Ahahaja: Della Purificazione e dei Digiuni

a cura di Orpheus

 

La natura Universale, nella sua sintesi, è una UNITA’ e l’uomo è una unità omologa alla UNITA’ della natura universale: tra le due unità esiste armonia e coordinazione per analogia e l’analogia è il terribile scoglie del novizio all’iniziatura, in quanto egli non la discopre che col progredire della sua purificazione, la quale spoglia la sua mente da tutte le bende delle analitiche ricerche e lo avvia verso il perfetto lume della sintesi, per legge di progresso evolutivo e di giustizia eterna.
L’analogia della natura e le analogie tra uomini, cose e spiriti non sono facilmente intelligibili se non da coloro che giungono a penetrare con una obiettivazione determinata le cose di cui vogliono rendersi ragione. Penetrazione che è AMORE, il quale fu detto dai filosofi e dai poeti iniziati "onnipotente" perché tutto per l’amore è possibile. Esso pone, analogicamente all’amore umano, la NATURA INTERA in balìa dell’amante, come la femmina in dominio del maschio.
Il pensiero umano, indeterminato moto dell’anima ermetica o astrale dell’individuo-uomo, è compenetrante tutte le cose in cui si fissa in vibrazione d’amore. Basta che lo spirito si elevi, come profumo da igneo fornello, dalla finalità della vita terrestre alla contemplazione e alla penetrazione dell’Infinito esistente e l’ascosa faccia del Dio trasformatore si manifesta in lui e per lui.
Il libro divino, il libro eterno dove Saturno segna i destini delle razze, degli uomini, delle cose è un libro aperto agli occhi di tutti coloro che sanno di questo purissimo amore. Se tu hai un’anima semplice come la natura, tu avrai la forza di compenetrazione e compenetrerai quelle analogie che per la loro semplicità sfuggono agli occhi dei dottori: leggerai il linguaggio semplice, maestosamente e regalmente semplice della natura, che è indecifrabile per i sofisticatori dell’idealità semplice della natura.

La purificazione, di cui tutti gli ordini sacerdotali hanno memoria, è lo stato di ritorno alla primitiva e perfetta innocenza.

Mente-anima-corpo si devono spogliare dalle impurità succhiate col latte e prese in contatto con la vita sociale. Non bisogna mai, nei riti purificatori, perdere la nozione della analogia, perché tutto è analogico, nei riti tradizionali, alla maestà complessa della natura; e solo col serbare presente a sé la legge di questa UNITA’ si rende la propria azione efficace e perpetua su di sé e sugli altri.

L’UNITA’ della sintesi universale fa che ogni segno, ogni atto, ogni pensiero, di qualunque ordine e specie, che si faccia come espressione della propria volontà, resti sempre la sua proiezione nella maestà infinita dell’utero invisibile della natura. In questa occulta legge fondasi ogni magia di rapporto e di simpatia. Il digiuno del corpo, per queste leggi accennate, non è esercitazione di resistenza del fisico del praticante, ma germe di una proiezione lanciata sullo spirito proprio. Il digiuno è la prima delle regole purificatrici. Mangiare vuol dire convertire i cibi introdotti nel nostro organismo nell’organismo stesso che li ingerisce. Il nutrimento del corpo non rappresenta che una necessità infernale e una imperfezione di esso. Lo stato spirituale, senza l’involucro corporeo, è una idealità di non nutrimento e di vita per sé. Lo stato di umanazione, invece, segna una decadenza (involuzione) della spiritualità intelligente in una spiritualità più bassa, più terrigena, più materiale che l’alta spiritualità non sia. Ogni alimento porta con sé la corrispettività della sua origine e del suo grado di purità o di impurità, perché tutte le riproduzioni e le rappresentazioni di forme diverse della natura naturata, benché nel loro complesso siano UNO, nel loro momento di generazione sono più o meno armoniche alle funzioni che la loro spinta fatale di origine loro imprime.
Lo stesso latte della madre che nutrisce il suo pargolo ha differenti composizioni, più o meno propizie al suo sviluppo, secondi gli stadi e periodi diversi di allattamento. L’iniziatura, col digiuno, pone la riproduzione di una simbolica rinascenza del corpo, affinché venga analogicamente ricreato.
Così non si castiga il corpo, ma si ripete la propria rinascenza alla vita della luce.
L’abitudine del corpo al digiuno, cioè al pasto strettamente necessario, non secondo le indicazioni comuni ma secondo la necessità dei tempi e le analogie naturali, può essere effettuata senza che il corpo menomamente ne soffra sia nello sviluppo delle sue forze normali che nelle facoltà morali.

 

 

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