LA TRADIZIONE HERMETICA

Giuliano Kremmerz e la Schola Italica

SITO INDIPENDENTE DEDICATO ALLA RICERCA E ALLA CONOSCENZA DISINTERESSATE DELLA VERITA' INIZIATICA

LA TRADIZIONE HERMETICA

LA VIA ERMETICO-EROICA D’OCCIDENTE di Luca Valentini

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“La natura solare ed aurea in te allora potrà rompere l'equilibrio ed
essere più forte: l'altro - il tuo io, i tuoi sensi, la tua mente -
sarà sotto di te. E potrai anche sospenderli: renderli inerti,
neutralizzati, fissati: è il Silenzio, « l'estinzione della mania», il
dissiparsi della nebbia. Allora nel tuo occhio rischiarato,

lampeggerà la visione ciclica, integrale:
vedrai la tua essenza trascendentale, il destino degli esseri
e delle cose tutte e il regno di « Coloro che Sono»”1

Nell’ambito delle diverse civiltà, un’analisi antropologica alquanto superficiale ha sempre inquadrato le tradizioni d’Oriente come caratterizzate dalla via della Contemplazione, spesso al limite del misticismo se non del fideismo,e le tradizioni d’Occidente come caratterizzate dalla via dell’Azione, spesso in un rapporto quasi irriducibile. Al contrario, è importante ricordare come i segni di entrambe le vie di realizzazione, depurate dalle false interpretazioni moderniste di stampo religioso o scientista, siano riscontrabili sia in Oriente quanto in Occidente. A chi, soprattutto, ravvisa nelle civiltà orientali una specificazione di stampo puramente contemplativo e sacerdotale, non possiamo non ricordare l’illuminante dottrina guerriera dello Zen, ma anche le virili epopee dell’India vedica:”il Brahman crea una forma più alta e perfetta di se stesso, che è l’aristocrazia guerriera e la serie delle divinità guerriere.....non vi è nulla di superiore all’aristocrazia guerriera, e il sacerdote venera umilmente il guerriero quando ha luogo la consacrazione di un re2.

Dalla presenza simultanea in tutte le forme tradizionali di orientamenti diversi, ma organicamente unitari, possiamo intuire come ciò non sia altro che il retaggio di una realtà superiore, di una realizzazione che primordialmente riuniva in sé le due vie dell’Estasi Filosofica e dell’Azione, dell’Ermetista e dell’Eroe, la casta originaria di Hamsa, l’epopea primigenia dei Sapienti e dei Sovrani, che esisteva nel Krita-yuga, nell’Età Saturnia, che allo stato indifferenziato conteneva i quattro varnas successivi, quando il Rex era tanto Imperator quanto Pontifex. Vi è sempre stata, pertanto, al di là di mutamenti storici, religiosi e civili, una Radice Una, una Fonte, un’Origine del Divino nel Mondo, un centro di luce che permea interamente il manifestato non accusando mutamenti nella sua natura unitaria, che è presenza simultanea nella Natura e nell’Uomo, come Sole Spirituale e come Egemonikòn, come Sovrano Interiore, quindi un percorso iniziatico strettamente aristocratico che regalmente ed eroicamente dal Divino si diffonde ed allo stesso riconduce, prismaticamente, superando attivamente ogni divisione, ogni parzialità, ogni ottica settaria, perché tale il viatico che conduce non alla propria terra, non alla periferia, ma al Centro e sulla Vetta:”…la Tradizione è un Albero, del quale non si può pretendere salvare a piacimento questo o quel ramo abbandonando alla distruzione il resto: la morte del tronco trascinerà con sé fatalmente anche quella del ramo che si è tentato insensatamente di salvare staccandolo dal tutto cui organicamente appartiene3.

Ciò a cui facciamo esplicito riferimento è quella dottrina ermetico-alchimica che in forme alquanto simili è stata presente in moltissime civiltà, nel Taoismo nelle sue forme esteriori e in quelle più esoteriche, in India, ma anche nell’Islam e nella Cristianità, anche se tra molti e “salvifici” camuffamenti: all’ermetismo si è potuta associare la parte più speculativa dell’Arte,  mentre all’alchimia è necessario abbinare la parte più strettamente operativa. Il fine, però, del presente articolo è un inquadramento generale e per quanto possibile sintetico di come tale dottrina si sia “occultamente presentata” nell’ambito della Tradizione d’Occidente, che per noi è Tradizione eminentemente Classica.4 Un primo elemento su cui una chiarezza cristallina si deve assolutamente affermare è la nozione di dottrina, di un corpus unico di insegnamenti iniziatici, che tramite vie sotterranee si è perpetuato nel corso dei secoli, come è possibile ritrovarlo in autori greci, arabi, fino a giungere al Medioevo ed alla Rinascenza; la sapienza ermetica la ritroveremo dai simboli più alti della Romanità pagana fino alle espressioni della più sensibile metafisica cristiana. Sull’unicità dell’arte ermetica, poi, varie ma non equivocabili sono le espressioni:”Notate che, quale pur sia il modo con cui [i filosofi ermetici] hanno parlato, natura è una sola, ed essi sono tutti d’accordo, e dicono tutti le stesse cose…sappiate che noi siamo tutti d’accordo, qualunque cosa diciamo… Accordate dunque l’uno con l’altro e studiateci; poiché l’uno rischiara ciò che l’altro occulta, e chi veramente cerchi, può trovare tutto5.

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RIFLESSIONI SULLA REINCARNAZIONE di Amrar

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 “Carpe diem…prima che er diem te carpe a te”
Anonimo romano di incerto secolo

 

Affascinante la teoria della reincarnazione. Non c’è dubbio. Sarà perché l’uomo, dall’alba della civiltà o almeno da quando ha preso coscienza di sé e delle problematiche connesse al trascendente, è sempre stato più o meno ossessionato dall’idea della morte – concetto giustamente incomprensibile ai più – e di conseguenza dal mito dell’immortalità, ma le possibilità di sfuggire in qualche modo a questa inesorabile condanna che pesa come un macigno sul destino del mai totalmente rassegnato “mortale”, ha sempre attratto le umane genti di ogni razza, di ogni rango, di ogni area geografica. E’ pur vero che religioni e scuole filosofiche ci si sono messe d’impegno nel tempo per indorare la pillola, per lenire o attenuare la sofferenza o il rifiuto profondo provocati dalla consapevolezza di questa ineluttabile realtà e rendere più accettabile l’idea del trapasso, ma alla fine dei conti il problema resta in gran parte irrisolto.


Sappiamo in effetti che questa possibile verità, la reincarnazione, classici dell’antichità occidentale a parte (Pitagora, Platone e i neoplatonici pagani ecc.), costituisce parte integrante di non poche dottrine religiose e correnti filosofiche, come nel Buddhismo, nell’Induismo, nel Jainismo ecc., oltre a varie scuole di pensiero e di spiritualismo (Cabala compresa). Pare fosse riservatamente accettata anche dai cristiani dei primi secoli (alcuni passi significativi del vecchio e del nuovo testamento potrebbero invero essere interpretati in tal senso). E pare altresì che in seguito, per i soliti motivi “politici”, come per tante altre cose, si sia preferito lasciar perdere e imporre utili dogmi, anche perché altrimenti tanta gente avrebbe probabilmente e volentieri demandato ad altre vite quel “salvifico” ma faticoso e mortificante percorso di privazioni, dolori e rinunce da compiere nell’aldiqua per raccogliere un ipotetico “premio finale” nell’aldilà. Soprattutto in un occidente abituato dalla precedente vita precristiana a godersi sanamente la vita. Tutto può essere. Fatto sta che almeno in campo occultistico dobbiamo riconoscere al Kardec e alla Blavatsky una buona fetta di merito per aver contribuito a diffondere e rendere popolare anche nell’occidente moderno il concetto (pure se in forme ovviamente diverse), oggi ormai ampiamente e sempre più considerato con una certa attenzione e curiosità, se non accettato, grazie anche al dilagare di discipline e movimenti spiritualisti di impronta orientale e new-age. Evidentemente è più facile comprendere e accogliere una teoria che segue una logica apparente molto più condivisibile, dal punto di vista mistico-religioso e psicologico, di un progetto di “salvazione”, “redenzione” o “liberazione” affidato a una sola e unica esistenza. Le prove, le esperienze, i percorsi interiori e quant’altro di una più o meno lunga catena di passaggi su questa terra permetterebbero a uno spirito “bambino” o involuto, di imparare a crescere, ad evolvere – volente o nolente –, ad apprendere, a migliorarsi e svilupparsi fino a capire qual è il giusto sentiero e raggiungere le massime vette dell’elevazione, per liberarsi dal vincolo delle inevitabili rinascite e tornare a Dio e alla dimora celeste, a raggiungere il nirvana, o secondo altri punti di vista conquistare o riconquistare la propria condizione divina. Ammettendo il postulato, non si elude soltanto – almeno in parte – la soverchiante attesa di un verdetto fatale che incombe dalla nascita senza possibilità di appello, ma si hanno a disposizione tante risposte interessanti a quesiti di importanza determinante: destini, malattie, amori, professioni, felicità e dolori, tendenze innate, bambini-prodigio, ricordi, incontri, traumi ecc. Qualunque problema ed evento, o se non altro i più significativi, possono trovare la loro spiegazione o interpretazione “karmica”, che spinge o costringe a pensare, a riflettere, possibilmente a correggersi, per tentare di modificare in positivo un “karma” infausto o squilibrato, oppure per apprezzarne, mantenerne e se possibile consolidarne e migliorarne gli effetti benefici, se positivo.

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SILENTIUM di Frà L. Squarciapino

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A tutti i cultori di filosofia ermetica è noto il concetto di piccolo arcano a cui fa da sponda quello, indicativo di acquisita conoscenza osiridea, di grande arcano. In realtà mentre quest’ultimo, più propriamente potrebbe essere identificato come l’Arcano Incantatore, attesi i discutibili risultati ottenuti dai suoi atleti praticanti, quello che non viene mai menzionato dai Maestri come Arcano,eccezion fatta per i Pitagorici1, è proprio il Silentium, che per correttezza, dovrebbe essere conosciuto come l’Arcano Occultato. Del resto, per i Cistercensi l’importanza del Silenzio era riassunta nel motto: Silentium est aurum.
Senza questo mezzo, necessariamente accompagnantesi con l’amica Solitudo che il Signor Zimmermann considerava “ Un’inclinazione più veemente dell’istinto per la vita sociale, dovendosi già riferire ad un trasporto dell’anima che, sdegnando i volgari confini, aspira a distinguersi con franchi voli”.2 Egli rimarcava il concetto con la considerazione che nella solitudine noi dipendiamo da noi stessi, nel mondo dipendiamo dal mondo. Giordano Bruno amava ripetere che “Dio s’ama et honora più per silentio che per parola” ed il Kremmerz affronta l’argomento del Sile-Soli avvertendo “… Il rumore esterno non sentirlo; tu stesso non essere causa di rumore,  non farne, non pronunziar verbum, parola creatrice, iniziale movimento di un’azione dell’idea che si ripercuote, si allarga in onde del pensiero e allargandosi, cammina all’infinito.” Per Franz Hartmann la grande virtù di questo arcano era riassunta nell’assunto “La capacità di percepire la verità dipende dalla tranquillità dell’anima”.
Senza questo arcano, pertanto, l’ermete non va da nessuna parte e il povero cillenio Hermes perde le ali dei talari e del pètaso. Solitudine e Silenzio cum grano salis , realizzano un Elixir determinante per il contatto, le cui posologie saggiamente aggiunte ad aqua fontis (q.b.)3 e ad un attivatore enzimatico (Alkaest) (non precisabile in questa sede), conducono a quella dinamizzazione necessaria all’ermete per il grande balzo temporaneo verso il mondo delle cause.
Ancor oggi ci si chiede perché le poco note dee arcaiche romane, Angerona ed Angitia, fossero rappresentate nei sacri templi, con la bocca fasciata da un drappo o con l’indice sulla rima labiale. Tali peculiarità rammentavano forse, come la magia realizzatrice di queste divinità fosse legata…all’Arcano Occultato ? Stando ad Orazio è il Silenzio di una notte dominata dalla luna che va ricercato per i riti arcani 4. La curiosa investigazione dell’occhialuto lettore, non potrà non soffermarsi sul prefisso Ang- di tali dee-maghe, prefisso che può essere ritrovato ad esempio in Ang-uis e in Ang-or. Mediti, quindi, il nostro indagatore dalla fronte corrugata e confidi che lo psicopompo, passandogli accanto, gli sveli l’ arcano. In questa sede vogliamo fornire un piccolo aiuto facendo notare che, filologicamente e semanticamente, Angitia deriva da Anxa ,espressione del Num egizio e del Tiamat akkadico e che questa dea era la manifestazione della Grande Madre, colei che dà la vita o la morte, rinnovamento sapienzale della vita medesima. Ogni creazione, ci avverte Kremmerz, avviene nel silenzio, come nel silenzio lavora l’alchimista nel suo laboratorio, interrompendolo, di tanto in tanto, con qualche timida nota dell’immancabile strumento a corde.

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L’ERMETISMO PAGANO DI G.KREMMERZ di N. N. T.

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Negli ambienti ermetici si è discusso molto, soprattutto in passato, dell’appartenenza o meno del Kremmerz alla corrente comunemente - e forse troppo semplicisticamente - detta pagana dell’ermetismo. Questa realtà, per noi ormai evidente aldilà di ogni possibile confutazione (fino a prova contraria ovviamente), è stata messa in dubbio da storiografi e commentatori che soprattutto in certi passaggi delle prime opere del medesimo e in certi elementi della sua struttura rituale, hanno voluto individuare una sorta di trait d’union con la tradizione cristiana, o cristiano-cabalistica.
E’ innegabile che il mago di Portici, agli esordi della sua impegnativa opera di divulgazione, per mitigare forse il non facile impatto iniziale con la suscettibilità religiosa dei primi lettori, abbia cercato di inserirsi in un ambiente esoterico sostanzialmente permeato di forti componenti fideistiche, con testi che in certa misura si riferivano o ispiravano agli esponenti ed alle scuole di spicco dell’occultismo francese. In particolare Elifas Levi, de Guaita, Papus ecc. (v. Il Mondo Secreto, Cristo la magia il diavolo, Angeli e demoni dell’amore, Medicina mistica). Com’è altrettanto vero che una significativa percentuale della struttura operativa e cerimoniale kremmerziana presenta inconfondibili tracce di varia estrazione, a volte persino in apparente contraddizione, se non in netto contrasto, tra loro. Possiamo citare ad esempio l’uso e le applicazioni ermetiche dei salmi, uniti a carmi caldeo-egizi, invocazioni cabalistiche abbinate a preghiere cristiane e inni ‘pagani’, e poi croci esseniche, stelle di David o esagrammi di Salomone con tanto di nomi divini (Jod, He, Vau, He) in ebraico inseriti nell’egizio-caldeo Rito di Kons…e così via. E’ plausibile che gli archivi di quell’Ordine Egizio da cui proveniva e a cui attingeva il Kremmerz, comprendessero pratiche e documenti dottrinari più e meno antichi raccolti nel tempo dai singoli appartenenti,  custoditi e coordinati fin quando è stato possibile dai maestri di questo centro iniziatico. Ed è ugualmente probabile che il Kremmerz tentasse, almeno nei suoi progetti originari, di realizzare una sorta di sincretismo magico (un sistema misto italico-orientale che egli stesso ebbe a definire pitagorico-cabalistico), entro il quale far confluire elementi selezionati che esprimessero quanto di meglio e funzionale potesse essere utilizzato ai fini dello sviluppo della Fr+Tm+ di Myriam (…la Myriam, scritta all’ebraica e cabalisticamente, che è la maternità di una tanto enorme accolita di fratelli…) e dei suoi iscritti.Fatto sta che qualche malinteso si è venuto inevitabilmente a creare. Si dice che il tempo è galantuomo e che la pazienza chiarisce il dubbio. Forse le idee personali di Kremmerz sull’appartenenza ad una tradizione specifica, soprattutto da quanto emerso alla luce delle ricerche degli ultimi anni, sono ormai più che chiarite. Da parte nostra, e solo per contribuire ad una più ampia e precisa comprensione del suo pensiero, abbiamo ritenuto opportuno selezionare e proporre una serie di eloquenti riferimenti, tratti dai suoi scritti.

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FINALITÀ OCCULTE DEL RITO NELL’ERMETISMO MAGICO di Aurhelios

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Finalità occulte del rito nell’ermetismo magico, di Aurhelios

(Tratto da “Elixir n° 7 – Edizioni Rebis)

Il Rito: parola densa di significati che evoca immediatamente scenari avulsi dalle attuali apparenze di una dominante realtà, al cui suono affiorano immediati richiami a un passato recondito, a simboli e reminescenze di un immaginario ancestrale eppure sempre profondamente presente nel tessuto spirituale dell’uomo. E’ facile correre col pensiero a segrete cerimonie medievali, compiute nottetempo in luoghi appartati, nelle campagne o in antri oscuri e vetusti, illuminati dalla fiamma incerta e tremolante di torce e candele. Potremmo figurarci al centro della scena, all’interno del cerchio magico, il classico mago, altero, imponente, immerso nella propria veste rituale e avvolto dai fumi degli incensi che salgono lenti e sinuosi dai bracieri, contornato dagli strumenti dell’Arte: la spada, il pugnale, la bacchetta, i talismani, le pergamene e…l’indispensabile libro del comando. La lama della spada, brandita dalla mano del magista, sembra animarsi al luccichio delle ondeggianti lingue di fuoco che riflette, mentre i rapidi movimenti delle ampie maniche della tunica irrompono in quelle lente colonne di fumo, creando strane volute, evanescenti spirali, arabeschi danzanti…I suoni sono quelli di un silenzio irreale, interrotto soltanto dal timbro ritmato e incalzante della voce del mago che recita strane litanie in latino, invocazioni scandite da fonemi astrusi e seguite da antichi salmi, o carmi, e nomi di potenza pronunciati con tono solenne e severo. E infine, di nuovo il buio, splendente di luci diafane; e ancora il silenzio, carico di presenze invisibili e dialoghi che non hanno bisogno di parole.

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