Riflessioni di un’ermetista sulla figura di Giuliano Kremmerz di Stefano Mayorca

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Nell’articolato panorama esoterico, le cui diramazioni si suddividono in specie, sottospecie e microspecie, non è semplice riuscire a districarsi. Del resto, anche la proliferazione di elementi folcloristici e inquinanti che compongono questo mondo controverso, alimentano le tante contraddizioni e i luoghi comuni di matrice profana. Certo è che il sottobosco di pseudo-iniziati e presunti maestri da operetta si sta espandendo in maniera esponenziale, ingenerando ulteriore obnubilazione a chi tenta di fare chiarezza e comprendere il senso più autentico del percorso ermetico. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a ricordare in queste pagine la figura del grande ermetista Giuliano Kremmerz (Ciro Formisano 1861-1930), tentando di tratteggiare gli aspetti salienti della sua Opera. Niente accademismi esasperanti o, peggio ancora, moti di misticismo e fanatismo pedisséquo. Solo la personale testimonianza e la gratitudine nei riguardi di questo maestro, guideranno il mio sentire e le considerazioni che ne conseguono. Recentemente, una pubblicazione di alto spessore ha riportato alla luce vicende sepolte nei territori bui della memoria, frutto di omertà e di manovre tese a nascondere eventi non esemplari nella storia della Myriam. Si tratta dell’introvabile “Il Processo del mago”, da poco ristampato ad opera delle Edizioni Rebis, grazie alla coraggiosa iniziativa del carissimo amico Pier Luca Pierini R. Nonostante i fatti - per altro minuziosamente documentati - mostrino un capitolo non edificante nel contesto dell’ermetismo kremmerziano, l’immagine di Giuliano Kremmerz ne esce immacolata, vittima egli stesso di persone senza scrupoli a lui vicine. Ermetisti che per il grado di evoluzione raggiunto - almeno così si pensava - avrebbero dovuto essere al di sopra delle miserie e dei “crimini” di cui si sono resi responsabili. Ritenuti dei maestri, ancora oggi osannati nonostante il millantato credito (da chi vuole cancellare un passato scomodo), i soggetti in questione hanno mostrato il volto degradante e iniquo di Dorian Gray, le cui oscure passioni si palesavano poco a poco sulla tela che lo ritraeva, specchio fedele della sua corruzione. Come spesso accade, la creazione dei miti, dei santini sbiaditi e delle menzogne hanno prevalso sulla realtà. La Verità deve essere detta, non taciuta. Celare la verità vuol dire ingannare coloro che credono in un Ideale luminoso. Significa distruggere tutto ciò che di buono e onesto è contenuto nella missione del maestro di Portici.

Per meglio comprendere le dinamiche che sottendono alla triste e squallida truffa, lascio la parola alla sapiente introduzione di Pierini:

Come dalla trama di un avvincente romanzo, affiora dagli atti di un clamoroso processo svoltosi in pieno regime fascista, una incredibile e inquietante realtà “occulta” che scuote la Roma e l’Italia “imperiali” ed esoteriche dell’epoca. La sentenza è chiara e definitiva ma la pubblicazione integrale nel 1942 della requisitoria della pubblica accusa e delle arringhe dei notissimi avvocati di parte in un volume dal titolo singolare e fortemente evocativo, “Il Processo del Mago”, alza il velo su episodi sconosciuti e verità nascoste, gravide di oscuri risvolti e imprevedibili sviluppi. Molti interrogativi e segreti sollevati ed emersi dalla controversa inchiesta non sono stati ancora risolti né divulgati, ma un dato di fatto di valore oggettivo aggiunge una nota ulteriormente enigmatica al mistero che permea l’intero scenario: appena stampato, il libro scompare “inspiegabilmente” dalla circolazione, fino a divenire letteralmente introvabile, persino nei circuiti antiquari. Alcuni ipotizzano sia stato fatto sparire per evitare che una serie di sconcertanti rivelazioni e imbarazzanti confessioni divenissero di pubblico dominio. Da chi? Evidentemente da qualcuno che intendeva impedire la diffusione di notizie e informazioni incandescenti che avrebbero gettato un’ombra pesante sui personaggi impietosamente coinvolti in questo scandalo grandguignolesco imperniato su una colossale quanto squallida truffa, consumata in un clima di torbidi inganni, tra miserie morali, grottesche menzogne e fatali illusioni. Intorno alla tragica vicenda ruotano nella veste di protagonisti R. Ricciardelli, un noto e facoltoso barone appassionato di esoterismo da una parte, e P. Pugliese, il nipote della maggiore figura rappresentativa dell’ermetismo magico italiano (G. Kremmerz, peraltro assolutamente estraneo ai fatti), dall’altra, mentre, nel ruolo di attive “comparse”, animano il palcoscenico alcuni tra i più alti esponenti degli stessi vertici della “Fratellanza di Miriam” (l’organismo iniziatico fondato dal Kremmerz medesimo), presidi di Accademie e, stando a quanto il pubblico ministero Polito de Rosa denuncia nel suo rovente J’accuse, avidi sciacalli di infima specie il cui operato sarà stigmatizzato in un monito lapidario che suona come un inappellabile verdetto: “Nessuno osi parlare di probità, rettitudine e dignità di vita, a proposito di costoro”.

Passiamo oltre. La dottrina del Kremmerz, nella sua veste più immediata, veicolata da una divulgazione che non risente di pose intellettuali e pompose, penetra nei cuori di chi è pronto a seguire quella tenue fiammella capace di indicare il cammino. Attraverso uno stile conviviale e accattivante, prende per mano il lettore e lo guida verso le ascose verità ermetiche, con una semplicità disarmante. Dietro quella apparente familiarità si cela in realtà una profonda conoscenza delle materie trattate, una grande competenza unita ad una esposizione chiara, che non lascia spazio a fraintendimenti. Questi gli ingredienti principali che compongono la sua opera. Nel momento in cui la trattazione si fa più insidiosa, l’autore del “Mondo Secreto” avverte gli “Aspiranti alla luce” che dovrà servirsi di un linguaggio meno accessibile, per dare modo a chi è maggiormente progredito di  poter accedere ad un corpus, per così dire, più “riservato”. La capacità di comunicativa del Kremmerz è intessuta di un’umanità straripante e un incontenibile ottimismo che traspare da ogni sua parola, tipici dello spirito partenopeo. Il suo insegnamento, pervaso da un amore sincero, ma in nessun caso melenso o di impronta mistica, traghetta nei territori altri e fa approdare verso i templi delle antiche iniziazioni sacerdotali. La rivendicazione di un percorso e di un sapere eminentemente italico, distante  da contaminazioni provenienti dal lontano Oriente, riafferma la volontà di riappropriarsi delle radici pagane che racchiudono il patrimonio delle nostre origini primigenie. Con uno sguardo attento alle dottrine greco-egizie, il Formisano introduce nel mondo dei Misteri (da misterico). Scrive nel suo splendido “Dialoghi sull’Ermetismo” (Edizioni Rebis, 2010):

L’Ermetismo magico, secondo il mio modo di vedere, non deve sostenersi su di un piedistallo di fede e di ascetismo. La nostra filosofia dei valori della mente umana, se è scienza sperimentale, non può invadere il campo mistico della fede e se, per mancanza di vocaboli adatti, spesso qualche parola di pertinenza religiosa è adoperata in senso non chiesastico, la nostra non è un invasione nel campo dei credenti. La mia propaganda è fatta con uno scopo determinato, ben preciso: richiamare alla  pura e semplice e ragione critica italiana i dispensatori di apologie, di simbolismi, di vanterie di sacerdozii di popoli lontani da noi o per fioritura psichica o per situazione geografica; far comprendere che noi non  abbiamo finora né sorgenti di petrolio, né miniere di carbone, ma possediamo una storia mentale e un’attitudine a sorridere delle autorevoli scoperte di tanti scrittori non italiani che proprio in Italia vengono a cercare proseliti. Ecco perché, gloriandomi di poter dire la mia idea nella sua semplicità di concezione, vedo con gioia, sentendoci la schiena meno pieghevole alle panzane pseudo filosofiche importate in Italia, di potere un tempo pregare gli altri che parlano e scrivono la nostra lingua a mantenersi bene ritti nella posizione verticale e presentare lo studio di questi tanto difficili problemi dello spirito dell’uomo vivente, con carattere nazionale, cioè omogeneo alla nostra mentalità italica. Se l’Urbe occulta conobbe in eredità, etrusca e greco-egiziana, gli arcani della scienza della psiche umana, la mitologia poetica dei nostri progenitori non può aver celato la verità di una scienza concreta dello spirito dell’uomo? Perché è preferibile far l’indiano coi simboli di Budda, di Brama, o dei Parsi, quando Giove o le deità maggiori dell’Olimpo Latino possono tenere onorevolmente il paragone?”.

A ben guardare, le cose, allora, non erano poi tanto diverse da quelle attuali. Il proliferare di testi inutili e di infimo livello, di astruse dottrine orientali intrise di misticismo stantio, dei seminari tenuti dal saccente di turno, volti a carpire denaro e buona fede con la promessa di elargire super poteri e super conoscenze, imperversano sinistramente conferendo una atmosfera mefitica ad un ambiente già in agonia. Con l’avvento della famigerata corrente New Age, poi, si assiste a quella grossolana rimestatura di argomenti, temi, simboli e antiche scienze esoteriche, che conferisce all’insieme una impronta ibrida e contorta. Una sorta di minestrone in cui magia, alchimia, misticismo, stregoneria, cristianesimo, buddismo, sciamanesimo, ufologia, spagiria, olistica, omeopatia, filosofie orientali, meditazione e quant’altro vengono assemblati in maniera del tutto fortuita, sostanziando un miscuglio mal riuscito e indigeribile. Kremmerz, al contrario, addita la meta senza promesse vane o illusioni a buon mercato. Spiega in

“La Porta Ermetica”: ”La scuola che qui, in Italia, fondiamo come essenzialmente latina, deve avere per minima misura il massimo buon senso. Gli altri non vi hanno dato niente, io vi darò una virtù grandissima come guida, cioè di ridurre le cose alle dimensioni normali e non desiderare l’impossibile, e non pretendere di diventare da sera a mattina un fenomeno da baraccone. La giusta padronanza di sé, l’equilibrio, il disinteresse, l’elevatezza dei sentimenti, il tacere, non vi fanno mutare da scimmie in dèi dell’Olimpo cui tutto sia lecito, senza sapere che anche gli dèi non possono far tutto”.

Parole eloquenti, che fanno comprendere, se ce ne fosse bisogno, che il cammino ermetico si regge su una razionalità e un equilibrio fuori dalla norma, non su traballanti teorie o pratiche assurde. 

La Via dell’ascenso
La conquista interiore

Come ho già avuto modo di scrivere in un precedente articolo, nella intricata giungla dell’Ermetismo operativo, nulla viene concesso senza impegno e costanza, ogni cosa è frutto di una personale conquista. Quando questa appare vicina, la meta si allontana maggiormente. Ciò si verifica perché l’iniziato entra in un ordine di idee che a prima vista appaiono astratte, prive di quel senso compiuto che normalmente regola il sapere profano. Nel simbolismo l’ermetista intuisce una forma espressiva ermeticamente concepita. Una volta ricevuti gli elementi basilari, egli deve rinvenire il resto dell’Arcano per conto proprio, visto che il progresso, il sapere, nell’ambito dell’Arte Hermetica corrisponde al fare. L’ascesa, per così dire, è equivalente ai meriti intimi dell’iniziato, ossia del suo grado di avanzamento. In quel momento, le ascose verità simboliche negate al profano assumono un contorno ben definito e l’astrazione si muta in comprensione mediante l’ausilio della mente, illuminata da uno sprazzo di intelligenza pura. Si tratta di una conquista complessa, che i tanti ciarlatani del verbo non hanno mai tentata e senza avere mai praticato pretendono di insegnare ciò che non conoscono.  L’amore che trasuda dalle perle ermetiche che egli ci ha donato disinteressatamente è materia intessuta di luce e di sostanza trasmutatrice, che disperde il buio interiore, le tenebre dell’ignoranza che sommergono le coscienze e annientano la volontà ancora non fortificata.  Fiaccola ardente e rifulgente, fuoco generatore e rigeneratore, l’insegnamento kremmerziano brilla imperituro sulla lunga notte dell’anima. L’impegno trasfuso nella sua missione, le difficoltà, gli inevitabili ostacoli posti sul suo cammino testimoniano la generosità che ne contraddistingueva l’operato. La Luce, fonte inesauribile di potere e di spiritualità attiva, attira a sé le menti inclini a ricevere la forza e a ritenere l’energia primigenia. Energia che si manifesta sottoforma di intuizione, di folgorazione e dipana lo scibile ermetico che apporterà le dovute modifiche dapprima nell’organismo fisico, e in un secondo tempo in quello occulto. La soglia si schiude e il viaggio ha inizio. Un viaggio che non ha mai fine, ma prelude a un nuovo principio e ancora ad un altro viaggio apportatore di nozioni, culminanti in una costante espansione della coscienza. La dilatazione delle zone subconscie determina una crescita, una moltiplicazione dei meccanismi interni che presiedono alla mutazione completa. Nel Kybalion, opera ermetica attribuita al Tre volte Grande Ermete Trismegisto, possiamo leggere: “Tutto è mente. L’Universo è mentale”. L’assioma appena menzionato allude al fatto che ogni cosa si diparte e nasce dalla Mente Infinita e che la realtà sostanziale  sottostà a tutte le manifestazioni esterne e alle apparenze a noi note con nomi diversi: fenomeni della vita, “materia”, energia. Tutto ciò che appare ai nostri sensi materiali in poche parole procede dal comparto mentale. Il Tutto è Spirito, è inconoscibile e indefinibile, ma può essere considerato e pensato come mente universale, infinita e vivente. La Conoscenza assoluta è parte della mente universale. L’atto creativo che scaturisce dall’immaginazione attiva è un parto della mente che mette in moto i meccanismi di assemblaggio delle idee ermetiche, e consente di operare dei cambiamenti tangibili sulla realtà circostante. L’energia e la luce sono gli elementi primari posti alla base della genesi occulta. Quando la mente dell’uomo vibra all’unisono con la mente universale e con il Principio Creatore si crea l’atto magico che permette di dare vita alla creazione ermetica. Quasi nascosta, occultata tra cose e luoghi apparentemente privi di significato, la Conoscenza sembra sfuggire alle gelide logiche razionali e si mostra solo a colui che ha affinato le sue doti di cercatore sottile, capace cioè, di penetrare il senso riposto di simboli ed emblemi che custodiscono il Sacro Sapere. Un Sapere che giunge da epoche remote, sepolte tra la polvere di un tempo lontano, scandito da miti, leggende, testi arcani e racconti che ne segnano l’intimo segreto, il mistero che presiede alla sua genesi più nascosta. L’alito fatato del DragoArturiano tenta di avvolgere il Magus, l’autentico iniziato, o meglio ancora il sommo Adepto, il Signore dell’Incanto, l’immortale Merlino. La formula del dragone pare sostanziarsi dal nulla, sibilare nell’atmosfera sospesa tra Cielo e Terra. Nell’ermetismo operativo è contemplata l’esistenza di due Soli: il chiaro Sole spirituale (Oro filosofico) e l’oscuro Sole naturale che incarna l’oro di ordine materiale. L’astro diurno corrispondente all’Oro dei filosofi è costituito dal fuoco essenziale associato all’etere o aria ardente. Il secondo Sole, invece, è composto dal fuoco distruttore che dosato può fare pervenire al successo operativo. A tale immagine corrisponde il Sole nero. Questo concetto è stato espresso anche dal filosofo Empedocle, il quale insegnava che l’intera vita del cosmo è basata sul movimento risultante dalle due forze antagoniste corrispondenti all’amore e all’odio. Nell’Opus Magnum vengono associati a queste forze in antitesi i processi alternati connessi con le fasi di soluzione e coagulazione, decomposizione e formazione, distillazione e condensazione, sistole e diasistole. Nell’alchimia araba il processo in questione era individuabile in due agenti opposti, mercurius e solphur, il Mercurio filosofico e lo Zolfo. Tali agenti sono riconducibili al Sole e alla Luna, alla donna bianca e all’uomo rosso. Il momento culminante dell’Opera è la conjunctio, cioè l’unione tra il principio femmineo e mascolino, il matrimonio tra Cielo e Terra, tra spirito del fuoco e materia acquosa. Il prodotto indissolubile derivante da questa unione sessuale cosmica è il Lapis (il rosso figlio del Sole). La fase suddetta da’ vita a una serie di processi connessi con l’immaginazione umano-divina. Il principio femminile mercuriale che alchimicamente incarna il proteomorfismo dei fenomeni naturali è collegato, tra le altre cose, alla meccanica quantistica. Il lavoro di costruzione delle forme scaturenti dalle immagini alchimiche è detto di proiezione e allude alla comunicazione di concetti e simboli per mezzo dell’immaginazione. La natura quindi è costruita in base a un progetto unitario espresso dalla legge unica, al di fuori della quale nulla può considerarsi attivo e intergente con il resto dell’universo. Ogni cosa è l’espressione del Tutto, il vero volto dell’Assoluto. Il Tutto è immanente, si trova tanto all’interno quanto all’esterno dell’involucro psichico, permea qualunque manifestazione di vita e si espande oltre i confini del conosciuto. Oltre la soglia dell’infinito, regione dell’Assoluto, al di là delle porte del visibile, spingendosi nell’invisibile, si sostanzia la regione segreta e infera in cui si opera il passaggio, la liberazione, la morte rigenerante della matrice primigenia. Qui spazio e tempo cessano di esistere e la Luceè ancora lontana, mentre il buio impera sovrano e occlude lo sguardo alle oasi del fuoco cosmico nelle quali il Sole occulto-spirituale promana la sua energia radiante. Euridice, amata immortale di Orfeo, viene morsa da un serpente - materia vitale-sessuale - e muore. Proiettata nel limbo oscuro, giace sospesa tra corporeità e incorporeità. Orfeo scende negli inferi con lo scopo di sottrarla alla morte eterna, ma non riesce nel suo intento. Euridice rimane fuori dal tempo in un non tempo limbico. Ecco il simbolo della morte celato nel racconto mitico, ecco il serpente che incarna le energie sessuali terrigene o telluriche nascoste nel sottosuolo, allusione al dominio di queste da parte dell’iniziato. Chi non le controlla, infatti, soccombe e ne viene annichilito. Dobbiamo essere grati a Giuliano Kremmerz, per averci tratto dalle spire del serpente, riportati in vita dopo la morte iniziatica restituendoci  l’intelletto perduto nei meandri dell’abisso, del caos profano. Dobbiamo essergli grati per l’eredità che ci ha lasciata, patrimonio inestimabile il cui valore è impossibile valutare. Grati per averci fatto capire che è possibile ergersi al di sopra delle miserie umane, e con lena e umiltà elevarci e spiccare il volo. Dobbiamo ringraziarlo per il suo Amore e il suo sacrificio, attraverso il quale ci siamo affrancati da un dio ingannatore e sanguinario riuscendo a conquistare il Cielo, che non è lassù, ma qui, tra la materia e le terrigene essenze.

Grazie Giuliano.

Stefano Mayorca è il Preside dell’Accademia Hermetica Kremmerziana di Roma “La Porta Ermetica”, afferente l’AHKU (Accademie ermetiche kremmerziane unite – www.accademiehermetichekremmerzianeunite.org).


Per contatti: www.arkpe.it