Il barone Ricciardelli, alias Marco Daffi, ha abbracciato nell’arco della sua vita svariate branche della
conoscenza e della realizzazione interiore, estendendo la sua volontà di ricerca anche a domini poco comuni per l’epoca, esplorando con indefesso impegno e costante rigore terreni sapienziali e discipline dello spirito occidentali e orientali. Ma non possiamo nutrire dubbi sul fatto che, oltre ogni altro interesse, la sua anima, il suo cuore ardessero di passione e d’amore per l’ermetismo magico e alchimico, “vera vocazione… che egli stesso chiamò ‘impulso’…”, come scrive Giammaria. E risulta ugualmente innegabile che in questo contesto si sia rivelato non solo un testimone acuto di avvenimenti, personaggi ed episodi di rilievo, ma abbia altresì giocato un ruolo incisivo di battitore libero, in tutti i sensi, lasciando nel panorama alquanto composito e proteiforme che ha da sempre caratterizzato la realtà dell’esoterismo italico, una traccia e un messaggio indiscutibilmente significativi e per certi aspetti preziosi, non solo a livello storiografico, sui quali riflettere.
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