Arcani e terapeutica occulta negli scritti del Maestro Sairitis Hus
Nel 1899 veniva edito dallo Stabilimento tipografico Errico Prisco di Torre Annunziata, un libello di appena 68 pagine intitolato Dell’inferno. Cristo vi discese colla sola Anima o anche col corpo? Autore ne era l’Avvocato ed ermetista Giustiniano Lebano (noto anche con lo jeronimo di Sairitis Hus). In tale scritto questi si occupava del problema della discesa di Cristo negli Inferi, alla luce delle Sacre Scritture e della Patristica cristiana, criticando quanti avevano interpretato tale episodio in chiave esclusivamente letterale e non allegorica. Il Lebano intervenne a chiosare il Cardinale Bellarmino, uno fra i maggiori responsabili del supplizio di Giordano Bruno sul rogo, il quale aveva affermato che la discesa del Salvatore nella Gehenna doveva essere assimilata al martirio del medesimo in cruce inter duos Latrones.1 L’Avvocato napoletano, tentò inoltre di dimostrare la natura esoterica del messaggio di Cristo, argomentando che la Gehenna non poteva essere identificata con l’inferno dei cristiani, bensì con un luogo (Cilibano, Ginnasio o Partenone, scriveva il Nostro) 2 sito presso Gerusalemme, ove venivano accolti gli iniziati ai misteri di Bahal3.
Procedendo nell’esposizione delle proprie teorie, il nostro personaggio si soffermava sulle etimologie di numerosi lemmi latini, greci ed ebraici, a suo modo di vedere, spogliati del loro vero ed intimo significato dai pedanti Grammatici. Nota è la profonda conoscenza che il Lebano aveva delle lingue morte, in particolare del latino (che aveva studiato con un tal Parascandalo ed un dotto padre gesuita), del greco appreso dal canonico Lucignano e dell’ebraico, acquisito grazie alle lezioni del canonico Ferrigni4. Nonostante la propria lontananza dalla religione cattolica, non vi è alcun dubbio che l’apporto intellettuale di esponenti del clero divenne fondamentale per la formazione culturale del Maestro Sairitis Hus.
Sulla scorta della propria erudizione, peraltro influenzata dal Bocchini e dalle speculazioni relative ai cosiddetti parlari de’ Mortali e parlari de’ Numi di Giovan Battista Vico,8 egli si avventurò nella intepretazione pimandria della parola Anima5 ed in quelle dei nomi di Abramo6, di Aristole,7 etc., tentando di dimostrare come Cristo avesse voluto insegnare gli arcani solo ai cosiddetti Figli del Sapere, parlando invece ai volghi attraverso le parabole. Citando San Luca, l’iniziato campano scrisse che il Sommo Redentore aveva svelato il Grande Mistero solo agli iniziati volendo, a tal proposito, laconicamente alludere all’enigma del Piccolo Arcano. Proseguendo la propria trattazione, il nostro Autore tenne a precisare che la scuola degli arcani fu fondata da Zoroastro per trasmettere una conoscenza custodita fra le viscere delle montagne, ossia negli antri più riposti, e perciò velata alla razza umana. Quest’ultima, rozza ed ignorante, era dedita a sacrifici umani per saziare la sete di sangue di truculenti numi9.
Non poteva infine mancare nello scritto del Lebano, l’esotico ed esoterico riferimento all’antico Egitto, estrinsecato attraverso il racconto della fantastica iniziazione di Nycia all’interno della piramide di Cheope e dall’incontro di quest’ultimo con un guardiano che indossava una maschera raffigurante la testa del dio sciacallo Anubi. Divinità importante per gli adepti della Luce era Hermanubis, avente gli attributi di Mercurio, l’alato fanciullo che accompagnava gli iniziandi al Mistero10 e, di Anubi, che custodiva la conoscenza e sbarrava la strada agli impreparati.
Coloro che fossero pervenuti alla sapienza magica, superando una serie di prove, avrebbero conquistato le porte del Sole e dunque gli Elisi, o luogo di Luce11. Nell’opera da noi sottoposta ad esame, non possono non essere notati i numerosi addentellati con il pensiero dell’illustre Magistrato salernitano Domenico Bocchini.
Il Lebano si considerava l’erede spirituale del suddetto esoterista del quale, studiò ed approfondì le opere e la metodologia di approccio ai classici latini e greci. Giustiniano ereditò i manoscritti inediti del Bocchini ed uno di questi egli pubblicò con il titolo Del Morbo Oscuro chiamato Areteo Ociphon Sincope impropriamente creduto dagli europei Cholera Morbus. La imminente messa in stampa di tale studio da parte del Bocchini, era già stata annunziata nel 1837 in un articolo elaborato da un non meglio identificato giornalista che si firmava con lo pseudonimo di S. X, dietro il quale non sarebbe azzardato supporre, si nascondesse il medesimo Bocchini.
Ad ogni modo, l’ignoto (o presunto tale) Autore di tale pezzo annunciò la pubblicazione di un’opera nella quale il Giudice salernitano avrebbe spiegato che, il male erroneamente creduto dai medici laureati Colera, fosse in realtà da identificarsi con l’Ocifon 12. Il saggio suddetto non vide mai la luce per cause ancora da chiarire. Probabilmente il nostro personaggio volle evitare di alimentare le già pesanti polemiche che circolavano a carico dei propri scritti, scaturite da taluni accademici che mal digerivano le “acrobazie” afilologiche dell’ermetista campano13.
Tale ipotesi sembrerebbe avvalorata da un affermazione dello stesso S. X. il quale spiegò come gli archeologi napoletani avessero già tentato, nel 1826, di boicottare la pubblicazione di un altro scritto del Bocchini dal titolo il Germe delle Sirene. Tale opera restò manoscritta come del resto quella dedicata al morbo dell’Ocifon ed entrambe andarono a confluire nell’archivio di Giustiniano Lebano il quale pubblicò quest’ultima a proprio nome, omettendo di citarne la reale paternità.
Ad ogni modo la pubblicazione del Morbo oscuro dovette riscuotere un discreto successo se ne vennero edite ben quattro edizioni. Nell’incipit di tale opera, facendo propri concetti già espressi dal Bocchini, il nostro Giustiniano tenne a differenziare la medicina cosiddetta epidaurica14 che, nell’antichità veniva insegnata dalle Pizie agli Eletti, da quella empirica, trasmessa dai sacerdoti minori ai volghi. In virtù di tale distinzione, Lebano differenziava gli Ippocrati, ovvero i guaritori ispirati dagli dei, dagli Ipocrati, ovvero i medici laureati i quali erano definiti senza tanti complimenti Ciurmatori e Cantabanchi15. Tale passaggio è assai importante poiché in esso sembrerebbe ravvisarsi un riferimento decisamente esplicito alla terapeutica ermetica considerata, in quanto espressione dell’azione divina, superiore alla medicina ufficiale.
Giuliano Kremmerz sarebbe stato profondamente influenzato dalla visione lebaniana (o meglio bocchiniana) della medicina sacra, pur con i dovuti distinguo. L’esoterista di Portici scriveva infatti di essere spaventato dalle investigazioni materialiste sui mali fisici che attanagliavano l’umanità16, poiché queste ignoravano completamente il legame fra lo spirito ed il corpo. Nonostante tali riserve, il Formisano si guardò bene dal sottovalutare o sminuire le meraviglie del progresso medico che, dopo secoli di quiescenza, aveva raggiunto inimmaginabili traguardi.17