Non devi temere la morte.
Devi temere la vita non vissuta.

Capita sovente a ogni serio aspirante ermetista che intenda addentrarsi negli oscuri e ancora in gran parte inesplorati meandri della pratica esoterica, di imbattersi in uno scoglio imprevedibile e multiforme, difficilmente traducibile in termini esattamente comprensibili, forse inquietante e beffardo come i gargoiles delle cattedrali gotiche, forse luminoso e austero come il Michael che ricaccia negli abissi il demone dell’orgoglio; sicuramente implacabile e giusto, eterno custode del Sacro: il Guardiano della Soglia.
E’ passato oltre un secolo da quando nel lontano 1897, sulla rivista “Il Mondo Secreto” di G.Kremmerz fu pubblicato un lungo articolo di Pietro Bornia, destinato di lì a breve a divenire celebre in un volumetto a sé dal titolo “Il Guardiano della Soglia”1. Questo sagace occultista forse non immaginava in quell’ultimo scorcio di Ottocento che la sua opera avrebbe contribuito notevolmente a rendere popolare e famoso un altro importante testo esoterico, ormai considerato un classico: il noto romanzo “Zanoni” di E.B.Lytton, autentico protagonista al centro delle complesse vicende che hanno caratterizzato il mondo ermetico del secolo XIX, dalla Gran Bretagna alla Francia, alla Germania, all’Italia. In questo “romanzo che non è romanzo” viene descritta una sorta di prova iniziatica, con la quale il maestro sottopone il discepolo a una fatale verifica che significherà per quest’ultimo l’incontro diretto con il terribile custode dell’Invisibile.

Dopo un iniziale quanto proficuo periodo di apprendistato svoltosi regolarmente, l’aspirante mago viene lasciato solo dal maestro, con la chiave del “laboratorio” riservato e la raccomandazione di non farne uso. Ma il neofita, rivelando la propria natura di immaturo “apprendista stregone” non resiste alla tentazione di anticipare la conquista del “potere” e penetra il sacrario per violare i libri segreti dell’iniziatore e affrontare, privo di guida, la Grande Operazione. Gli occhi gli cadono su un volume lasciato aperto, non casualmente, in un punto preciso:
Bere a lunghi sorsi la vita interna è vedere la vita superiore: vivere a dispetto del Tempo è vivere la vita universale. Colui il quale scopre l’elixir, scopre ciò che è nello spazio, poiché lo spirito che vivifica il corpo fortifica i sensi. Nel principio elementare della luce v’è attrazione. Nella lampada del Rosa+Croce il fuoco è il principio puro ed elementare. Accendi le nove lampade mentre apri il vaso che contiene l’elixir e la luce attirerà verso di te quegli esseri per i quali essa è vita. Diffida della paura. La paura è nemica della Scienza.
Pagina dopo pagina, il discepolo scorre avidamente il libro proibito, finché decide di compiere il grande passo ed eseguire le istruzioni cerimoniali. Ma dopo poco iniziano a verificarsi vari fenomeni impressionanti: strani vapori irrompono nell’ambiente, assumendo la densità di forme vaganti nella stanza. “Esse sembravano esangui, i loro corpi erano trasparenti e s’allungavano o si ripiegavano come gli anelli di un serpente”. E si materializza infine alla sua vista un’ombra cupa e minacciosa, un fantasma tenebroso che lentamente si trasforma in un essere mostruoso, un demone dallo sguardo “carico d’odio e d’ironia” che lo affronta con parole glaciali: ‘Tu sei entrato nella regione illimitata. Io sono il guardiano della soglia. Che vuoi da me? Non rispondi? Hai forse paura di me? Non sono io l’amor tuo? Non è per me che hai rinunciato ai piacere della tua specie? Vorresti forse la sapienza? Io possiedo la sapienza di innumerevoli secoli! Baciami, mio mortale amante!...’. E dicendo questo l’orribile spettro si trascinò fin presso di lui, strisciò al suo fianco e col proprio alito gli sfiorò la guancia! Il discepolo lanciò un grido acuto, cadde a terra stordito e perse conoscenza. L’indomani a giorno inoltrato aprì gli occhi e si trovò nel proprio letto. Fallita la prova alla quale l’aveva sottoposto, il maestro non credette prudente condurlo oltre e senza farsi rivedere gli scrisse una lettera di rimprovero e l’abbandonò a se stesso”.
Degno di attenzione è il commento al testo di Stanislao de Guaita: “Zanoni è un libro gravido di rivelazioni e di arcani. Sotto il velo d’abbaglianti fantasie, l’autore ha mascherato le tradizioni della Rosa+Croce…Il discepolo è l’aspirante escluso dalla via spirituale, non per vizio d’incapacità mentale o per debolezza d’animo; ma al contrario, l’orgoglio e la temerità l’hanno perduto, spingendolo a infrangere gli ordini perentori del maestro. Il neofita dei misteri ha preteso la corona di elezione come frutto della propria audacia. Nell’assenza del gerofante ha tentato di conquistare d’assalto le prerogative del “Sanctum Regnum” ed ha dovuto affrontare il Guardiano della Soglia. Il maestro lo punisce chiudendogli per sempre la porta del santuario, poiché la sconfitta è decisiva e la prova suprema non si può tentare due volte. Ma non è men certo che una comunicazione si sia stabilita tra il visibile e l’invisibile, poiché il velo che lo separava dal mondo astrale è ormai squarciato. Rientrato nella vita comune, il discepolo sconfitto si dibatte tra le due influenze avverse, fauste e nefaste, che si disputano la sua esistenza, cioè la virtù vivificante dell’elisir e l’ossessione del fantasma. Liberato infine da Zanoni che lo restituisce alla vita attiva e serena precedente la prova, il suo lungo martirio non gli apparirà che come reminiscenza d’un cattivo sogno e l’insegnamento ricevuto, unico tesoro salvato dal naufragio di tutte le illusioni, lo renderà invecchiando un iniziato speculativo, un amatore appassionato delle scienze occulte…”.
Da quanto necessariamente sintetizzato crediamo risulti chiaramente che Bulwer Lytton nel suo libro intendesse descrivere in forma romanzata l’esperienza negativa del discepolo che non riesce a vincere la tentazione di anticipare il proprio ascenso ricorrendo all’inganno, senza rendersi conto di essere stato sottoposto a una prova decisiva. L’oggettivazione degli aspetti più cupi della sua psiche e della sua reale natura, e la volontà solare del maestro, al di là delle apparenze, assumono la forma di un mostro minaccioso e si rivelano nel ruolo di “guardiano del Sacro”, il cui intervento è teso a impedire l’accesso al discepolo indegno e ad allontanarlo più o meno definitivamente dalla via maestra. Senza sottovalutare, naturalmente, il contributo non trascurabile di quel gorgo di energie oscure tradizionalmente riconducibile alle cosiddette “forze contrarie”, o “forze del male”, altrimenti conosciute - senza scomodare improbabili satanassi o belzebù di maniera - come “energie involutive” dell’”anima della terra” o dell’”astrale”, tanto individuali che collettive, che irrompono nel momento più critico del percorso dell’iniziando sfruttandone le debolezze e le componenti irrisolte, allo scopo di deviarne la “vocazione” o i semplici intenti.
Nei vari “bestiari” mitologici e religiosi, il guardiano della soglia è spesso associato, non sempre a proposito, all’immagine del dragone: animale sacro, sintesi dei quattro elementi, corrispondente all’energia cosmica universale. Creatura dai destini controversi, venerato in Oriente quale essere apportatore di fortuna, prosperità e potenza, e condannato nell’Occidente cristiano quale simbolo del male e del demonio, lo troviamo a sorvegliare i pomi aurei del Giardino delle Esperidi con il nome di Ladone e a custodia del Vello d’Oro. Non a caso proprio ad esso si ispira una delle scritte più significative incise sulla misteriosa “Porta Magica” di Roma: “Il drago custodisce l’ingresso del magico Giardino delle Esperidi e senza Alcide Giasone non avrebbe gustato le delizie della Colchide”. Nelle vicende di Cadmo è posto a guardia di una fonte, mentre con Ercole assume l’aspetto di un gigante, o di un minotauro per Teseo, unito al labirinto. Come ricorda Gustav Meyrink, appare ancora nelle sembianze di Medusa con Perseo e della Chimera con Bellerofonte.
Al cane a tre teste Cerbero, ricoperto di serpenti, è affidata la protezione degli inferi e a questo ruolo di fondamentale importanza si riferiscono le drammatiche prove iniziatiche alle quali sono necessariamente sottoposti Enea, Ercole e Osiride. Nella tradizione magica è rappresentato, oltre che dal drago, da altri animali come il serpente o il lupo, come pure da ostacoli naturali e impedimenti simbolici, che si materializzano nell’immagine della foresta, del bosco, della montagna, del deserto, del già citato labirinto, della fortezza, della caverna ecc., o in esseri mostruosi immaginari come il vampiro, lo spettro o il licantropo, che l’iniziato deve inevitabilmente riconoscere nel pantheon dei propri fantasmi, affrontare e vincere. Come sottolineato anche dal Guenon in “Simboli della scienza sacra”, ritroviamo nelle prove degli “eroi” e nei miti cavallereschi il drago da sconfiggere per raggiungere l’immortalità (e la comprensione del “linguaggio degli uccelli”), come nella leggenda di Sigfrido. E’ inoltre per antonomasia il leggendario guardiano dei tesori nascosti e della perla in Cina, o di altre realtà simboliche preziose e segrete, mentre i racconti medievali pullulano di dragoni e serpenti posti a sorvegliare la “Dama”, che deve essere liberata dal Cavaliere.
Nei dizionari ermetici troviamo sotto questa voce una serie di definizioni più o meno riduttive rispetto alla reale identità di un “essere”, o di una condizione, dai contorni talmente sfumati e sfuggenti da apparire talvolta di natura archetipica, collettiva e superindividuale – sostanzialmente comune ad ogni uomo – e al tempo stesso dotato di tratti e caratteristiche estremamente soggettivi, particolari e specifici, radicati nell’essenza più intima e nascosta della psiche di ognuno. Soltanto una conoscenza diretta, in un terreno che non consenta fughe di comodo o “uscite di emergenza”, di questa imprevedibile “realtà” estremamente insidiosa, presente e latente contemporaneamente dentro e fuori di noi, può consentirne, almeno in parte, la comprensione e la percezione tangibili e – anche se il postulato può apparire sconcertante – oggettive. I metodi, se la volontà è solida e l’obiettivo determinato, non mancano.
Il Kremmerz è riuscito ad affrontare in modo esteso e dettagliato il tema del “Guardiano della Soglia” in vari capitoli della sua immensa opera, tracciandone un ritratto essenziale e incisivo. In proposito scrive: “E’ quell’orribile e tempestoso e ubriacante fantasma che prende il novizio al momento della sua iniziazione e lo devia, ponendolo in contraddizione con se stesso e la cosa, e ne determina una caduta fatale…Al discepolo intelligente, neofito in Magia, lo spirito del secolo non tolga la vista acuta; il guardiano della soglia ruota la durlindana fatata, digrigna i denti, scoppietta la lingua, fulmina con gli occhi potenti: ma il discepolo passerà se saprà tacere, volere, amare”. E’ interessante notare la più che significativa variante apportata in questo caso dall’ermetista di Portici al fondamentale precetto tradizionale “Sapere – tacere – volere – osare”, la cui ultima componente assiomatica, “osare”, è sostituita dal verbo “amare”, come a voler indicare, forse, una “chiave” interpretativa e risolutiva dell’enigma. E al di là di ogni possibile congettura, affiora spontaneo il richiamo all’ “Omnia Vincit Amor” di Virgilio. A quell’Amore luminoso (e numinoso) e arcano, naturale e divino, che in una sintesi unica abbatte ogni ombra.
Anche sul tema delle “prove”, il Kremmerz si esprime ampiamente e in termini magistrali, lasciandoci ritratti assai efficaci e attuali di una realtà ancora oggi diffusa e confermata, come traspare dal seguente brano, particolarmente istruttivo, tratto dal suo “Mondo Secreto”:
“Un maestro di mia conoscenza esaminava così gli aspiranti: li tentava col vino, con la donna e con l’oro, e soleva dirmi che chi non si manifestava coi due primi, col terzo era un uomo morto. Questo maestro non ha trovato finora nessun discepolo e continuerà a non trovarne, perché chi arriva a dominare questi tre capisaldi della prova moderna dimostra di avere indifferenza per ogni seduzione e non può avere desideri”. Per completare il fatale poker di tentazioni, bisognerebbe aggiungere una quarta preponderante e ancora più attuale materia d’esame, che forse ai tempi del Kremmerz poteva sembrare meno pericolosa: il potere, vale a dire il “trono”, sinonimo dello scettro, della corona o della tiara, che ancora più forte di qualunque altra forma di seduzione, riesce a penetrare e lusingare la mente e avviluppare l’anima e l’ego dei tanti, troppi, più sensibili all’inchino, alla deferenza, alla prostrazione e all’adulazione (degli altri), a qualunque costo, come l’antica saggezza partenopea dimostra, suggella e garantisce col sacro detto popolare: “comandare è meglio che...fare l’amore”, anche se nell’originale la parte finale risulta decisamente più prosaica e convincente.
Ma ritorniamo al Guardiano. Franz Hartmann ci offre un’ulteriore descrizione esplicita e articolata, in parte condivisibile, che pur se improntata a una mentalità mistico-occultista tipica del periodo in cui l’Autore scriveva, merita di essere analizzata: “Il Guardiano della Soglia custodisce la porta del tempio della verità e deve essere dominato prima che si possa entrare. Questo spettro ce lo troviamo dinanzi in molte forme: egli è il re del male, il quale non permette che dentro il suo regno cresca un fanciullo che potrebbe superarlo in potere, l’Erode innanzi alla cui ira il divino fanciullo, deve fuggire. Tutti i racconti e le allegorie rappresentano una verità reale, la cui conoscenza è della massima importanza, poiché essa è il principio della Grande Opera. Il Guardiano della Soglia, il Drago del simbolismo medievale, non è altro che il nostro sé inferiore, semi-animale, animale o forse bruto; quella combinazione di principi materiali e semi-materiali costituenti l’ego inferiore, che la grande maggioranza degli uomini amorosamente e ciecamente blandisce ed accarezza, a causa dell’amore di sé. L’uomo non vede le sue vere qualità finché è attaccato alla sua natura inferiore, se fosse altrimenti egli ne sarebbe disgustato; ma quando tenta di penetrare dentro il recinto del paradiso dell’animo, quando la sua autocoscienza incomincia ad accentrarsi nel suo sé superiore, allora il guardiano della soglia diviene oggettivo per lui, ed egli può esserne terrorizzato dalla sua (in verità la propria) bruttezza e deformità. Esaminiamo gli attributi di questo sé semi-animale: prima di tutto vediamo che è la sede degli istinti e delle passioni animali, le quali all’occhio interiore si presentano in forme animali e semi-animali, poiché le forme nel piano astrale sono l’espressione esterna di principi interni, per modo che un’attività psichica vi produce una forma corrispondente. Il sé inferiore, oltre che delle sensazioni animali, è la sede altresì dell’intelletto calcolatore con tutte le sue astuzie, coi suoi cavilli, colle sue sottigliezze, con la sua volontà personale e con l’amore per le illusioni. Secondo le dottrine dei Rosacroce, l’intelletto e la volontà personali dell’uomo sono semplicemente un riflesso dell’eterno, universale Sole spirituale. Come la luce del sole nel colpire la luna viene da questa riflessa e modificata in modo tale che la terra, durante la notte, invece della calda e vitale luce del sole riceve soltanto quella fredda e illusoria della luna, così il ragionatore materiale e superficiale, nella notte della sua ignoranza vede unicamente il freddo raggio lunare del suo intelletto limitato e lo scambia per il sole dell’eterna verità: orgoglioso del suo preteso possesso della vera luce, egli si rifiuta di cercare più addentro e, soddisfatto della falsa conoscenza acquistata, inevitabilmente cade preda del drago. Egli non può vincere il guardiano della soglia, né d’altra parte desidera farlo perché quel guardiano è lui stesso ed egli ama se stesso. E nessun desiderio ha neppure di penetrare nel tempio, né forse di questo conosce ancora l’esistenza”.
Verrebbe da chiedere all’Hartmann, con tutto il rispetto ovviamente, come mai i nostri amici Egizi, che in materia di conoscenze misteriche la sapevano lunga, si siano presi la briga di divinizzare, portandoli ai più alti livelli del podio sacrale, tutti quegli stessi animali e semi-animali che in altre culture, civiltà e religioni sono stati purtroppo ridotti a ruoli assolutamente degradati, se non demonizzati o asserviti alle logiche di un’etica contingente dominata dalla violenza “umana”. L’”ego inferiore” e “l’amore del sé” hanno ben poco da spartire con la “natura animale”, se non, e con molte riserve e distinguo, nella parte istintuale, che comunque non è subordinata a una scelta, come per l’uomo. In realtà, come suggerisce la sapienza egizia (e confermano altre religioni, oltre le varie culture e tradizioni sciamaniche), riteniamo che le preziosissime componenti “animali” e “semi-animali” presenti nell’uomo, possano e debbano essere, più che affrontate secondo pregiudiziali protocolli negativi – rischiando dicotomie manichee che contrappongono l’uomo tutto luce all’uomo tutto ombra – e “sradicate” o “sconfitte” in un confronto inesauribile sul piano conflittuale, semplicemente integrate e sublimate (“divinizzate”, appunto), per essere trasmutate e assimilate dal e nel Tutto dell’Essere Unico, “naturalmente divino e divinamente naturale”.
Altrettanto eloquente e interessante, ancorché espressione di un particolare vissuto personale, risulta un’approfondita riflessione dell’ermetista Ricciardo Ricciardelli, noto sotto lo pseudonimo di Marco Daffi, il quale in una lettera del suo “Epistolario filosofico”, riguardante un particolare stato di essere, proprio a suo dire del processo alchimico interno, afferma: “Avvi una certa corrispondenza fra ciò che dagli alchimisti è detto “nero alchimico” e quelle reazioni psicologiche – cui fanno riscontro quelle del mondo esterno di relazione – che terrorizzano l’incauto e/o sprovveduto mista. Il concetto, così come espresso dagli alchimisti, dà l’impressione che la revulsione-evocazione poggi sull’irreale, cioè sui fantasmi, su paure se non immaginarie almeno del tutto sproporzionate al loro reale peso e minaccia. Ma non è tutto irreale e sproporzionato e, se così si esprimono gli alchimisti, si è perché la prevalenza dell’irreale sul reale deve condizionare quest’ultimo e permettere al mista di affrontarlo e dissolverlo. La revulsione-evocazione ha due aspetti. Il primo è la reazione della matrice, assunta come madre; ed essa ha il suo fondamento nell’attaccamento alla vita umanimale, che deve inesorabilmente essere magicamente uccisa, per far luogo alla vita magica del celeste Adamo Cabalistico. Ne sono riscontro il temporaneo indebolimento del Caprio umanimale, le repulsioni, il terrore della morte, il senso dell’impossibilità di proseguire sulla via intrapresa. Donde molti, ciechi alla corsa del treno, si buttano fuori senza rendersi conto che ciò può comportare essere travolti. Il secondo è il vero e proprio affiorare dell’occulto tenebroso di tutte le immagini, di tutte le stratificazioni negative, convenzionalmente dette malefiche e delle entità ad esse legate. E’ questo l’aspetto reale, in cui la madre si propone come “diavolo” – o demonio – negativo, perché si assomma al potenziale vischioso e rattenente della Matrice come Madre e assale realmente il mista. Basti pensare che l’uomo, in quanto umanimale, uccide e divora altri esseri e nella lotta, naturale, per l’alimentazione e la sopravvivenza, inevitabilmente evoca larve elementari sub signo matris e del sangue, demoni della lussuria, del succhiamento vampirico praticato nell’empito di assorbire dalla natura – e nel di lei circuito – energia, in fagocitamento monadico. Questi demoni possono essere genesici, come quelli additati dal Kremmerz ai suoi discepoli, o possono essere specificati in sede di anteatte esistenze. Direi che maggiore è l’evoluzione dell’essere, più specificate sono le entità. Da qui la pratica dei maestri o adepti, in sede di magisterio, di fornire i discepoli di amuleti difensivi contro queste evocazioni demoniache, e di talismani atti a dissolvere le creature e le creazioni infere, man mano che esse si (ri)presentano alla coscienza del mista”.
A questo punto crediamo di aver reso quantomeno più nitidi i contorni periferici di un concetto peraltro sfuggente e indeterminabile per definizione. Dietro le camaleontiche, proteiformi maschere dell’invisibile guardiano si cela in effetti un intricato labirinto la cui insidia maggiore consiste nella capacità mimetica, impercettibile quanto ingannevole, di rendere drammaticamente reale e preponderante l’illusione: il canto delle sirene, la pubblica opinione, la corrente del pensiero comune, i timori indotti, le contingenze, i complessi, le cristallizzazioni, i ruoli, i pregiudizi, gli automatismi comportamentali, la routine; in pratica tutto ciò che impedisce di raggiungere l’essenza del sé, di uscire realmente dal “gregge”, fuggire dal recinto (serpente) sorvegliato dal “lupo” per raggiungere la “soglia” del sacro Tempio, che in realtà è il proprio Eden. Tenendo sempre presente che chi è riuscito a conquistare e oltrepassare l’ingresso, non è affatto immune dalle suddette trappole, che anzi, con la stessa capacità di adattamento di un virus, insistono a ripresentarsi con periodicità costante e rinnovato bagaglio di trucchi, dotate di un potere d’insidia direttamente proporzionale alle realizzazioni in ambito ermetico (o di altro percorso interiore) e al livello di consapevolezza precedentemente conseguiti e consolidati.
Scrive ancora il Kremmerz: “Le due correnti, la falsa ed illudente volgare potentissima e la vera ed incorruttibile occulta agiscono sul discepolo come due calamite uguali ed opposte su di un ferro messo ad egual distanza dalle loro braccia. Se non che il pezzo di ferro non ha volontà e messo a distanza uguale tra le due forze non si muove. Ma il discepolo ha una volontà che il maestro non gli deve mai sopprimere , e questa volontà lo spinge un po’ verso la prima e un po’ verso la seconda, in modo che l’animo del discepolo, fino al suo trionfo o alla sua caduta, è in orribile tormento tra il credere alla promessa della luce e il sentirsi attrarre dal demonio della corrente comune”.
Per l’ermetista il problema si presenta spesso in termini esistenziali. Il serpente offre la cornucopia dei sogni infranti, lo scettro del potere, la corona delle vanità, il miraggio del successo o del riscatto, e si finisce per passare la vita, nel migliore dei casi, in un vago sogno di possibilità, contraddizioni, impegni e rinunce, “occupandosi” o “interessandosi” di esoterismo…Esattamente ciò che vuole il guardiano della soglia. Il fenomeno può ricordare l’abitudine alquanto diffusa di coloro che amano praticare sistematicamente la critica a oltranza di tutto e di tutti, senza mai iniziare un’opera di rinnovamento concreto che possa produrre una svolta qualitativa importante, prima di tutto in se stessi. Il modello di esoterista o ermetista part-time, curioso o superficiale, così come il prototipo a tempo pieno, ottuso e caparbio, pervicacemente fossilizzato (abitualmente senza nemmeno rendersene conto) sulle proprie convinzioni che rischiano di divenire unicamente un pretesto di sopravvivenza, si trovano spesso sulla stessa barca, sperduti nello stesso mare, inconsciamente travolti da ondate di alibi e impulsi abilmente mascherati, che altrettanto spesso impediscono di lavorare, crescere e soprattutto cambiare; di iniziare l’opera indispensabile di conoscenza nelle regioni più profonde e insondate del sé, nelle autentiche radici del proprio essere, oltre gli specchi. E consentono invece di rimanere comodamente avvolti nelle seduzioni involutrici delle chimere o dei miraggi, e parcheggiati nel protettivo recinto-sistema di rassicurante mediocrità, o innocua “normalità”. E’ ancora il Kremmerz che sintetizza perfettamente il lato più spigoloso del problema, quando scrive: “Quest’ostacolo censorio preesistente, crescente, è un enorme ponte che divide l’uomo ordinario dai tentativi delle esperienze di magia, perché l’ostacolo non è solamente spirituale nel senso ordinario della parola, ma ha potestà su tutta la vita fisica e mentale, influenza la riuscita nella vita pratica come un potere inibitorio ragionante, altre volte istintivo, più sovente per sentimentalità, ha cento facce diverse ed è di origine imitativa. Es.: moltissimi che hanno sete di istruirsi per poi praticare, e non trovano mai il momento di farlo. Coloro che fanno un mondo di studi, che finiscono per saper tutto e tutto saper fare, e finiscono col non far mai niente ecc.”.
Al di là della benché minima parvenza di conclusione di un tema e di una ricerca che meriterebbero la luce della lampada dell’Eremita Arcano, ritengo utili alcune parole finali, che intendo proporre ricorrendo ancora una volta a due brani (che non casualmente hanno per massimo comune denominatore l’Amore) rivolti a tutti gli studiosi di discipline ermetiche e magiche, tratti dagli scritti di due autentici adepti, il cui pensiero luminoso sovrasta incontaminato la corrosione del tempo e le grinfie rapaci del cerbero guardiano:
“Leggete la parabola del figliuol prodigo. Avviene, e lo so per esperienza, tra maestro e discepolo. Il figliuolo prende la sostanza del padre e va lontano a sciuparla in bagordi; egli si illude di trovar dovunque quello che ha avuto dal padre: le femmine come tante sirene lo incantano, il desiderio lo sprona, l’ambizione lo sospinge: il Logos tace perché parlano le sibille della terra. L’olio scorre e la lampada si spegne. Un bel mattino, quando il sapiente improvvisato meno se lo vuol confessare, il prodigo deve convincersi che egli è men che niente, che il piccolo patrimonio è distrutto, che tutto è caduto intorno a lui. La Luce o una Luce si affaccia all’anima del discepolo e gli dice studia, intendi, opera, ama. Nello studio, nell’intendimento, nell’opera, nell’amore egli deve in amplesso abbracciare tutto il mondo invisibile e il visibile”…(Kremmerz).
“Solo un’anima sincera, dalla tempra adamantina, può affrontare eroicamente la suprema prova della Verità Ardente e spingersi con purità d’intento sulla soglia, del Tempio: la freccia d’Amore trafiggerà la morte, e il sacro Guardiano si farà da parte” (Haurazar).
(Tratto dalla rivista Elixir con il permesso delle Edizioni Rebis).

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