Il 17 febbraio dell’Anno Santo 1600, una piccola corte di persone partì dalle carceri di Tor di Nona, sul Lungotevere, in direzione di Campo dei Fiori, scortando un uomo condannato dalla Congregazione della Sacra Romana e Universale Inquisizione, a morire sul rogo a causa delle sue idee giudicate avverse alla vera dottrina della santa fede cattolica. Quest’uomo era Giordano Bruno, al secolo Filippo, nato a Nola nel 1548; libero pensatore ed eretico errante: scrittore, filosofo e mago la cui mente è stata tra le più brillanti e illuminate dell’Europa del XVI secolo. Con in bocca una mordacchia per impedirgli di parlare, fu spogliato e legato ad un palo e successivamente venne bruciato vivo con la speranza che, insieme alla sua carne, bruciasse anche il suo pensiero che nei secoli successivi avrebbe invece valicato frontiere geografiche e temporali e avrebbe fatto di Bruno il simbolo eterno di tutti gli uomini liberi oppressi dal potere. Quando l’8 febbraio dello stesso anno, nella casa del Cardinale Madruzzo, Bruno fu costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte; egli non abiurò né si sottomise all’autorità religiosa “preferendo morte coraggiosa a vita pusillanime”. Secondo alcuni testimoni, il filosofo si alzò in piedi e indirizzò ai suoi carnefici la storica frase: «Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla».