INTRODUZIONE ALLA SPAGYRIA E ALLE MEDICINE ALCHIMICHE, di Matthieu Frécon – A cura di Viviana Donato

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La spagyria è una branca dell’alchimia dedicata alla medicina, che utilizza per lo più vegetali, e che fa abitualmente riferimento ad un aspetto dell’insegnamento di Paracelso (1493-1541).

I principi della spagyria, per quanto paracelsiani essi siano, restano i principi fondamentali dell’alchimia, motivo per cui non mi sembra molto utile fare una distinzione stretta tra questi due aspetti della scienza ermetica.

Possiamo anche dire che la spagyria ha una vocazione terapeutica mentre la sua sorella maggiore è piuttosto orientata verso lo sviluppo personale. E qui ancora, trovo poco utile la distinzione che si è soliti fare tra le due poiché l’anima nutre il corpo ed il corpo permette l’espressione dell’anima (semplificando la questione), e vi è una vera e propria interazione tra questi due aspetti del lavoro alchimico.

La questione della relazione tra la salute dell’anima e quella del corpo è un argomento molto profondo che tocca sia il terapeuta che il mistico. E’ anche, ad esempio, la peculiarità della medicina olistica. L’alchimia è una medicina olistica per eccellenza.

Ad ogni modo, tutta la storia dell’alchimia è legata alla guarigione dei malati, e tutti i grandi alchimisti prima dell’epoca moderna sono stati dei grandi medici.

Pertanto vi consiglio di approcciarvi allo studio della spagyria e delle medicine alchimiche attraverso un lavoro personale (sviluppo personale o piuttosto, curiosità personale), non con lo scopo di escludere l’aspetto terapeutico, ma con un obiettivo pedagogico mediante il quale appropriarsi di quest’arte per meglio adattarla alla propria pratica di terapeuta professionale o amatoriale. I grandi creatori dei sistemi terapeutici moderni come Samuel Hahnemann, Rudolf Steiner o Edward Bach hanno fatto questo: applicare i principi alchimici per creare un metodo terapeutico personale e originale (gli alchimisti sono degli artisti, dei creatori).

I principi fondamentali

Vediamo adesso quali sono questi principi, filosofici o pratici.

Il primo principio alchimico  afferma che tutto ciò che costituisce l’universo (la natura), la vita, la materia, ecc. ha una sorgente unica. Questo implica un legame tra ogni cosa, ogni essere.

Per noi, alchimisti, questa sorgente è il sole. E’ un modo pratico di vedere le cose, che è soggetto ad infinite disquisizioni filosofiche che non ci interessano qui, poichè lo ripeto, è per noi una questione di pratica, di metodo (e di risultati).

Il sole è dunque la sorgente di ogni essere, sorgente di tutta la vita e di tutta la materia, e la sua influenza (la sua luce) è la nostra materia prima, è la sorgente alla quale attingiamo per ristabilire la vita e la salute.

Il nostro lavoro consisterà dunque nell’introdurre in un supporto appropriato una quantità apprezzabile di questa vita universale. A questo punto, ci si offrono due metodi: possiamo attingere direttamente alla sorgente solare stessa (o lunare, poiché la luna riflette la luce solare), ed è la via che gli alchimisti chiamano “secca”; oppure possiamo andare a cercare questa vita primordiale nel cuore di certe creature specifiche che l’abbiano conservata (vi è in ciascun essere un po’ di questa energia primordiale, più o meno viva e più o meno accessibile), ed è quella che viene chiamata la via “umida” (nota: via secca, via umida, sono sicuramente dei termini di cui il senso può essere inteso in modo differente secondo le varie scuole, ma questa definizione qui ci sarà sufficiente, ed eviteremo delle dispute troppo frequenti tra gli alchimisti).

Il secondo grande principio alchimico, di ordine pratico questa volta, vuole che si separi ogni elemento presente in ogni essere per purificarlo (ovvero liberarlo dalle scorie accumulate nel corso dell’esistenza), per poi riunirli nuovamente.

L’energia primordiale contenuta in essi potrà allora nuovamente esprimersi e l’evoluzione riprenderà il suo corso verso una più grande perfezione. E’ il senso della parola Spagyria che significa “separare (spao) e riunire (ageiro)”.

Questi sono i due grandi principi che osserveremo sempre nel nostro lavoro semplice (“ciò che è semplice è esaltato” ci insegna un saggio motto alchimico classico).

“Separare e riunire”

Separare cosa?

L’osservazione ci insegna che ogni essere è costituito di tre parti che sono:

la Vita, che è questa energia primordiale, universale, che si esprime in differenti modi in ogni regno;

il Carattere di ogni essere, che si manifesta per ogni specie, o individuo, dalla sua forma, il suo colore, il suo profumo, la sua espressione…

il Corpo, che è un piccolo “mucchio” di sali minerali che sussiste dopo la sparizione dei primi due (quest’ultimo è davvero molto lontano da quello che chiamiamo abitualmente “corpo” il quale è piuttosto l’organizzazione e l’espressione del carattere, la seconda parte).

Gli alchimisti chiamano questi elementi i 3 principi: Mercurio (Vita), Solfo (Carattere), e Sale (Corpo). Ancora una volta questi termini hanno più significati, o indicano più cose differenti o anche contraddittorie: è il fascino del linguaggio ermetico, vero rompicapo degno dei migliori koans zen, ma che adesso eviteremo di impiegare troppo a beneficio di una chiarezza che ha il merito di favorire la pratica e l’esperienza.

Le basi della pratica

In questo capitolo affronteremo solo le basi della pratica. I dettagli di ogni operazione si trovano nel documento “L’élixir spagyrique”.

La Vita

Nella pratica dunque, la vita è onnipresente in noi e tutt’attorno a noi. Si potrà reperirla perfino nelle trasformazioni che provoca e che possiamo osservare quando essa abbandona un essere vivente. Infatti, quando una pianta o un animale muore, una certa agitazione si rivela nel cadavere, spesso mediante l’azione di microrganismi come i lieviti, i funghi e alti micoplasmi. Noi chiamiamo questa “agitazione” fermentazione. La fermentazione degli animali produce notoriamente dell’ammoniaca, quella dei vegetali produce delle purine o, più interessante per noi alchimisti, dell’alcool.

In effetti, questa ammoniaca o questo alcool sono i supporti di questa vita che cerca di riunirsi alla sua sorgente universale. Questi supporti hanno anche la proprietà di conservare gli elementi che essi contengono quando siano correttamente preparati (attraverso la distillazione). Questi supporti, questi Mercuri, avranno dunque la proprietà di trattenere la vita prima che essa li abbandoni. Il supporto della vita del vegetale con il quale noi facciamo il nostro lavoro spagirico o alchimico, sarà un alcool.

Il Carattere

Il carattere dei vegetali si manifesta a più livelli: al livello del regno, della specie, o dell’individuo… Questi livelli ci ricordano che la distinzione tra regno, specie, o individuo è qualcosa di molto relativo ma noi umani siamo portati a fare questa distinzione a causa del nostro ego molto sviluppato, ma torniamo al nostro argomento… Gli oli essenziali rappresentano un’ espressione del carattere delle specie vegetali, attraverso l’odore che emanano, e rappresentano anche una materia pratica da utilizzare nel nostro lavoro. L’inconveniente degli oli essenziali è che non è facile produrli se non si è adeguatamente equipaggiati. Mettere in atto noi stessi l’intero processo di produzione di questi oli è un vantaggio innegabile a livello di initimità con la pianta e con il lavoro (che è nello stesso tempo un lavoro esteriore – manipolazione di laboratorio – ed un lavoro interiore – sviluppo dell’attenzione nella relazione con questo processo). Per l’estrazione di questi oli sono preferibili dei metodi più dolci rispetto all’estrazione in corrente di vapore (la distillazione degli oli essenziali si ottiene trattenendoli in un flusso di vapore). Sarebbe preferibile un processo tradizionale che ci porta ad ottenere un concentrato di carattere un po’ diverso degli oli essenziali (meno puro, ma più completo) ottenuto mediante un estratto della pianta macerata nell’acqua (riassumendo, si tratta di fare una macerazione della pianta nell’acqua, poi far evaporare dolcemente fino ad ottenere una pasta dalla consistenza del miele).

Il Corpo

Il corpo è quello che resta dopo la sottrazione dei due principi precedenti, e la purificazione mediante il fuoco e l’acqua dalle scorie accumulate nel corso dell’esistenza. Dopo la calcinazione (ad alta temperatura questa volta) e la lisciviazione, ci restano dei piccoli cristalli salini. Questo nuovo corpo servirà da supporto ai principi precedenti quando anch’essi saranno stati purificati. L’insieme ricostituirà l’essere di partenza.

La Pietra

L’insieme sarà dunque riunito, molto progressivamente, per dare nascita ad un nuovo essere, quello di partenza, ma liberato, se si vuole.

Potrebbe sembrare ingenuo pretendere che questo elixir, o questa pietra (nome dato alla medicina che coronerà il nostro lavoro), sarà la resurrezione delle piante uccise, purificate, e maturate attraverso il nostro lavoro alchimico.

Questa visione forse un po’ animista può sembrare ingenua, ma personalmente penso che essa faccia parte di quel particolare “état d’esprit” che permette di avere dei risultati nel campo dell’alchimia, poichè questi risultati sono dell’ordine della conoscenza profonda della Natura.

L’amore dell’alchimista verso le “materie” con le quali opera (e che produce questa visione animista) è il carburante che genera il fuoco necessario alla “cottura” della sua pietra, che è un’espressione alchimica classica. L’amore non è forse l’elemento che permette la fusione?

Le operazioni

La fermentazione

La fermentazione, come abbiamo visto, è il risultato dell’agitazione della vita che abbandona l’essere che sta morendo. Rappresenta, dunque, un momento molto importante durante il quale succede qualcosa di fondamentale per la nostra ricerca (che è la ricerca della vita).

Nel regno vegetale, la fermentazione più conosciuta è la trasformazione dello zucchero in alcool sotto l’effetto dei lieviti. Essa si produce con un vegetale ricco di zuccheri, in un luogo chiuso (senza ossigeno esterno). Quando questa fermentazione avviene all’aria aperta, l’ossidazione dell’alcool produce dell’aceto, che è anch’esso un “Mercurio” utilizzato in alchimia, simile all’alcool ma con le sue particolarità (più acido, più aggressivo, più fisso). Queste particolarità hanno un interesse pratico: certe sostanze saranno più o meno idonee ad essere supportate dall’alcool, altre dall’alceto, altre ancora dall’acqua (le purine ad esempio)…. Ma la vita è la stessa dappertutto. Bisogna solo scegliere il supporto che permetterà di trattenerla per averla con noi nel nostro lavoro.

In un senso più ampio, tutto ciò che permette la decomposizione è una fermentazione.

La terra è un elemento di predilezione per la fermentazione, con le sue peculiarità che ce la faranno preferire, o meno, ad un altro supporto. E’ nella terra che si decompongono naturalmente i vegetali. L’argilla con le sue virtù medicinali ed il suo forte simbolismo (penso all’argilla genesiaca che servì alla formazione del vecchio Adamo) può essere considerata come un elemento privilegiato di fermentazione per delle preparazioni spagiriche.

La calcinazione, che vedremo tra poco, è una fermentazione: questa cottura produce una trasformazione ed una manifestazione della vita che lascia il corpo decomposto (ma a differenza della fermentazione alcolica, la cottura comune non permette di conservare questa vita nelle ceneri).

Essendo la vita all’origine dell’essere vivente, possiamo pensare che vi sia un rapporto tra essa ed il DNA, di cui potrebbe essere una manifestazione importante (il nostro “Mercurio” che porta questa vita, evoca nella imagerie alchimica il dio Mercurio/Hermes, rappresentato con il suo caduceo la cui forma è simile alla rappresentazione della doppia elica del DNA).

La distillazione

La distillazione è un’operazione molto importante nel laboratorio alchimico. Distillare è quasi un mania per gli alchimisti. Sono io stesso un distillatore di professione, e questo mi ha aiutato molto nella comprensione dell’alchimia. La relazione tra il piacere che procura un profumo o un’acquavite, per quanto profano sia questo piacere, e la capacità di guarire o raggiungere l’estasi mistica è evidente per chi ha sperimentato queste cose, e la soavità è un parametro importante per giudicare la qualità di un rimedio alchimico. L’arte della distillazione non è dunque da sottovalutare.

La cottura

Per la cottura, gli alchimisti possiedono più fuochi.

Il primo fuoco è il calore che serve a calcinare le nostre piante per ridurle allo stato di cenere. Ho l’abitudine di calcinare “à l’étouffe” (senza aria, n.d.t.) con un coperchio per far sì che le fiamme non permettano al fuoco interno di lasciare la mia materia. Non ho fatto delle comparazioni di risultati con il metodo classico che consiste nell’infiammare la pianta e non so se questa precauzione che prendo sia utile, lascio giudicare voi se ne fate esperienza. L’inconveniente di questo metodo è che serve molto più tempo per arrivare ad ottenere delle ceneri color grigio chiaro. Io utilizzo delle casseruole di inox, di ghisa, di vetro…

Questa calcinazione può essere fatta in un forno solare (parabola, lente di ingrandimento, ecc…), processo che dà dei risultati molto diversi.

Il fuoco seguente è dunque la luce solare, o lunare che è il suo riflesso. Qui, intendo per “cottura” un’azione di questo fuoco anche se non vi è una cottura nel senso abituale del termine. A questo titolo, una semplice esposizione alla luna piena è una cottura e questo fuoco particolare avrà un’importante azione di trasformazione, di maturazione.

La maturazione è ugualmente un fuoco, soprattutto quando essa è fatta ad una temperatura adeguata (in generale la temperatura del corpo, la temperatura di cova delle uova).

Si dice che i colori hanno un’azione sulla cottura dei rimedi alchimici, il colore verde in particolare, così come le onde di forma.

Il vuoto e l’elettromagnetismo sono dei fuochi che spesso utilizzo: insieme ricreano l’ambiente interstellare che si trova all’inizio della creazione (inizio perpetuo, bisogna precisare), il quale contiene dunque gli elementi fondamentali della vita e dell’esistenza (ed è questo che a noi interessa!).

Ad esempio, le scatole a orgoni di Wilheim Reich sono dei veri e propri athanor (forni alchemici).

Tutti questi fuochi servono a cuocere il nostro “uovo filosofico”.

La lisciviazione

Il fuoco purifica a suo modo, ed anche l’acqua e la lisciviazione delle ceneri in particolare permettono una purificazione importante. Acqua distillata soprattutto (e, perchè no, esposta alla luna piena). Questa operazione consiste nella dissoluzione delle ceneri nell’acqua, che poi si fa evaporare lentamente per ritrovare il nostro “Sale” sotto forma di cristalli. Allo stesso modo che per la distillazione, può essere interessante ripetere questa operazione più volte.

La filtrazione

Niente di particolare da dire su questa operazione accessoria. Io ho l’abitudine di effettuare la maggior parte delle mie filtrazioni attraverso degli imbuti tappati con del cotone.

La polverizzazione

Il mortaio ed il pestello sono degli strumenti indispensabili nel laboratorio. Mortaio e pestello in ceramica per delle piccole operazioni, in petra o in ghisa per le grandi se il contatto con il metallo non provoca dei problemi. Si polverizzano le ceneri per aiutare il lavoro di calcinazione.

La preparazione all’assunzione

L’assunzione dei rimedi alchimici è un’arte, è il momento della comunione tra il rimedio e l’alchimista… E’ il momento che consacra il cammino percorso insieme. Questo momento è indispensabile quanto il cammino e bisogna effettuare con molta cura una certa preparazione per poter assimilare alcuni  prodotti relativamente forti o eccessivamente caustici (Paracelso diceva che una medicina può essere un veleno e viceversa, non è che una questione di dosi).

La pietra, o elixir (impiego indifferentemente questi due termini per designare la preparazione alchimica finita, “pietra” è più appropriato quando la forma è piuttosto solida, “elixir” si impiega quando il rimedio si trova sotto forma liquida. In effetti, “elixir”, in arabo, significa “la pietra”) è un melange del carattere sublimato della pianta (o delle piante) di partenza animato da una forte concentrazione di vita universale, il tutto riposante su un supporto salino molto puro. È evidente che non siamo in grado di assimilare un simile rimedio tale e quale… L’uso consiste nel diluirlo e assimilarlo in più volte, soprattutto su un lungo periodo.

In generale, si diluisce questo elixir che spesso è sotto forma pastosa o liquida in un alcool o in un vino. Alcuni preferiscono diluirlo nel miele. Personalmente, ho l’abitudine di utilizzare la tecnica della diluizione omeopatica. Hahnemann, che è il creatore di questa tecnica, era un medico paracelsiano, e gli elementi fondamentali di questo metodo omeopatico sono tratti dall’opera di Paracelso. La dottrina ed i procedimenti pratici sono descritti in dettaglio in “Organon ou l’art de guérir” di Samuel Hahnemann. Questa tecnica ha più vantaggi: il primo è che permette di assorbire senza pericolo non importa quale preparazione, anche se tossica. Inoltre, questa tecnica è in perfetto accordo con i principi alchimici e conferma il motto che dice la pietra filosofale si moltiplica in qualità e quantità. Infine, il rimedio così moltiplicato può essere agevolmente testato, conservato e dato ai malati (se ci si trova in un paese che lo permette). Lo zucchero utilizzato per i granuli è una materia prima familiare all’alchimista: proviene dalla fotosintesi di cui i vegetali detengono il segreto, per cui possiamo affermare che esso è fatto di luce solare “congelata” (materializzata, solidificata), e rappresenta un supporto alchimico perfetto.

Che cosa ci si deve aspettare da una pietra, o elixir, alchimico?

L’arte di guarire

Abbiamo visto all’inizio che questo lavoro aveva uno scopo di scoperta, uno scopo pedagogico in qualche modo. Questo fa sì che aspettarsi un risultato preciso non può essere l’attitudine che bisogna avere. Pertanto, se non posso mai rispondere positivamente alla domanda “Tu fai una pietra di assenzio (o di lavanda, o un’altra…)? E cosa ne vuoi fare?” (io rispondo qualche cosa del tipo: “Non lo so, è l’assenzio che mi ha suggerito l’idea…si vedrà!”), resterò a volte perplesso sul senso del mio lavoro se non otterrò un risultato, qualunque esso sia. Avere un risultato è importante, permette di non passare degli anni a seguire una via che può sembrare soddisfarci senza che vi si tragga in effetti alcun beneficio, in altri termini: seguire una via che “non cammina”, un punto morto. Bisogna trovare un equilibrio tra l’apertura o la curiosità e l’esigenza, tra la scoperta passiva e l’atto di volontà.

Innanzi tutto, io faccio questo lavoro alchimico con dei vegetali poichè i vegetali della campagna circostante mi attirano a sé, e continuo su questa via perché ne traggo molto piacere.

Ma non è tutto.

Faccio questo lavoro alchimico perché ottengo dei risultati utili alla guarigione delle malattie dei miei cari. Metto l’accento su questo aspetto poiché l’arte di guarire è la cosa più preziosa che si conosca, e perché guarire un malato è una cosa molto concreta e precisa.

Questo campo è complesso e molto delicato, non bisogna cercare di fare dei miracoli, né aspettarsi di trovare la medicina universale in ogni elixir. Se siete dei professionisti della salute, naturopati o altro, saprete come è difficile trovare il senso della malattia, come la relazione terapeutica è fondamentale, e come l’effetto placebo è un fenomeno importante nell’arte di guarire (questo “effetto” è oggi trattato come se non fosse altro che un residuo accessorio e disprezzabile nel processo di guarigione mentre invece si tratta di un insieme di fenomeni della più grande importanza e mai studiati). Se siete degli amanti della ricerca di questa medicina alchimica, allora siate pazienti e prudenti. Provate sempre le vostre medicine su voi stessi sotto una forma omeopatica (piccole diluizioni, da 3 a 9 CH per restare vicini al rimedio di partenza: le diluizioni maggiori hanno la tendenza a dare ai rimedi alchimici un’azione più universale con la quale però perdono la loro specificità e spesso una certa utilità), ed imparate a notare le vostre sensazioni e le reazioni dopo aver effettuato queste prove, alla maniera degli omeopati.

Bibliografia

Ecco dei corsi e dei libri che corrispondono al tipo di lavoro e di filosofia presentato qui. Ovviamente vi sono altre scuole d’alchimia, altri modi di approcciarsi alla grande opera. Il mio scopo è quello di aiutare il principiante ad acquisire una certa autonomia, dopo di che egli saprà bene ciò che bisognerà fare…

Corsi e siti web:

Molte informazioni che ho dato qui provengono dall’insegnamento di Stéphane Barillet e non posso che consigliare lo studio del suo corso PDF “Le Grand Oeuvre Alchimique” (http://art-du-vivant.com/blogcfio/)

Denis Labouré è l’autore di un eccellente corso PDF sull’alchimia vegetale (http://www.devenir-astrologue.com/alchimie/mapage/index.html)

Le pagine dedicate all’alchimia sul mio mio sito (http://www.devenir-distillateur.com/pages/il-n-y-a-pas-que-l-alambic-dans-la-vie/alchimie-introduction/) vi forniranno delle ulteriori informazioni.

Libri

Vivianne Le Moullec ha scritto un ottimo libro sulla fabbricazione degli elixir spagirici: “Les elixirs floraux de Vivianne”, edizioni Dauhin.

Il grande classico della scuola alchimica tedesca del XVIII secolo: “La Nature devoilée”, edizioni Dervy

Infine, Patrick Burensteinas “De la matière à la lumière” , edizioni Mercure Dauphinois.

(Testo tradotto dal francese per gentile concessione di Matthieu Frécon. Titolo originale dello scritto: “Initiation à la Spagyrie et aux Médecines Alchimiques”)

Ringraziamo Viviana Donato e Luca Valentini per la gentile collaborazione.