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RIFLESSIONI SULLA REINCARNAZIONE di Amrar

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 “Carpe diem…prima che er diem te carpe a te”
Anonimo romano di incerto secolo

 

Affascinante la teoria della reincarnazione. Non c’è dubbio. Sarà perché l’uomo, dall’alba della civiltà o almeno da quando ha preso coscienza di sé e delle problematiche connesse al trascendente, è sempre stato più o meno ossessionato dall’idea della morte – concetto giustamente incomprensibile ai più – e di conseguenza dal mito dell’immortalità, ma le possibilità di sfuggire in qualche modo a questa inesorabile condanna che pesa come un macigno sul destino del mai totalmente rassegnato “mortale”, ha sempre attratto le umane genti di ogni razza, di ogni rango, di ogni area geografica. E’ pur vero che religioni e scuole filosofiche ci si sono messe d’impegno nel tempo per indorare la pillola, per lenire o attenuare la sofferenza o il rifiuto profondo provocati dalla consapevolezza di questa ineluttabile realtà e rendere più accettabile l’idea del trapasso, ma alla fine dei conti il problema resta in gran parte irrisolto.


Sappiamo in effetti che questa possibile verità, la reincarnazione, classici dell’antichità occidentale a parte (Pitagora, Platone e i neoplatonici pagani ecc.), costituisce parte integrante di non poche dottrine religiose e correnti filosofiche, come nel Buddhismo, nell’Induismo, nel Jainismo ecc., oltre a varie scuole di pensiero e di spiritualismo (Cabala compresa). Pare fosse riservatamente accettata anche dai cristiani dei primi secoli (alcuni passi significativi del vecchio e del nuovo testamento potrebbero invero essere interpretati in tal senso). E pare altresì che in seguito, per i soliti motivi “politici”, come per tante altre cose, si sia preferito lasciar perdere e imporre utili dogmi, anche perché altrimenti tanta gente avrebbe probabilmente e volentieri demandato ad altre vite quel “salvifico” ma faticoso e mortificante percorso di privazioni, dolori e rinunce da compiere nell’aldiqua per raccogliere un ipotetico “premio finale” nell’aldilà. Soprattutto in un occidente abituato dalla precedente vita precristiana a godersi sanamente la vita. Tutto può essere. Fatto sta che almeno in campo occultistico dobbiamo riconoscere al Kardec e alla Blavatsky una buona fetta di merito per aver contribuito a diffondere e rendere popolare anche nell’occidente moderno il concetto (pure se in forme ovviamente diverse), oggi ormai ampiamente e sempre più considerato con una certa attenzione e curiosità, se non accettato, grazie anche al dilagare di discipline e movimenti spiritualisti di impronta orientale e new-age. Evidentemente è più facile comprendere e accogliere una teoria che segue una logica apparente molto più condivisibile, dal punto di vista mistico-religioso e psicologico, di un progetto di “salvazione”, “redenzione” o “liberazione” affidato a una sola e unica esistenza. Le prove, le esperienze, i percorsi interiori e quant’altro di una più o meno lunga catena di passaggi su questa terra permetterebbero a uno spirito “bambino” o involuto, di imparare a crescere, ad evolvere – volente o nolente –, ad apprendere, a migliorarsi e svilupparsi fino a capire qual è il giusto sentiero e raggiungere le massime vette dell’elevazione, per liberarsi dal vincolo delle inevitabili rinascite e tornare a Dio e alla dimora celeste, a raggiungere il nirvana, o secondo altri punti di vista conquistare o riconquistare la propria condizione divina. Ammettendo il postulato, non si elude soltanto – almeno in parte – la soverchiante attesa di un verdetto fatale che incombe dalla nascita senza possibilità di appello, ma si hanno a disposizione tante risposte interessanti a quesiti di importanza determinante: destini, malattie, amori, professioni, felicità e dolori, tendenze innate, bambini-prodigio, ricordi, incontri, traumi ecc. Qualunque problema ed evento, o se non altro i più significativi, possono trovare la loro spiegazione o interpretazione “karmica”, che spinge o costringe a pensare, a riflettere, possibilmente a correggersi, per tentare di modificare in positivo un “karma” infausto o squilibrato, oppure per apprezzarne, mantenerne e se possibile consolidarne e migliorarne gli effetti benefici, se positivo.

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SILENTIUM di Frà L. Squarciapino

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A tutti i cultori di filosofia ermetica è noto il concetto di piccolo arcano a cui fa da sponda quello, indicativo di acquisita conoscenza osiridea, di grande arcano. In realtà mentre quest’ultimo, più propriamente potrebbe essere identificato come l’Arcano Incantatore, attesi i discutibili risultati ottenuti dai suoi atleti praticanti, quello che non viene mai menzionato dai Maestri come Arcano,eccezion fatta per i Pitagorici1, è proprio il Silentium, che per correttezza, dovrebbe essere conosciuto come l’Arcano Occultato. Del resto, per i Cistercensi l’importanza del Silenzio era riassunta nel motto: Silentium est aurum.
Senza questo mezzo, necessariamente accompagnantesi con l’amica Solitudo che il Signor Zimmermann considerava “ Un’inclinazione più veemente dell’istinto per la vita sociale, dovendosi già riferire ad un trasporto dell’anima che, sdegnando i volgari confini, aspira a distinguersi con franchi voli”.2 Egli rimarcava il concetto con la considerazione che nella solitudine noi dipendiamo da noi stessi, nel mondo dipendiamo dal mondo. Giordano Bruno amava ripetere che “Dio s’ama et honora più per silentio che per parola” ed il Kremmerz affronta l’argomento del Sile-Soli avvertendo “… Il rumore esterno non sentirlo; tu stesso non essere causa di rumore,  non farne, non pronunziar verbum, parola creatrice, iniziale movimento di un’azione dell’idea che si ripercuote, si allarga in onde del pensiero e allargandosi, cammina all’infinito.” Per Franz Hartmann la grande virtù di questo arcano era riassunta nell’assunto “La capacità di percepire la verità dipende dalla tranquillità dell’anima”.
Senza questo arcano, pertanto, l’ermete non va da nessuna parte e il povero cillenio Hermes perde le ali dei talari e del pètaso. Solitudine e Silenzio cum grano salis , realizzano un Elixir determinante per il contatto, le cui posologie saggiamente aggiunte ad aqua fontis (q.b.)3 e ad un attivatore enzimatico (Alkaest) (non precisabile in questa sede), conducono a quella dinamizzazione necessaria all’ermete per il grande balzo temporaneo verso il mondo delle cause.
Ancor oggi ci si chiede perché le poco note dee arcaiche romane, Angerona ed Angitia, fossero rappresentate nei sacri templi, con la bocca fasciata da un drappo o con l’indice sulla rima labiale. Tali peculiarità rammentavano forse, come la magia realizzatrice di queste divinità fosse legata…all’Arcano Occultato ? Stando ad Orazio è il Silenzio di una notte dominata dalla luna che va ricercato per i riti arcani 4. La curiosa investigazione dell’occhialuto lettore, non potrà non soffermarsi sul prefisso Ang- di tali dee-maghe, prefisso che può essere ritrovato ad esempio in Ang-uis e in Ang-or. Mediti, quindi, il nostro indagatore dalla fronte corrugata e confidi che lo psicopompo, passandogli accanto, gli sveli l’ arcano. In questa sede vogliamo fornire un piccolo aiuto facendo notare che, filologicamente e semanticamente, Angitia deriva da Anxa ,espressione del Num egizio e del Tiamat akkadico e che questa dea era la manifestazione della Grande Madre, colei che dà la vita o la morte, rinnovamento sapienzale della vita medesima. Ogni creazione, ci avverte Kremmerz, avviene nel silenzio, come nel silenzio lavora l’alchimista nel suo laboratorio, interrompendolo, di tanto in tanto, con qualche timida nota dell’immancabile strumento a corde.

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UN LIBRO SCONOSCIUTO DI G. KREMMERZ di Pier Luca Pierini R.

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Un libro sconosciuto di G. Kremmerz

di Pier Luca Pierini R.

Non sono pochi i testi misteriosi del Kremmerz. Tra le opere annunciate e mai scritte, quelle abbozzate e mai terminate, quelle scomparse1, inedite o totalmente sconosciute, o delle quali non ha voluto attribuirsi la paternità e altre che invece gli sono state attribuite a sproposito, non è facile districarsi in questa “biblioteca di Babele” ermetica della quale non esiste traccia in alcuna bibliografia. Eppure il Kremmerz, pubblicazioni ufficiali a parte, scrisse molto e, soprattutto, non si risparmiò nella corrispondenza, sia a carattere iniziatico sia privato, con discepoli, confratelli, familiari, amici, postulanti e simpatizzanti.

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L’ERMETISMO PAGANO DI G.KREMMERZ di N. N. T.

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Negli ambienti ermetici si è discusso molto, soprattutto in passato, dell’appartenenza o meno del Kremmerz alla corrente comunemente - e forse troppo semplicisticamente - detta pagana dell’ermetismo. Questa realtà, per noi ormai evidente aldilà di ogni possibile confutazione (fino a prova contraria ovviamente), è stata messa in dubbio da storiografi e commentatori che soprattutto in certi passaggi delle prime opere del medesimo e in certi elementi della sua struttura rituale, hanno voluto individuare una sorta di trait d’union con la tradizione cristiana, o cristiano-cabalistica.
E’ innegabile che il mago di Portici, agli esordi della sua impegnativa opera di divulgazione, per mitigare forse il non facile impatto iniziale con la suscettibilità religiosa dei primi lettori, abbia cercato di inserirsi in un ambiente esoterico sostanzialmente permeato di forti componenti fideistiche, con testi che in certa misura si riferivano o ispiravano agli esponenti ed alle scuole di spicco dell’occultismo francese. In particolare Elifas Levi, de Guaita, Papus ecc. (v. Il Mondo Secreto, Cristo la magia il diavolo, Angeli e demoni dell’amore, Medicina mistica). Com’è altrettanto vero che una significativa percentuale della struttura operativa e cerimoniale kremmerziana presenta inconfondibili tracce di varia estrazione, a volte persino in apparente contraddizione, se non in netto contrasto, tra loro. Possiamo citare ad esempio l’uso e le applicazioni ermetiche dei salmi, uniti a carmi caldeo-egizi, invocazioni cabalistiche abbinate a preghiere cristiane e inni ‘pagani’, e poi croci esseniche, stelle di David o esagrammi di Salomone con tanto di nomi divini (Jod, He, Vau, He) in ebraico inseriti nell’egizio-caldeo Rito di Kons…e così via. E’ plausibile che gli archivi di quell’Ordine Egizio da cui proveniva e a cui attingeva il Kremmerz, comprendessero pratiche e documenti dottrinari più e meno antichi raccolti nel tempo dai singoli appartenenti,  custoditi e coordinati fin quando è stato possibile dai maestri di questo centro iniziatico. Ed è ugualmente probabile che il Kremmerz tentasse, almeno nei suoi progetti originari, di realizzare una sorta di sincretismo magico (un sistema misto italico-orientale che egli stesso ebbe a definire pitagorico-cabalistico), entro il quale far confluire elementi selezionati che esprimessero quanto di meglio e funzionale potesse essere utilizzato ai fini dello sviluppo della Fr+Tm+ di Myriam (…la Myriam, scritta all’ebraica e cabalisticamente, che è la maternità di una tanto enorme accolita di fratelli…) e dei suoi iscritti.Fatto sta che qualche malinteso si è venuto inevitabilmente a creare. Si dice che il tempo è galantuomo e che la pazienza chiarisce il dubbio. Forse le idee personali di Kremmerz sull’appartenenza ad una tradizione specifica, soprattutto da quanto emerso alla luce delle ricerche degli ultimi anni, sono ormai più che chiarite. Da parte nostra, e solo per contribuire ad una più ampia e precisa comprensione del suo pensiero, abbiamo ritenuto opportuno selezionare e proporre una serie di eloquenti riferimenti, tratti dai suoi scritti.

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FINALITÀ OCCULTE DEL RITO NELL’ERMETISMO MAGICO di Aurhelios

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Finalità occulte del rito nell’ermetismo magico, di Aurhelios

(Tratto da “Elixir n° 7 – Edizioni Rebis)

Il Rito: parola densa di significati che evoca immediatamente scenari avulsi dalle attuali apparenze di una dominante realtà, al cui suono affiorano immediati richiami a un passato recondito, a simboli e reminescenze di un immaginario ancestrale eppure sempre profondamente presente nel tessuto spirituale dell’uomo. E’ facile correre col pensiero a segrete cerimonie medievali, compiute nottetempo in luoghi appartati, nelle campagne o in antri oscuri e vetusti, illuminati dalla fiamma incerta e tremolante di torce e candele. Potremmo figurarci al centro della scena, all’interno del cerchio magico, il classico mago, altero, imponente, immerso nella propria veste rituale e avvolto dai fumi degli incensi che salgono lenti e sinuosi dai bracieri, contornato dagli strumenti dell’Arte: la spada, il pugnale, la bacchetta, i talismani, le pergamene e…l’indispensabile libro del comando. La lama della spada, brandita dalla mano del magista, sembra animarsi al luccichio delle ondeggianti lingue di fuoco che riflette, mentre i rapidi movimenti delle ampie maniche della tunica irrompono in quelle lente colonne di fumo, creando strane volute, evanescenti spirali, arabeschi danzanti…I suoni sono quelli di un silenzio irreale, interrotto soltanto dal timbro ritmato e incalzante della voce del mago che recita strane litanie in latino, invocazioni scandite da fonemi astrusi e seguite da antichi salmi, o carmi, e nomi di potenza pronunciati con tono solenne e severo. E infine, di nuovo il buio, splendente di luci diafane; e ancora il silenzio, carico di presenze invisibili e dialoghi che non hanno bisogno di parole.

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