Nei numeri precedenti di Elixir, come in alcuni scritti del presente, crediamo di aver esposto il più chiaramente possibile il nostro concetto e la nostra posizione a proposito dell’iniziazione. Ritorniamo in breve sull’argomento (che riprenderemo più ampiamente in futuro), per tentare di rendere ulteriormente comprensibili alcuni punti che consideriamo essenziali e, soprattutto, per proporre una risposta alle numerose lettere ed e-mail pervenuteci su questo tema delicato e importante.
Iniziare vuol dire Cominciare. Initium, principio. Nessuno dà la fine”, scrive il Kremmerz nella bellissima quanto malinconica e disincantata introduzione del 1917 alla ristampa del suo ”Avviamento alla scienza dei magi”. Potremmo aggiungere che aldilà di quanto ordinariamente si scrive e si è portati a pensare, ovvero che “l’iniziazione è di tutti” e che bene o male una “via” è a disposizione di ogni interessato dotato di un minimo di motivazione, in realtà dovrebbe risultare ben chiaro che “non è per tutti”, per il semplice motivo che, come già efficacemente osservato e ribadito in altri nostri scritti, se è vero che a chiunque è teoricamente consentito imparare a utilizzare matite e pennelli o strumenti musicali per diletto, è altrettanto innegabile che se non si è dotati di talento e vocazione innati – nonché tanta applicazione e disciplina - non si diverrà mai autentici pittori o musicisti, né tantomeno artisti, anche se si disponesse dei colori di Leonardo o di un violino firmato Stradivari. Come è del tutto inutile in magia o alchimia possedere documenti originali o fotocopie di mirabolanti manoscritti supersegreti di ipermaestri di 8° dan, se la materia non si anima. Da non dimenticare inoltre che il percorso iniziatico corrisponde, se svolto seriamente, a un impegno di vita che non può essere disgiunto o distinto dalla realtà umana, come alcuni credono o sperano, se non a costo di rocamboleschi compromessi o di un ragguardevole livello di autentica consapevolezza. Nel senso che quella dell’iniziato non può essere considerata una maschera o una divisa da adattare alle circostanze o da indossare quando utile e/o necessario a seconda delle contingenze. “Iniziati si nasce, e lo si è anche quando si fa uè-uè!”, amava esclamare sorridendo un nostro vecchio amico occultista…E forse almeno in parte aveva ragione. La relativa facilità con la quale a volte si tende inoltre a giustificare una serie di comportamenti eufemisticamente o esplicitamente ascrivibili all’aggettivo “umani”, di certi “maestri”, o presunti tali, operando una netta separazione tra l’uomo e l’iniziato, può risultare alquanto rischiosa e consentire e giustificare forme di dicotomia probabilmente comprensibili, ma assolutamente inaccettabili in ermetismo. Specialmente per coloro che, senza alcuna prescrizione medica, si propongono o impongono a guida e modello di una struttura con fini iniziatici. In effetti si potrebbe obiettare che anche all’iniziato in fondo sono permessi concepibili e umanissimi sbandamenti, errori o varianti sul tema. Certamente: a nessuno è richiesta l’”aureola” di santo, ma nemmeno un’”aura” impestata di riprovevoli “umani difetti”. E se vogliamo proseguire con i luoghi comuni, diciamo pure che se “sbagliare è umano”…dovremmo poi aggiungere il consequenziale “ma perseverare è diabolico”, con relative aggravanti nel caso di chi sbaglia sapendo di sbagliare. E comunque, di fronte allo specchio dei propri limiti, o di oggettive lacune e anomalie, un minimo di onestà e di autoanalisi imporrebbero accuratamente di evitare – almeno questo! – di assumersi l’onere morale e la enorme responsabilità del ruolo di “guida”, o peggio ancora di “maestro”, nei confronti di anime speranzose che in buona fede si fidano e affidano a chi dovrebbe garantire loro un porto sicuro per crescere, evolvere e apprendere.


C’è poi chi afferma che ogni “apprendista ermetista” deve necessariamente affrontare le proprie prove, i vari “guardiani della soglia”, le maschere proteiformi che nascondono le verità di dottrine e personaggi, le immancabili difficoltà che puntualmente si presentano in misura ed entità direttamente proporzionali ai livelli raggiunti o da raggiungere, e così via. Il marchese M.Pignatelli, un fine e profondo ermetista, soleva rispondere ai giovani aspiranti discepoli: “ripassi quando nel corso della vita avrà affrontato e superato qualche tragedia”, non certo per cinica superficialità, bensì per significare l’”importanza” di certe componenti traumatiche e dolorose (non auspicabili ovviamente, ma sovente inevitabili) nel percorso esistenziale, ai fini di una “crescita” interiore, di una maggiore esperienza di vita, di una più ampia consapevolezza (non limitata soltanto alla sfera psichica) e di una scelta matura e ben ponderata.
E’ sempre difficile dare consigli o indicare soluzioni di carattere generale. Ma ognuno, in particolare nei momenti cruciali della vita, potrebbe e forse dovrebbe tentare di seguire o ascoltare il proprio “maestro interiore” e, perché no, il proprio istinto (già, proprio il vituperato “istinto animale”), spesso più affidabile di qualsiasi costruzione mentale o di traballanti impalcature culturali e intellettuali, cercando di capire qual è il sentiero giusto (e la persona o le persone giuste), per raggiungere la propria meta e le proprie risposte. “Tutte le strade portano a Roma”, recita un vecchio detto popolare; ugualmente, in senso iniziatico, non esiste la via, ma una via. E non è detto che nel lungo arco di una vita non se ne possano incontrare e percorrere anche altre. L’importante è affrontarle e seguirle con impegno, lealtà, onestà e umiltà, coltivando nel proprio giardino incantato un genuino amore per ideali in sintonia col proprio essere, con la propria natura, con i propri sentimenti e aspirazioni, senza alcuna ombra di sterili sogni di superiorità, di egoismo o di ambizione prevaricatrice, se possibile. Si tratta di utopia? Può darsi: per le grandi imprese bisogna puntare molto in alto. E se le premesse sono serie, i risultati prima o poi si vedono. Citiamo ancora il Kremmerz: “Se un pugile che aspira alle vittorie sulle arene deve per lunghi anni educarsi a una vita rigida e severa, a majori per mutare l’uomo in un semidio, non meravigli un tirocinio austero di trent’anni con regole precise”. Già, forse ai tempi del mago di Portici. Ai  giorni nostri è da considerarsi quasi un miracolo se in trent’anni di “grande opera” full immersion si riesce a trasformare un semiuomo in uomo, o a restituire a una sana realtà il tronfio e convinto “semidio” di turno. Molto frequentemente infatti, purtroppo e soprattutto oggi, dal mare magnum di una società condannata da scelte e necessità indotte, oltre che dalla legge del profitto e relative trappole pubblicitarie, vediamo affiorare assieme ai frutti decomposti dell’inquinamento materiale e morale, l’imperativo “tutto e subito” (o come si dice, “in tempo reale”), magari pagando, perché tutto sembra abbia un prezzo; oppure notiamo galleggiare assieme ai rifiuti della “civiltà dei consumi” l’atteggiamento pretenzioso e tracotante di coloro che innanzitutto si chiedono quali e quanti vantaggi (o “poteri”) personali possono procurarsi aderendo a questa o quella scuola, seguendo questo o quel maestro. “A prescindere”, naturalmente, come direbbe il noto filosofo ermetico Antonio de Curtis. Gli stessi che poi rimangono attoniti e sconcertati, sia quando davanti a una realtà tradizionale e per fortuna aliena ad ogni contingenza, “scoprono” l’alchimica “acqua calda”, e cioè che l’iniziazione, in quanto sacra, non è mai stata né mai sarà in vendita o impartita a pagamento, sia quando di fronte al fallimento di aspettative contaminate da egopatologie varie, si accorgono dei limiti e della vacuità delle proprie illusioni, e soprattutto della necessità di un approccio finalmente sincero, serio e corretto a questa realtà, che prenda in considerazione non tanto ciò che dall’iniziatore o dall’organismo iniziatico si può avere (dando naturalmente per scontata la validità, oggi assai rara, dei medesimi), quanto ciò che invece si è in grado di dare. E in che modo è possibile partecipare e contribuire con dedizione e abnegazione all’idea per alimentarne la fiamma di vita e di amore.
Noi, come già sottolineato in passato, non suggeriamo facili ricette, ma con premesse di questa impronta siamo dionisiacamente convinti che il Carro dell’Iniziatore che procede trainato dalle due sfingi (corrispondente all’arcano n° 7 dei Tarocchi, al quale è dedicata la copertina di questo numero di Elixir), possa condurre alla integrazione e alla fioritura dell’essere nella sua totalità, in senso olistico. Senza alcun bisogno di improbabili prediche e sermoni di papazzi e papazze, di verità imposte dai pulpiti di un autoritarismo mendace, decrepito e spesso autoreferenziale, di scelte forzate, coercizioni e, soprattutto, dogmi. Perché il seme dell’anima, troppo a lungo sepolto o dimenticato sotto la neve oscurantista di gelidi e aridi inverni riesca a svegliarsi, a germogliare e sbocciare libero, armonioso, creativo e gioioso alla luce realizzante e feconda di una autentica primavera iniziatica.

(Tratto da Elixir n° 7, con il permesso delle Edizioni Rebis)

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