aprile 21 dIl giorno 21 di Aprile 2018, in occasione del Natale di Roma, presso Palazzo Falletti, a Roma, in Via Panisperna, ha visto lo svolgimento di un incontro, il cui tema, incentrato su Vesta ed il significato del Fuoco Sacro, ha rappresentato l’occasione per una più vasta e profonda riflessione su un intero contesto. Gli oratori tutti molto competenti e professionali hanno, ognuno a modo proprio, voluto lanciare un chiaro messaggio a tutta la platea, lì presente: quella del 21 Aprile non rappresenta solamente una ricorrenza astratta, un puro e semplice “memento” archeologico, carico di nostalgie passatiste, ma un chiaro ed inequivocabile punto da cui partire al fine di rifondare e plasmare nuovamente uno spirito di comunità, andandoci a connettere con gli archetipi spirituali del passato. Vesta ed il suo Fuoco, furono la fiamma, il focolare metaforico, attorno al quale Roma ed i suoi “cives” crearono, sostennero ed alimentarono quell’invincibile spirito civico e comunitario, che li avrebbe portati a conquistare tutto (o quasi…) il mondo allora conosciuto. Quando Teodosio, in un impeto di vigliaccheria e spirito di prevaricazione unici al mondo, ordinò la distruzione del Tempio di Vesta e dello spegnimento del Sacro Fuoco, Roma cessò di vivere quale centro di irradiazione e di riferimento di civiltà, per tutto l’orbe terracqueo, per divenire un oscuro borgo, travagliato da lotte intestine tra avidi prelati e nobili ingordi ed arroganti…Ognuno dalla sua prospettiva, i vari oratori succedutisi sul podio degli interventi, da Stefano Mayorca ad Achille Tricoli, da  Andrea Anselmo (Polemos) al prof. Marcello De Martino, da  Carlomanno Adinolfi (Fons Perennis) a Giuseppe Barbera (Pietas), da Giandomenico Casalino allo scrivente ed infine, all’amico Luca Valentini, hanno tutti, coralmente, in qualche modo, voluto ribadire quanto qui affermato.

 

La Tradizione non è cosa morta, né un rinsecchito feticcio da agitare, unicamente in occasione di feste “comandate”, né una sterile rievocazione. E’ connessione con quegli archetipi vitali che, sedimentati nel profondo dell’anima di ogni popolo, ne costituiscono una vera e propria risorsa interiore, in grado di rianimarne la coscienza nei momenti più bui e disperati, quale quello che ora stiamo vivendo, per l’appunto. Ed il risultato, la percezione di quanto qui detto, si è concretizzato in una sala piena all’inverosimile. Un pubblico giovane e vitale, donne e bambini inclusi, in un numero approssimativo oscillante tra le centocinquanta e passa unità, hanno animato con il proprio interesse, la lunga maratona oratoria, iniziata nel primo pomeriggio e successivamente protrattasi sino a sera. Un pubblico attento e vitale, spensierato, ben lontano dai barbosi soliloqui di ammuffiti professorini, ammalati di un tradizionalismo marmoreo e settario. E già. Per chi non lo avesse capito, a voler portare avanti certe battaglie, le vere difficoltà, le critiche, non le si trovano in coloro che sono apertamente contrari a quanto si va dicendo o facendo, ma, assurdo se si vuole, proprio in coloro che dicono di pensarla allo stesso, proprio, modo.

Il caso dell’amico Giuseppe Barbera è, a tal proposito, esemplificativo. L’inedito fatto dell’apertura di un Tempio dedicato a Giove/Juppiter, anziché destare interesse ed ammirazione, ha prodotto invidie e risentimenti, per lo più fondati su cavillosi “distinguo” che, poco o nulla hanno a che fare con il voler risvegliare lo spirito di un popolo, attraverso la connessione ai propri archetipi. Un gesto dirompente, un vero e proprio pugno in faccia (tra l’altro realizzato in un quartiere periferico, sic!) al sonnacchioso e dominante conformismo, di quelle coscienze abituate a scandire le proprie grame esistenze a ritmo di “chat” e “tablet” e la cui massima ambizione è quella, un giorno, di divenire veline o di prender parte al “Grande Fratello”, ma anche a quelle di coloro che, invece, si sono immedesimati nell’improbabile ruolo di esclusivi detentori di esoterica sapienza ed invece altro non fanno che vivere la loro “scienza” nel chiuso di una qualche stanza, riuniti in esangui conventicole, tristanzuole e litigiose.

Lo stesso conferire una valenza “magica” (come nello specifico caso dell’intervento del Mayorca, ma anche in quello del Valentini) all’intero contesto religioso romano, è operazione non casuale. Anche se può, a prima vista, apparire come cosa un po’ fuori dalle righe, ha invece lo scopo precipuo di fare del complesso rituale e religioso romano, un vero e proprio gesto di potenza, facendo di un semplice miste, un “Pontifex” che, nel ruolo di vero e proprio “ponte” tra la dimensione dei mortali e quella degli Dei, sappia con questa interagire, allo scopo di poterne utilizzare le energie, al fine di poter potenziare il proprio “io”, modificando l’intero assetto della realtà e relegando ad un più basso gradino, la sfera devozionale. Può anche essere che, chi scrive, sia or ora, vittima di un colossale abbaglio, (cosa che comunque non può aprioristicamente essere esclusa…). Ma, visti gli incoraggianti inizi, non si può che sperare in una positiva prosecuzione, attraverso ulteriori incontri, interscambi e quant’altro, in grado di dare un senso ed una direzione a tutta una serie di esperienze, sinora slegate da qualsivoglia comune progettualità.

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