IL RITORNO DI MAMO ROSAR AMRU

di G.F.Maddalena Capiferro

 

Mudu Muda li Kalim

la mudu ul immar…

(Ninurtu- Nasir, tempio di Esumera, 138 a. c.)

 

Vari riferimenti si incontrano negli scritti di Kremmerz, ad un misterioso personaggio caldeo, depositario dell’antica sapienza sacerdotale nilotico-partenopea, ultimo pontefice di Iside.

Di Mamo il maestro di Portici, parla sottolineandone la saggezza e usandone massime, virtù ed attributi di sibillina scienza ieratica. Si direbbe un essere quasi disincarnato dalle passioni umane che ha consacrato alla divinità la sua stessa esistenza, ricevendone in cambio una parte di conoscenza che, epigono di Prometeo, nel nome della sua dea, concede ai fedeli più arguti. Un suo discepolo, anch’egli unto sacerdote, è Izar Bne (o Ben) Escur che avrebbe condotto il suo apostolato ventisette secoli prima dell’epoca del Kremmerz, mentre le vicende terrene di Mamo, di secoli ne conterebbero trentadue[1]. Un altro chierico, poi, tal Iriz Ben (o Bne) Assir, verosimilmente anch’egli dissetatosi alla stessa fonte di conoscenza caldea, calpestava il suolo mesopotamico ai tempi del gran sacerdote di Marduk, Berosso[2] e si dilettava nell’angustiare il prossimo con la formulazione continua di aforismi di cui, alla fine, neanche lui più riuscì a comprenderne il significato dottrinale.

Torniamo, comunque, al nostro Mamo. Per quanto si possano scorrere gli scritti del Kremmerz, tale figura, assente nelle sue prime pubblicazioni (Mondo Secreto, Angeli e Demoni dell’Amore, Medicina Ermetica), compare nelle successive dei primi decenni del ‘900. Conosciamo, così, un  eloquente, ma impossibile battibecco tra il maestro caldeo ed il discepolo Izar[3] sul concetto di corrente astrale, coinvolgente un improbabile Nargal quale Legge Unica e , ancor più estranee al pantheon sumero-accadico, Astarte e Beel [4], col loro cicisbeo Nebo[5] nei panni di Ermete. Alcune virtù e promesse di Mamo, sono sottolineate dal Kremmerz in due sue lettere del 1929, ad un discepolo dell’Accademia Vergiliana di Roma. In esse si dice che:

 

Mamo Rosar Amru è l’iniziatore in missione di semina. Lasciate che la terra pronta accolga il seme che germoglierà nella sua prossima primavera.[6]

 

…Quando Mamo Rosar Amru ritornerà, tutto sarà possibile, perché sulle ceneri e i lapilli di Pompei sboccerà il germoglio di una nuova flora.[7]

 

Ma, laddove, della misteriosa figura si danno maggiori ragguagli, dedicandogli un breve racconto, è nel Commentarium Anno II,nn.8-9-10-11 del dicembre 1911, pag. 411. Ne Il Ritorno[8], questi il titolo, a firma di Giuliano Kremmerz, il sacerdote Mamo Rosar Amru si dichiara ultimo dei pontefici di Iside ,esule dalla vetusta terra d’Egitto, cittadino dell’universo e seminatore di verità.

Per sua ammissione, all’incalzare di domande dell’agubica Myria[9], confessa di non conoscere l’amore, ma la sola devozione alla dea. In tal modo, la libidinosa assira, che il maestro di Portici individua quale eco della dea,  svela un segreto all’adescato sacerdote: quello di mettere alla prova la vendetta della dea dopo averne provocato la gelosia, dimostrandone, quindi, l’amore divino per il suo devoto.

Oltre che metafora del principio animistico divino vincolato dai lacci delle passioni e desideri delle umane condizioni è possibile ritrovare in questa favola dati più concreti, forse velati riferimenti ad una operatività, ad un progetto. Un dato storico, forse, ed uno di metodo, di pratica. Un riferimento storico esplicito è, nella storiella di Mamo, alla “migrazione” dell’antica sapienza sacerdotale egizia dai suoi lidi originari alla costa partenopea[10], sulla scia del culto di Iside, intorno al I secolo a.c.[11] anche se, l’esclusiva di questa eredità, non può certo dirsi campana[12]se si pensa all’espansione di Roma nell’area mediterranea e ai flussi di popoli sottomessi che trapiantarono in tutte le province latine i culti di Iside e Serapide, Cibele e Attis, Mitra e Baal. Per quanto attiene all’elemento operativo, invece, il racconto del viaggio dell’ultimo pontefice della dea, ci nasconde una “chiave”[13], un mezzo di pratica operativa connesso con l’amore carnale per la lussuriosa Myria necessario a suscitare il risentimento della divinità che, tentando di recuperare l’amore per il suo devoto, mette a disposizione dell’iniziato un potente serbatoio fenomenologico astrale foriero delle più ambite realizzazioni in magia. In cosa si traduca la vendetta della dea, a questo punto dovrebbe essere facile da capire, soppesando attentamente questi due aspetti dell’amore come  magistralmente ha esposto il Kremmerz nel suo Angeli e Demoni dell’Amore.

Ma, al di là del racconto di cui è protagonista, chi era in realtà Mamo Rosar Amru?

La storia non ci aiuta; così come l’improbabile indiretto riferimento a Berosso per Iriz Ben Assir. Nella narrazione delle origini del popolo babilonese da parte dell’astrologo, sacerdote di Marduk, infatti, non vi è traccia alcuna dei tre sacerdoti caldei citati dal mago partenopeo. Risulta del resto difficile se non impossibile, attribuire un’identità assiro-babilonese a questo nome basandoci sulle peculiarità della grammatica sumero-accadica[14]. Ancor meno ci aiuta l’elemento linguistico e filologico per il quale Rosar è inesistente nella lingua genericamente e impropriamente definita “caldea” dal Kremmerz, a meno di ricorrere ad una poco attendibile parola composta da Ro- (intraducibile e con l’inesistente vocale o) e –Sar (mondo, scrivere, scalfire). Amru è rintracciabile nella lingua araba indicando, tra i più noti, il nome di un eroe che conquistò Alessandria d’Egitto nel 642 d.c. Per Mamo, dovremmo, con molta fantasia e non pochi sforzi di adattamento, prendere in considerazione Mu-mu (prete, sacerdote, scroscio) o Ma-ma (divinità, titolo del dio Sin) Ma-mu (divinità dei sogni), Mummu (dio degli artigiani), M-amu (parlare, logos). Del resto anche Iriz e Izar rimandano all’arabo, come Bne,Ben alla semitica cananea, per non tacere di Excur o Escur. In realtà tutti questi nomi, personali e non, non hanno traducibilità e significato senza costruzione grammaticale, senza catena nominale e senza segnacaso[15]. Si potrebbe obiettare, d’altro canto, che il nome di Mamo sarebbe il risultato di una costruzione linguistica basata su elementi fantastici, termini bizzarri e volgarizzati, tipici di una certa rituaria cerimoniale costruita su idiomi e fonemi incomprensibili, ma pregni di mistero, spesso espressione di una restituzione verbale corrotta di attributi e concetti parlati in una lingua straniera, arcaica o estinta o adattata a nenie o cadenze di cantilene o a particolari suoni onomatopeici[16]. Si pensi, ad esempio, al sumero e agli ideogrammi caratterizzanti il periodo più arcaico della cultura mesopotamica che, scomparsa come lingua parlata per l’uso più pratico e diffuso dell’accadico (secondo millennio a.c.), continuò ad essere usato nella rituaria sacerdotale e magica e nell’uso “scientifico” dell’epoca (astrologico, matematico, medico, botanico etc.). Nonostante tali argomentazioni, tuttavia, contro e a favore dell’autenticità delle generalità dell’ultimo pontefice isiaco e della sua presunta o reale esistenza, il dato certo è che prima del Kremmerz non se ne incontra menzione in alcuno scritto o memoria dei cosiddetti maestri partenopei antecessori del maestro di Portici, né, per quel che possiamo sapere, nella rituaria, parole di passo e quant’altro appartenente alla liturgia massonica a tegolatura egizia del XVIII e XIX secolo.Una curiosa menzione di Mamo, unica circostanza riscontrata estranea alla penna di Kremmerz, è nell’articolo di N.R. Ottaviano, La Divinazione Pantea[17], nel quale l’autore,prima di fornire istruzioni per la impossibile realizzazione di un talismano “caldeo” preso dal secondo libro di Mamo Rosar Amru pontefice, dice questi essere erede di una tradizione magica della Magna Grecia (sic!). Insostenibili, per altro, sono le attribuzioni e identificazioni per Izar di Pasquale De Servis e di tanti altri personaggi illustri e non , di volta in volta proposti nei ruoli dei vari sacerdoti caldeo-napoletani. Avendo coinvolto in queste considerazioni anche la massoneria napoletana, un’annotazione ci pare d’obbligo e di un qualche interesse ai fini della nostra ricerca. Friederich Munter (1761-1830), teologo luterano, archeologo, orientalista, filologo, tra il 1785 ed il 1786, incontra nel Regno delle Due Sicilie vari esponenti della massoneria, riportandone scrupolosamente informazioni e impressioni in un suo diario. La sua era una missione segreta per conto del duca di Brunswick, allo scopo di diffondere anche nell’Italia del Sud l’obbedienza massonica dell’Ordine degli Illuminati di Baviera. I suoi interessi culturali per le antiche culture protosemitiche incontrarono in Napoli, fra gli altri, quelli analoghi di Gaetano Filangeri (1752-1788) e di Francesco Mario Pagano (1748-1799) nelle cui opere, pur se di Diritto, spesso emergono riferimenti all’Egitto e alle antiche tradizioni sacerdotali medio-orientali[18]. Nel 1802, Munter riuscì a decifrare dal cuneiforme alcuni segni da iscrizioni in elamico e babilonese[19]. Influenze culturali dotte e meno, si pensi a Cagliostro e ai Bedarride[20], nonché l’ingresso nell’istituzione latomistica  di facoltosi ebrei, condizioneranno in modo determinante la ritualità e la liturgia massonica del Regno Siciliano. Con il generico rimando al Caldeismo[21] si designava la sapienza e la conoscenza trascendentale e terrena originate dalle culture più antiche conosciute, quella assiro-babilonese, egizia, semitica. Tutta questa sapienza, ricevuta per dono divino, fu rappresentata dalla massoneria del XVIII e XIX secolo con l’ideogramma del sole che, implicitamente, rimandava all’oriente, il riferimento cardinale della sua nascita.

Al di là , quindi, di ogni congettura o ipotesi, cosa si può dire di Mamo al punto in cui siamo?

Cosa si cela dietro questo prete caldeo, o meglio, “apocrifo” ecclesiastico assiro-babilonese? Forse quasi nulla di quanto in passato si è scritto di lui; nessun alpagone, papasso, vecchio della montagna. Nessun individuo anagraficamente censibile.

Al pari di Hiram, Mamo è una costruzione mitologica.

Come Hiram Abif, mitico costruttore del tempio salomonico, ucciso dai capomastri che volevano rubargli il segreto della sua conoscenza, Mamo è il custode delle virtù e della magia isiaca  attraverso il tempo e le epoche dell’umanità, al fine di concedere ai più meritevoli gli strumenti di evoluzione interiore e di investigazione del soprasensibile. Sul piano profano, la leggenda di Hiram può essere letta quale influenza della tradizione ebraica nel rituale massonico, al pari di quella zoroastriana del re persiano Yadzedert per gli Illuminati di Baviera. Che pensare, poi, di “Superiori Incogniti”, di figure come quella di Cristian Rosenkreutz per i Rosa-Croce e di tanti altri misteriosi personaggi? Dovremmo, forse, chiederci cos’è un mito ed il conseguente simbolismo di cui si nutre.

I mezzi di cui sopra sono i valori e le conoscenze di una società ermetica; essi possono sopravvivere a lungo ai loro originari ideatori e la loro elaborazione, come la capacità di raccontare, ha datazione antichissima, riconducibile alla notte dei tempi. Spesso, tutta la sapienza “secreta” di una scuola è stata trasmessa mediante un racconto mitico ed il mito stesso diventa uno strumento di crescita quando riesce a parlarci . Un’altra caratteristica del mito e del simbolo che ne è parte integrante è la sfida che procura al nostro equilibrio intellettuale, la provocazione che induce a scoprire, a svelare trasformandosi in tal modo, in un  pantaclo, un potente condensatore di energie psichiche. Se, come dice il Kremmerz, lo spirito è un’idea che diventa realtà, allora il mito può essere considerato anche quale cratere nel quale gorgogliano le idee e le loro rappresentazioni virtualmente trasformate in spirito.

Il racconto de “Il Ritorno” allora non dovrebbe avere più segreti per l’occhialuto lettore. Un ultimo aiuto vogliamo riservarlo per la “conchiusione” della storia, nella quale “l’indiscrezione degli Italiani” è seguita da “la fine delle fiabe a tinte e mezze tinte di carattere occulto” e dall’anagramma di Mamo Rosar Amru che, chissà, forse indicava il luogo della realizzazione ultima di un progetto[22], l’avvento di uno spirito che, purtroppo, non si manifestò mai.

La dea perdoni per la mia italica indiscrezione.

 

(Tratto dalla rivista “Elixir” con il permesso dell’Editore)



[1] Corpus Philosophorum Totius Magiae , ms. paragrafo 141

[2] Berosso o Beroso, astrologo contemporaneo di Alessandro Magno, noto per una storia di Babilonia composta in greco, tra il 350 ed il 270 a. c., in cui vi si narra l’origine mitica  del popolo mesopotamico, dopo la sconfitta di Tiamat ad opera di Marduk, l’avvento dei sovrani antidiluviani che regnarono 3600 anni, il diluvio e la successiva era degli uomini pesce (Oannes) che ebbero funzione di consiglieri illuminati dei sovrani babilonesi. Una citazione del sacerdote caldeo e della sua opera , usata a testimonianza della scrittura “su pietre e mattoni”, è nella Lettera Apologetica di Raimondo di Sangro di Sansevero (Lettera Apologetica, Napoli 1750, pagg. 57, 58).

[3] Nelle TenebreLuminose. Commentarium,Anno I, nn.8-9-10, nov.dic. 1910.

[4]Nergal o Nirgal o Erra è il dio-demone della guerra, della caccia, dei morti  (non presiede, quindi, nessun tribunale di giustizia), Astarte, più greca che latina, pur se collegata alla babilonese Isthar, è la dea della fertilità fenicia con ampia diffusione semitica. Baal in realtà, principale divinità fenicia della tradizione guarita, equivalente al greco Kronos e al Saturno latino.

[5] Nebo (o Nabu), divinità maggiore della saggezza, della scrittura e del linguaggio.

[6] Da Beausoleil, 7 febbraio 1929.

[7] Da Beausoleil , 26 febbraio 1929.

[8] Riteniamo inutile riportare integralmente il testo in quanto noto, pur se non adeguatamente studiato e…compreso. Mudu muda li Kalim…

[9] Agub è termine usato dal Kremmerz per designare due demoni caldei che cavano metalli dalle viscere della terra: Agen li condensa, Agub li estrae. (Corpus Philosophorum Totius Magiae, ms. par. 142). Nell’operatività rituale assira Agubba sta per vaso dell’acqua santa degli Dei (S.Langdon: Sumerian liturgies and psalms, Philadelphia, 1919, pag.336) .

[10] “…Baia, Pesto, Puteoli, Partenope, Ercolano, Pompei, Stabia…Si fermò a Pompei, Iside ebbe un tempio e riti sacrificali.” Nel testo del racconto.

[11] “Intorno all’epoca in cui Ponzio Pilato entrava nel credo cristiano, Iside dava responsi a Pompei.” Così nel testo.

[12] Al riguardo v. F.Cumont Le religioni orientali nel paganesimo romano con la prima edizione del 1906, destinata a varie ristampe fino al 1929. L’opera dello scienziato belga fu molto apprezzata dallo stesso Kremmerz come dimostrato nella prossima edizione, rivisitata e aggiornata, de L’Arcano degli Arcani di G. Maddalena Capiferro-C.Guzzo.

[13] In realtà le Physikleidia comprendevano un variegato arsenale di incantamenti, formule magiche e unguenti per gli organi sessuali prima del rapporto aventi per scopo quello di assicurarsi l’esclusiva fedeltà dell’apparato riproduttivo femminile, la sua ottimale funzionalità, preservarlo da influenze negative quali aborti o patologie ginecologiche (es. metrorragie). Una funzione di cui, quindi, la cintura di castità del tempo delle crociate, sarebbe un ancestrale ricordo. L’A. sembra ignorare, inoltre, l’esistenza dell’ingranaggio, elemento ben più importante, che questa chiave sbloccherebbe nel candidato all’uso della serratura.

[14] Ideografica in origine (3000-2350 a.c.), poi cuneiforme con rappresentazione sillabica e grammaticale con l’avvento dell’accadico. In queste antiche lingue, non esisteva la vocale “o”, la struttura è agglutinante, ossia priva di elementi grammaticali con sequenze di prefissi e suffissi e, allo stesso tempo, ergativa per il riferimento alla natura transitiva o intransitiva del verbo. Essa costruisce le frasi con la modalità Soggetto+Oggetto+Verbo e non ha generi (maschile, femminile, neutro). Distingue, inoltre, i nomi in personali (nomi di uomini e divinità, di coloro cioè che hanno anima) e non personali (tutti gli altri, animali e oggetti).

[15] La posizione nella complessa catena della struttura nominale con la sequenza di sei possibili posizioni (sostantivo, aggettivo, genitivo, pronome di appartenenza, plurale, posposizione).V. F. D’Agostino, P.Mander Appunti di Grammatica Sumerica. Roma, 2007.V.si anche G. Pettinato I Sumeri Milano, 2005.

[16] Alcuni esempi si possono rilevare già in testi ottocenteschi quali: M. J. Matter Histoire critique du Gnosticisme. Parigi, 1828. F. Lenormant La Magie chez les Chaldeens Parigi, 1874. Varie corruzioni verbali si trovano nelle formule di consacrazione di amuleti e talismani, v.si al riguardo J.M. Riviere AmuletiTalismani e Pantacli Roma, 1972. 

[17] Commentarium , Anno I, n. 1, 1910.

[18] Secondo il fondatore degli Illuminati, Adam Weishaupt, la setta era stata ideata dall’ultimo re persiano Yadzedert II.

[19] G.Pettinato, op. cit. pag.55.

[20]  La Massoneria Egizianadell’avventuriero siciliano, De l’Ordre maconnique de Misraim di Marc Bedarride, il Crata Repoa , testo pubblicato per la prima volta in Germania nel 1770 e che segnerà la base dottrinaria del rito di Memphis. A proposito di quest’ultimo testo massonico, si rileva come il 44° grado egiziano era quello del Sublime Pontefice d’Iside.

[21]“ Il termine Chaldaeus ebbe significati, tra gli antichi, di volta in volta molto diversi. Questo termine designò prima di tutto gli abitanti della Caldea, corrispondente alla bassa Mesopotamia e, in seguito, i membri della casta sacerdotale mesopotamica.” F.Cumont Astrologia e Religione presso i Greci e i Romani Milano, 1990, pag. 77.

[22] “…ho viaggiato insieme a lei…L’ho lasciata a Nizza l’ultimo carnevale, poi ha viaggiato la Svizzera e ora torna a Roma…” 

 

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