L'Arcano delle Dimore Filosofali

Dietro il proscenio delle antiche scienze sacerdotali e delle pratiche alchemiche trasmutative si nascondono misteri e avvenimenti che hanno assunto i contorni del mito, generando leggende e rivelando (nel senso di occultare nuovamente) la Verità vera agli occhi del volgo. Soprattutto nel contesto alchemico legato alla Grande Opera, si sono verificati eventi straordinari che vedono protagonisti personaggi avvolti nella nebbia dell’occulta sapienza, la cui identità è pressoché sconosciuta a causa dei numerosi depistaggi volti a mantenere celata l’origine stessa delle loro più intime appartenenze. 

 

Il celebre alchimista Fulcanelli, l’uomo senza volto, rientra a pieno titolo in tale ambito. Da più di cinquant’anni si indaga sulla vita di questo enigmatico uomo i cui caratteri salienti sono in profonda commistione con il Conte di Saint Germain, tanto che alcuni hanno avanzato l’ipotesi che si tratti della medesima persona. A quanto sembra, il nome di Fulcanelli è solo  uno pseudonimo, riconducibile con una certa approssimazione fonetica a Vulcano, il mitico fabbro degli dei e ad Helios, l’antica divinità solare. Tra gli scritti di Fulcanelli, uno in particolare assume valenze ermetiche ed iniziatiche di notevole valore. Si tratta dell’ormai celebre opera Il Mistero delle Cattedrali. Nella prima edizione di questo incomparabile lavoro di simbolismo alchemico appare l’introduzione di un discepolo diretto del Maestro, Eugène Canseliet, il quale scriveva: “Per il discepolo è un compito ingrato e difficile presentare un’opera scritta  dal proprio Maestro. Perciò la mia intenzione non è quella di analizzare il ”Mistero delle Cattedrali”, né di sottolineare il bello stile e il profondo insegnamento. Confesso umilmente la mia incapacità e preferisco lasciare ai lettori  il compito di apprezzare il libro, e ai Fratelli di Heliopolis (confraternita iniziatica ispirata all’antichissima città del Sole egizia, vero e proprio centro d’iniziazione osiridea), la gioia di raccogliere questa sintesi, esposta così magistralmente da uno di loro.  Il tempo e la Verità faranno il resto. Già da molto tempo, ormai, l’Autore di questo libro non è più tra noi. L’uomo si è eclissato”. Il finale della prefazione lascia adito a numerose ipotesi. E’ una casualità che il Canseliet si sia servito del termine eclissarsi? Crediamo di no, perché in effetti quest’ultimo non intendeva dire che Fulcanelli era morto ma, al contrario, voleva far capire tra le righe che il famoso alchimista si era letteralmente volatilizzato dopo il compimento della Grande Opera, naturalmente. La storia di Fulcanelli, permeata di mistero e magia, si snoda nella Parigi dei ruggenti anni Venti, quando iniziarono a circolare strane voci concernenti un maestro d’alchimia che aveva incominciato a lavorare (sarebbe meglio dire ad operare) segretamente nella capitale francese. E fu proprio Canseliet il primo a diffondere tale notizia. Quest’ultimo, assieme ad un suo amico, Jean Julien Champagne, un artista che alloggiava in un appartamento situato vicino al suo, in rue Rochechouart 59, a Monmartre (il quartiere degli artisti), fondò un circolo di occultismo. Ben presto, all’interno di questa cerchia iniziarono a gravitare diversi appassionati e studiosi di alchimia. La vera identità del Maestro, comunque, non era nota a nessuno degli affiliati, solo Canseliet e Champagne lo avevano incontrato, descrivendolo come un uomo assai colto, molto ricco e di età avanzata. Secondo una voce che circolava con una certa insistenza, Fulcanelli era ormai sul punto di realizzare la Grande Opera (e quindi di fabbricare anche l’elisir di lunga vita). Questo particolare creò ulteriore interesse e concitazione fra i membri del gruppo esoterico che seguivano con febbrile curiosità la vicenda. Nel 1926, in autunno, la figura del Maestro sembrava ormai essere solo il frutto di una ben congegnata messinscena, un parto della fantasia generato per una ragione sconosciuta quando, inaspettatamente, fece la sua comparsa l’enigmatico volume Il Mistero delle Cattedrali. Del libro vennero stampati solamente trecento esemplari, in una edizione di lusso, dalla casa editrice dello stesso Canseliet (che allora aveva appena 26 anni). Anche Champagne contribuì alla realizzazione del testo illustrando le tavole che in esso erano contenute. Fulcanelli intendeva fornire la chiave del complesso simbolismo racchiuso nella pietra, nel legno, nel vetro che caratterizzavano l’insieme degli elementi stilistici e decorativi appartenenti ad alcune cattedrali gotiche. Egli era convinto che al di là dell’interpretazione di impronta religiosa-cristiana, la simbologia in questione fosse in realtà un codice che una volta decriptato era in grado di fornire istruzioni circa le operazioni alchemiche e la creazione della Pietra Filosofale. In passato, altri autori e ricercatori che militavano in ambito esoterico, avevano espresso un’identica opinione, ma senza l’ausilio di una verifica diretta che, al contrario, il Maestro presentava nel suo sconcertante libro. Il successo che stava riscotendo intensificò le ricerche mirate a disvelare la vera identità di Fulcanelli, che per alcuni non era altro che un discendente della grande casata dei Valois, divenuti celebri nella storia della Francia sopratutto per la loro inclinazione agli studi ermetici. Non a caso, numerosi membri di questa potente famiglia avevano intrapreso il cammino esoterico, e tra questi l’ultimo Re Enrico III, anche lui interessato alla magia. Persino i nostri Canseliet e Champagne, a detta di molti, potevano celare dietro il loro nome l’ombra di Fulcanelli. Quest’ultima ipotesi per gli studiosi è notevolmente fallace, sia per la differente età dei due, che in ogni caso non corrispondeva a quella del Maestro (molto avanti con gli anni), e per altre ragioni che sarebbe lungo in questa sede spiegare compiutamente. Non dobbiamo dimenticare inoltre, che Champagne, forte bevitore di assenzio (il liquore delle fate), perì nel 1932 a soli 55 anni, dopo una lunga agonia, assistito da Canseliet.

 

 Fulcanelli e le Dimore Filosofali

 

Qualche tempo dopo fu pubblicato un secondo volume dell’inafferrabile alchimista, dal titolo Le dimore filosofali, anche questo dedicato alla simbologia alchemica custodita nell’architettura delle cattedrali, che si spingeva fino al XV secolo. Risale a quel periodo una nuova e ardita tesi formulata da F. Jollivet Castelot, un ricercatore, presidente della società degli alchimisti francesi e membro della Rosa Croce, il quale asseriva che, con ogni probabilità, Fulcanelli era nientemeno che la reincarnazione di un abate alchimista vissuto nel XIII secolo e legato al complesso sacro di Mont Saint Michel, un certo Robert Jollivet. Castelot era giunto a questa stupefacente ipotesi, dopo avere individuato nel retro delle copertine dei libri di Fulcanelli il disegno dello stemma anticamente utilizzato dall’abate. Una sorta di messaggio che l’alchimista aveva voluto inserire nei testi per rammentare alla gente di un’altra epoca che l’abate era tornato. Ma soffermiamoci ancora una volta sulla prematura scomparsa di Champagne, e sulla scritta che spiccava sulla sua lapide. Nell’iscrizione si legge : “Qui riposa Jean Jiulien Champagne Apostolicus Hermeticae Scentiae”. A quanto pare le iniziali delle ultime tre parole latine corrisponderebbero alla presunta firma di Fulcanelli, così come appare nel Il Mistero delle Cattedrali e cioè “A.H.S. Fulcanelli”. Per tale ragione si riaccese la polemica sulla vera identità del defunto. Si trattava di Fulcanelli? Le voci furono smentite da Canseliet che conosceva di persona il Maestro. Tuttavia Robert Ambelain, noto esperto di scienze occulte attivo in quegli anni, sosteneva che Champagne fosse riuscito a realizzare la Grande Opera e a trovare l’ambita Pietra Filosofale nonché l’elisir di lunga vita, nei tre anni precedenti alla sua dipartita. La questione desta perplessità. In effetti, non si capisce perché nonostante tale traguardo, egli soffrisse di alcolismo cronico e avesse perduto la vita ancora giovane. Chi conosce anche marginalmente il percorso alchemico e iniziatico, sa bene che per poter pervenire alla conquista della Via alchemica è necessario avere domato le correnti volgari e la personalità profana da tutte le sue debolezze e dalle scorie della materia pesante. 

 

Un esperimento sorprendente

 

Quando Champagne era ancora in vita fu testimone di un evento fuori dall’ordinario, qualcosa di unico. Nel 1922, assieme ad un altro confratello, un giovane chimico di nome Gaston Sauvage, si recò in una officina del gas, a Sarcellès, su richiesta di Canseliet. Giunto all’appuntamento ebbe la possibilità di assistere ad una dimostrazione pratica condotta dal suo amico. Fu così che lo vide utilizzare una minima quantità di polvere di proiezione (la vera Pietra filosofale), donata al suo discepolo dallo stesso Fulcanelli, per operare una trasformazione. L’esperimento condotto da Canseliet consisteva nel cambiare cento grammi di piombo in oro purissimo, cosa che avvenne con una precisione impressionante.   

 

Lo spirito volatile e le vetrate di Chartres

 

Nonostante queste rivelazioni, la convinzione che Champagne fosse più importante di quanto non si credesse era ancora viva. Qualcuno sosteneva persino che Canseliet era stato l’allievo di Champagne e che quest’ultimo era a conoscenza di un importante segreto. Tutto era incominciato quando l’artista lavorava  presso una libreria antiquaria. Qui rinvenne un testo manoscritto datato 1830 e se ne appropriò. A quanto si dice, il testo conteneva istruzioni dettagliate che consentivano la fabbricazione alchemica dei celeberrimi colori blu e rossi adoperati  per le vetrate della cattedrale di Chartres. A tale riguardo così si esprimeva: “Colori reali che nessun prodotto può produrre…Vetri tinti nella loro massa dallo spirito volatile dei metalli”. Per portare a termine l’impresa, Champagne collaborò con un alchimista che utilizzava il nome iniziatico di Aor. Un uomo ricco, deciso a finanziare gli esperimenti di Champagne. Ci vollero diciannove anni, ma finalmente, nel 1930, la prova e gli sforzi vennero coronati dal successo: “Il fuoco non si estingue se non quando l’Opera è compiuta e quando tutta la massa tintoria impregna il vetro il quale, di decantazione in decantazione, resta assolutamente saturo  e diviene luminoso come il Sole…”.

 

Svelata l’identità di Fulcanelli?

 

Chi era realmente il misterioso Aor? Oggi sappiamo che dietro questa sigla operava il serio alchimista Renè Adolphe Scwaller  de Lubicz, l’uomo che consentirà di penetrare gran parte della simbolica dell’ermetismo egizio e pagano. Lubicz non era stato sempre ricco, ma doveva la sua fortuna all’armatore Louis Allainguillaime, direttore di una società carbonifera  che ingaggiò Lubicz affidandogli la riorganizzazione della struttura finanziaria. Di lì a poco l’impresa incrementò in maniera inaspettata le sue entrate decuplicando gli introiti. A questo punto Allainguillaime decise di premiare il giovane, concedendogli una percentuale fissa sugli utili che gli assicurò un tenore di vita molto elevato per il resto della sua esistenza. La sua passione per l’Egitto lo portò nella terra dei Faraoni, dove studiò e interpretò in chiave iniziatica i geroglifici e la conoscenza alchemica che in qualche modo in essi è custodita. Il suo lavoro di decifrazione si concentrò soprattutto sul celebre tempio di Luxor. Qui, per diversi anni, si dedicò allo studio dei misteri che vi sono racchiusi. Con lui si trovavano anche sua moglie Jeanne Germain (il cui nome iniziatico è Isha), e la figlia di lei, Lucie, che ricopiava con sapiente maestria bassorilievi ed epigrafi. Prima di stabilirsi temporaneamente in Egitto, i coniugi si erano recati a Palma di Maiorca per visitare l’abitazione del grande alchimista Raimondo Lullo, e studiare gli antichi manoscritti alchemici a lui appartenuti e in quel luogo tuttora conservati. Come egli stesso affermava, la ricca messe di materiale (che comprendeva anche gli studi sulla simbologia alchimica delle cattedrali), gli fu carpita, e in proposito confidava a un suo discepolo, un certo VandenBroeck: “Mi ci è voluto molto tempo per trovare il linguaggio adatto a quel che dovevo dire, e solo con l’Egitto Faraonico ho trovato la mia cifra, la mia simbolica. Una simbolica deve mostrarsi, non si può inventare e non può essere convenzionale, come il linguaggio artificiale della logica simbolica. Si sarebbe potuta “inventare” la rivelazione cristica? Niente affatto. Doveva fiorire sulla base del mito perenne, come simbolica, per poi a suo tempo fornire la sua cifra  a pochi grandi autori, come fece nel Medioevo. Avrei utilizzato una simbolica cristica per dire certe cose, se Fulcanelli non mi avesse rubato l’idea… Eppure mi hanno fatto un favore; mi hanno impedito di identificare la mia opera  con il simbolismo delle cattedrali, mantenendomi così disponibile per l’Egitto…”. Ma cosa voleva dire? Cerchiamo di scoprirlo riportando alcune informazioni confidenziali che Lubicz svelò al discepolo da poco menzionato: “Fulcanelli deve essere inteso come il nome generico di un molteplice sforzo che si è protratto per quasi mezzo secolo… Si ricordi, quando dico Fulcanelli, intendo quell’intero gruppo di letterati e “soffiatori” (termine dispregiativo usato per indicare gli alchimisti materialisti e i proto-chimici): Canseliet, Dujols, Champagne, Boucher, Sauvage; tutti hanno contribuito a dar forma alla produzione di Fulcanelli, una volta diffuse le mie idee fra di loro. La mia ricerca sulle cattedrali come veicolo… E poi un po’ di lustro intorno, la fantastica erudizione, molta della quale risale a Dujols, un po’ a Canseliet; si aggiunga il lavoro grafico di Champagne, ed ecco pronto un libro vendibile. Ci hanno costruito sopra una carriera, ma nel processo hanno mancato il momento, hanno mancato la Parola…”. Le cose sono andate proprio in questo modo? E’ difficile stabilirlo, specialmente di fronte a una realtà iniziatica tanto controversa e muliebre. In ogni caso, i due autori, Louis Pauwels e Jacques Bergier, nel loro libro Il mattino dei maghi (1960), sostengono ufficiosamente che Fulcanelli e Schwaller de Lubicz  erano la medesima persona. Una possibile conferma ci proviene da alcune nuove affermazioni di de Lubicz, o per meglio dire Aor, alias Fulcanelli: “Quello che fu pubblicato è irreparabilmente frammentario, pieno d’oscurità non necessarie e senz’altro di nessuna utilità per un adepto che pratichi con serietà, ma fornisce molte munizioni ai soffiatori con le sue frasi accattivanti…”. Queste considerazioni seguirono alla pubblicazione del Mistero delle Cattedrali e Lubicz scoprì con sorpresa e amarezza che sotto il nome di Fulcanelli era stato pubblicato il suo lavoro, con le aggiunte estrapolate dal materiale appartenente all’archivio dell’alchimista ed erudito francese Pierre Dujols de Valois.

 

 La pietra: corpo, materia e spirito

 

La conoscenza celata nelle grandi costruzioni sacre era già nota in epoca medievale, molto tempo prima che fossero divulgati i libri di Fulcanelli. La sostanziale differenza è che nel passato il sapere espresso dai luoghi sacri rivestiva una sacralità quasi religiosa, commista a dei simboli spirituali che ne esaltavano l’aspetto archetipo di matrice epica. L’alchimia di Fulcanelli, invece, si inoltra in un percorso operativo più complesso, e di conseguenza maggiormente oscuro e indecifrabile. Nel Medioevo, la pietra, il materiale utilizzato per edificare le cattedrali, recava in sé un messaggio di eterna immutabilità, una struttura pensata come un corpo pervaso di vita. Un esempio di questa sapienza millenaria ci proviene dalla cattedrale gotica che si trova a Treviri, nella Renania: la Liebfrauenkirche, risalente al XII secolo. In essa le masse sono distribuite con armonica precisione, quasi a formare un corpo che svetta verso l’alto avvicinandosi all’Assoluto. Le proporzioni, accuratamente studiate, rispecchiano l’ordine celeste, l’armonia universale. Le analogie con altre costruzioni similari è quasi d’obbligo, pensiamo ad esempio alla piramide di Cheope. In tutte e due le strutture è ravvisabile il concetto d’ascesa verso la Luce divina mediante la geometria sacra. Questa culmina nel vertice, come nel caso della piramide, massima espressione del livello spirituale che anela al divino. Nella cattedrale di Liebfrauenkirche il vertice è costituito dalla torre più alta che, con il suo tetto appuntito e triangolare, richiama in modo sorprendente il vertice piramidale.

 

 Il sacro rito della costruzione

 

Anche la cerimonia relativa alla posa della prima pietra  merita un attento esame. Tale cerimonia aveva la connotazione di un vero e proprio rito religioso, volto a infondere vita e spiritualità alle fondamenta. L’officiante inscriveva su ciascuna faccia  delle pietre – simbolo una croce recitando: “Signore Gesù Figlio del Dio vivente… Tu che sei la Pietra angolare… Benedici questa pietra che sta per esser posata nel Tuo nome”. Aveva così inizio il cammino per l’edificazione spirituale, che partiva dalla conformazione interiore dei costruttori per giungere sino al concetto  di saldezza e resistenza della pietra. Del resto, nell’ambito del Cristianesimo (gnosticismo) la Chiesa di pietra, oltre ad essere un’immagine dell’immutabilità divina, raffigura il corpo mistico ed ermetico della Chiesa (da intendersi in maniera simbolica, non materiale e non cattolica). Gli iniziati (realizzatori ermetici di Luce), e i fedeli (profani inconsapevoli o essoterici), costituiscono in tal senso le pietre viventi che interagiscono con le pietre reali costituenti l’edificio sacro, il tempio interiore. In questo modo si origina la fusione  atta a creare il “Corpo unico” o, per meglio dire, corpo, materia e spirito. Nella struttura sacra è racchiuso dunque il messaggio simbolico legato all’Uomo quale elemento in perenne sviluppo che, con il suo rinnovamento interiore, da’ vita al corpo attivo e non più passivo. Così egli diviene consapevole della creazione e cosciente della sua origine divina. Tutti questi concetti li ritroviamo poi nel cattolicesimo che se ne è appropriato. Al di là delle diatribe che si generano tra gli uomini i quali, pur se iniziati, a volte cercano di sopraffarsi (è chiaro il riferimento alla questione di Fulcanelli), la fiamma del vero Sapere arde imperitura. Essa si sottrae a queste misere manifestazioni dell’umana natura e veglia affinché l’ordine supremo non venga violato. Nelle forme delle cattedrali, 

in poche parole, è celata la geometria mistica che corrisponde alle divine proporzioni della Creazione universale. Si concreta in tal modo l’alchimia totale, il contatto con l’eterno e immutabile principio creativo: Dio. La Cattedrale, soglia di pietra, ci introduce nella dimensione riflessa, nel parallelo energetico, nel cielo astralizzato. Oltre la soglia, al di là del Tempo, l’Assoluto. Eterno pensiero. Tutto infinito.  

 

Articolo apparso sul mensile Misteri di Hera, Acacia Edizioni (Milano)  

                                        

 

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