Julianus aveva, ormai da lunghi anni, abbandonato il tempio di Marte Ultore, a Roma. Si era congedato dal suo anziano mentore, dal momento che, essendo ancora vigoroso nel corpo e nella mente, aveva deciso di servire il Nume Gradivo, lasciandosi alle spalle l’afflato di un mundus, fatto di pilastri di marmo e di verba misteriosi. Il Dio si nutriva delle energie psichiche dei propri sacerdoti che, con la forza delle loro invocazioni veicolavano l’azione divina pro salute Urbis. In lunghi anni di esercizio, Julianus aveva conquistato tutte le chiavi cerimoniali che aprivano i Cieli Arcani. Tuttavia, egli aveva compreso che il Dio amava gli esseri erranti e che la parola separata dall’azione concreta, poco o nulla poteva contro le forze delle Tenebre.

Julianus avvertiva da tempo il peso del Male sulla città che tanto aveva amato e per la quale aveva combattuto aspramente, in anni di campagne militari. La corruzione, il malaffare e le trame perverse della politica, lo disgustavano profondamente. E fu così che, indossata la veste del viandante, con la propria spada al fianco ed i pochi suoi averi nella bisaccia, varcò i confini del Limes, incontrando genti variopinte e misteriose. Vi fu un tempo in cui egli viaggiò per giorni in un deserto di polvere e vento, per giungere in un’oasi di pace, ove scorreva una cascata ridente alla quale si abbeverò, dopo avere lavato dal proprio corpo la polvere, la fatica e le sensazioni gradevoli e non, accumulate attraverso i propri contatti con il mondo. Spogliatosi delle vesti, cominciò a tingere il proprio corpo con una polvere rossa ricavata da un frammento di lava solidificata, che egli stesso aveva raccolto dalle pendici dell’Etna. Ciò fatto, Julianus accese un fuoco, gettandovi dentro alcune manciate di incenso e cominciando ad intonare a bassa voce i versi di un carme antichissimo, che così principiava: ARAS RECE YRNAS QYOS… Il sole tramontava rapidamente, bagnando le nuvole di lingue rossastre. Julianus accrebbe il ritmo della propria invocazione. Rivoli di sudore presero ad  imperlare la sua fronte, mentre le membra venivano progressivamente scosse da un fremito, araldo dell’avvento del Dio. Le tenebre presero il sopravvento sugli ultimi scampoli di luce ed un bagliore accecante disegnò nell’aria odorosa la sagoma di un essere impalpabile. Julianus cadde per terra, trafitto da un lancinante dolore che immobilizzò i suoi arti.

Dopo alcuni istanti affilati come lame, la quiete si impossessò del corpo e l’anima sua si trovò sospesa in una dimensione super-umana. In quel preciso istante, i suoi occhi ebbero la possibilità di guardare ciò che sarebbe avvenuto nel futuro. Egli vide una città devastata dalla guerra, colma di macerie e di cadaveri straziati. Il sangue degli uccisi inondava le strade lastricate di candida pietra, in una sorta di spaventoso sacrificio ad una divinità assetata di morte. Nel mare scarlatto di umori umani, galleggiavano monete d’oro e d’argento, mentre una creatura mostruosa suggeva da un calice di roccia una lasciva bevanda color del fumo. La statua del Nume glorioso affondava nel terreno fino alla vita, devastata dalle ingiurie di uomini ghignanti che banchettavano con brandelli di carne umana, sorseggiando il crudo liquore dell’oblio. E Julianus vide il gladio del Dio scolpito nel marmo, venire ridotto in pezzi dagli idolatri della Bestia. Un fragore assordante feriva le orecchie dei sopravvissuti al disastro, mentre la terra tremava e il mostruoso Dio del Tramonto rideva compiaciuto di tutto quell’orrore. Improvvisamente il fumo acre sembrò per un attimo dileguarsi ed un Eroe dall’elmo di ferro brunito e dal corpo dipinto di sangue, avanzò fra i cadaveri putrescenti, facendo tremare la terra al suo passaggio.

Lo sguardo era fiero e terribile ed i suoi occhi, neri e sfavillanti come stelle nell’aria bruna, attraversarono come giavellotti il volto della Bestia che digrignò i denti in segno di sfida, spargendo la sua bava putrida sul terreno arso dalla distruzione. Ed ecco che il mostro avanzò rapidamente verso il Guerriero di Luce, con i denti e gli artigli sguainati nell’aria rovente. L’Eroe schivò il morso fatale della Bestia e afferratala per il collo con il braccio possente, la trafisse con la lancia, inchiodandola con furore al terreno. La Bestia dilaniò l’aria con uno orrendo meato di dolore che percosse le macerie, lacerando l’oscurità. Le tenebre fuggirono sul carro della notte ed il Sole riconquistò il suo trono.

La Bestia annientata si trasformò in cenere che si dileguò rapidamente, trasportata dal  freddo vento del Nord. L’Eroe si inginocchiò, slacciandosi l’elmo e la sua chioma caliginosa dai riflessi azzurrognoli, prese a danzare con miriadi di farfalle che, nel frattempo, avevano divorato ciò che restava del Male. Il Nume levò gli occhi e sorrise a Julianus, dissolvendosi in una sorta di pulviscolo iridescente che fu catturato dai colori dell’arcobaleno. Il sacerdote si risveglio dal sonno sacro, fradicio di sudore e con le membra intorbidate. Ora conosceva il destino degli uomini. Il Nume aveva parlato ed egli comprese che per lui  non vi sarebbe stato alcun riposo, poiché la via del guerriero non conosceva né sonno, né riposo; né giorno, né notte; né amore, né odio. Julianus si rivestì rapidamente ma invece di indossare la tunica del viandante, fasciò le sue membra con la lorica che lo aveva protetto e salvato nel corso delle numerose battaglie che aveva dovuto combattere per la vita e per Roma. Ora era pronto per un nuovo cimento.

JULIANUS

Fraternitas  Mavortis  Ultoris

Occasus Sanguinis – Julianus © - Si ringrazia ereticamente.net per la collaborazione.

 

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