. E non v’è immagine nel chiaro specchio, se un lato non è oscurato”.

E ancora, Jacob Bohme, nel suo Theosophische Wercke (Amsterdam, 1862), si esprimeva “L’anima è un occhio di fuoco, o uno specchio di fuoco, in cui la divinità si è manifestata”. In un altro scritto lo stesso autore dice “Nello specchio Verginale della sapienza, la volontà di Dio si riconosce…”. Il vero Dio non è lo spauracchio che giudica e punisce, e nemmeno colui che dispensa le gioie fittizie di ordine materiale, secondo presunti meriti personali. Dio è numero, è Legge, è Luce. Non misticismo privo di sostanza ed effimero, esaltazione dell’ego, concezione stagnante di dogmi obsoleti, ma Vita. Si, vita che oltre lo specchio riflette l’immanente che è Causa ed eterno ritorno. 

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