Arturo Reghini, delineando attraverso un sapiente studio etimologico “l’arcaica maturità filosofica di quel grande popolo proto-ario, di cui la filologia sta delineando l’esistenza ed i caratteri, pure senza potere stabilire la sede e senza affatto pretendere di attribuire ad una delle lingue sorelle una primogenitura”, dava un particolare rilievo alla voce “aurora”, di cui scriveva: “La parola aurora dall’antico ausosa ed aura cioè splendore, ed il grecoéόs ed aura, aria mattinale, ed il sanscrito ushậ, aurora, provengono tutti dalla radiceush che significa bruciare, ìn latino uso e poi, per il solito fenomeno di rotacismo, uro;radice ancora visibile nell’italiano ustione. Ushậ significa in sanscrito anche combustione, ed ush è la luce del mattino, ed il tedesco östan e l’inglese east per indicare il punto cardinale dove spunta l’aurora vengono probabilmente dalla stessa radice”(1). Fatti linguistici, questi, che testimoniano come le antiche tradizioni religiose e sapienziali d’Oriente e d’Occidente, hanno, seppure in forme e modi diversi, attribuito al momento aurorale un importante significato simbolico e sacrale.